Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5886 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5886 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
Oggetto:
Diniego
rimborso IRPEG 1983
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6216/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato al contro ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio de ll’Avv. NOME COGNOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, n. 5355/01/2019, depositata in data 18 settembre 2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
1. La Commissione tributaria regionale della Sicilia ha rigettato l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C ommissione tributaria provinciale di Agrigento che aveva accolto il ricorso spiegato dalla contribuente avverso il silenzio rifiuto formatosi sull’istanza di rimborso del credito IRPEG , esposto in dichiarazione, per l’anno di imposta 1983, dalla Cassa Rurale Artigiana di Palma di Montechiaro, poi fusa nella Cassa Rurale Popolare Artigiana di Palma di Montechiaro la quale – dopo aver cambiato la denominazione in RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto l’azienda bancaria al Credito Italiano s.p.aRAGIONE_SOCIALE, poi incorporato nell’Unicredit s.p.a .RAGIONE_SOCIALE
2. I giudici di appello, in via preliminare, rigettavano l’eccezione di inammissibilità del ricorso originario, che l’Ufficio aveva sollevato assumendo la violazione degli artt. 19 e 21 d.lgs. 31/12/1992, n. 546; rilevavano infatti che l’Amministrazione, su cui gravava il relativo onere, non aveva provato la notifica del provvedimento di diniego che assumeva di aver emesso su una istanza di rimborso; precisavano sul punto che la contribuente si era limitata a manifestare la propria disponibilità a ricevere gran parte delle somme pretese a mezzo titoli di Stato. Nel merito evidenziavano che la cessione di azienda (in tali sensi dovendosi qualificare il contratto tra Credito RAGIONE_SOCIALE) non era soggetta agli adempimenti ex artt. 43bis del d.P.R. 29/09/1973, n. 602, e 1 del D.M. 30/09/1997, n. 384, previsti per la cessione di singoli crediti esposti in dichiarazione; che l’ammontare del credito era conosciuto dall’Agenzia perché esposto in dichiarazione e per la documentazione in atti, la cui veridicità era accertabile peraltro anche mediante una semplice interrogazione informatica dei dati in possesso dell’anagrafe tributaria e quindi risultanti dalle dichiarazioni dei sostituti di imposta.
Contro la sentenza della CTR propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. Resiste con controricorso la contribuente.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 18/02/2025.
La contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis1 cod. proc. civ..
Considerato che:
Con il primo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per aver la CTR disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo per omessa impugnazione dell’espresso diniego del rimborso di cui al provvedimento n. 4130 del 21/12/1996. Assume l’Ufficio che sin dal primo grado aveva eccepito che, con provvedimento espresso n. 4130 del 21/12/1996, aveva rigettato le istanze presentate dal Credito Italiano per ottenere l’estinzione dei crediti esposti in dichiarazione mediante assegnazione di titoli di Stato, secondo quanto previsto dalla l. n. 457/1994. Aggiunge che, stante l’omessa pronuncia della CTP sulla questione, aveva proposto appello, ribadendo l’inammissibilità del ricorso, alla luce dell’omessa impugnazione del detto provvedimento espresso di diniego che pertanto, era divenuto definitivo. Aggiunge che il provvedimento di diniego era provato per tabulas .
Con il secondo motivo l’Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per aver i giudici di appello invertito il principio dell’onere probatorio con riguardo alla sussistenza del credito rimborsabile.
Il motivo censura il passaggio della sentenza concernente l’accertamento, sulla scorta delle risultanze probatorie, che la Unicredit s.p.a. aveva acquistato la titolarità del credito d’imposta dalla Palmaria RAGIONE_SOCIALE a r.l. per effetto della cessione di azienda ( ex art. 2559 cod. civ.) del 2/12/1992, atto che non era soggetto
agli oneri previsti, per la cessione di crediti verso lo Stato, dagli artt. 69 e 70 del r.d. 18/11/1923, n. 2440, e che era stato pubblicato nella G.U. della Repubblica Italiana ex art. 26 del d.lgs. 14/12/1992, n. 481 (poi trasfuso nell’art. 58, comma 4, del d.lgs. 1/09/1993, n. 385) per gli effetti dell’art. 1264 cod. civ.; sul punto la ricorrente deduce che il contratto di cessione di azienda bancaria non sia conforme alle disposizioni degli artt. 69 e 70 r.d. n. 2440/1923 posto che non contiene alcuna indicazione del titolo e dell’importo dei crediti ceduti e si duole che la contribuente, su cui gravava l’onere probatorio in quanto parte attrice in senso sostanziale, avrebbe dovuto produrre , unitamente alle ritenute d’acconto, copia della documentazione inerente i versamenti effettuati dal sostituto di imposta.
Il primo motivo è inammissibile.
3.1. Fin dal giudizio di primo grado l’amministrazione finanziaria ha dedotto l’inammissibilità del ricorso originario della contribuente, per l’omessa impugnazione nel termine di decadenza, ex art. 21 del d.lgs. 31/12/1992, n. 546, del diniego di rimborso di cui al provvedimento n. 4130 del 21/12/1996, oggi lamentando che la CTR abbia errato nel non valutare a tal fine il predetto provvedimento.
3.2. Il motivo in realtà non si confronta con la sentenza impugnata che, sul punto, ha espressamente evidenziato che l’amministrazione non aveva dato alcuna prova dell’esistenza di un rigetto impugnabile, tale non potendosi ritenere il diniego alla manifestazione di disponibilità a estinguere i crediti ricevendo parte della somma pretesa in restituzione mediante l’assegnazione di titoli di Stato, ai sensi della l. n. 457/1994, sicché il detto provvedimento, non costituendo decisione su istanza di rimborso, non era provvedimento impugnabile ai sensi dell’art. 19 d.lgs. n. 546/1992.
3.3. Del resto, questa Corte, pronunciandosi in analogo contenzioso relativo al credito esposto in dichiarazione sempre dalla Cassa Rurale Artigiana di Palma di Montechiaro ma con riferimento
ad altro anno di imposta, ha già statuito, con riferimento allo stesso provvedimento n. 4130 del 21/12/1996 (che riguardava, evidentemente, più anni di imposta), che il medesimo non era provvedimento impugnabile (Cass. 09/12/2021, n. 39135; analogamente Cass. 17/07/2023, n. 20648). In motivazione questa Corte ha precisato che detto provvedimento «non possa considerarsi atto impugnabile ex art. 19, comma 1, lett. g, del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546, non essendo q ualificabile nei termini di ‘rifiuto espress o o tacito della restituzione di tributi’. Difatti, la richiesta respinta della “RAGIONE_SOCIALE” non aveva per oggetto il rimborso del credito IRPEG per l’anno d’imposta 1986, di cui essa aveva acquistato la titolarità per effetto della cessione di azienda del 2 dicembre 1992, anche in considerazione della reiterata proposizione della relativa istanza nelle dichiarazioni annuali dei redditi ex art. 1 del D.M. 26 agosto 1994, ma l’opzione per una diversa modalità di estinzione del medesimo credito (assegnazione di titoli di Stato) ai sensi dell’art. 5, commi 1 e 1-bis, del D.L. 23 maggio 1994 n. 307, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 luglio 1994 n. 457. Per cui, il rifiuto di soddisfare il credito con la modalità alternativa dell’assegnazione dei titoli di Stato non poteva equivalere ad un diniego (ancorché tacito) di rimborso».
3.4. Su detta statuizione, come già evidenziato da Cass. 03/08/2023, n. 23709, è sceso il giudicato.
L’esistenza del giudicato esterno è, a prescindere dalla posizione assunta in giudizio dalle parti, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, trattandosi di un elemento che può essere assimilato agli elementi normativi astratti, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto; sicché, il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione
primaria del processo e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione (cfr. tra le tante, Cass. 26/06/2018, n. 16857).
Inoltre, nel giudizio di cassazione, in caso di giudicato esterno conseguente ad una sentenza della stessa Corte, la cognizione del giudice di legittimità può avvenire anche mediante quell’attività di ricerca (relazioni, massime ufficiali e consultazione del CED) che costituisce corredo del collegio giudicante nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti tra giudicati, in coerenza con il divieto del ne bis in idem (cfr. Cass. 27/07/2017, n. 24740; Cass. 4/12/2015, n. 24740; Cass., Sez. U., 17/12/2007, n. 2648, che ha abbandonato il precedente orientamento – espresso da Cass., Sez. U., 06/05/2000, n. 295 – che leggeva il dovere della Corte di conoscere le proprie sentenze in funzione di garanzia della sola attività nomofilattica).
Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
4.1. In primo luogo, esso non si confronta con la ratio della decisione; i giudici di appello, infatti, qualificando come cessione di azienda (qualificazione non oggetto di alcuna censura esplicita da parte della ricorrente) il contratto del 2/12/1992 tra RAGIONE_SOCIALE e Credito Italiano s.p.a. hanno conseguentemente escluso che essa fosse soggetta agli oneri previsti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 del r.d. 18/11/1923, n. 2440.
4.2. In secondo luogo, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (tra le tante: Cass. 29/05/2018, n. 13395; Cass. 19/08/2020, n. 17313; Cass. 22/07/2021, n. 20950; Cass. 29/07/2021, n. 21831, nonché in riferimento a vicende sovrapponibili a quella in esame Cass. 29/12/2021, n. 39135; Cass. 26/05/2023, n. 14766), e non concerne l’interpretazione del materiale istruttorio, tanto meno la qualificazione di un contratto. In ogni caso, questa Corte, con il precedente già citato (Cass. 29/12/2021, n. 39135, poi ribadito da Cass. 03/08/2023, n. 23709), ha già condiviso la qualificazione resa dalla CTR secondo cui l’Unicredit aveva acquistato la titolarità del credito d’imposta per effetto della cessione di azienda ( ex art. 2559 cod. civ.) del 2/12/1992, che non era soggetta agli oneri previsti per la cessione di crediti verso lo Stato dagli artt. 69 e 70 r.d. 18/11/1923, n. 2440, e che era stata pubblicata nella G.U. della Repubblica Italiana ex art. 26 d.lgs. 9/12/1992, n. 481 (poi trasfuso nell’art. 58, comma 4, del d.lgs. 1/09/1993, n. 385) per gli effetti dell’art. 1264 cod. civ..
4.3. Ferme le già espresse considerazioni sulla modalità di deduzione della violazione dell’art. 2697 cod. civ., che impedisce di chiedere una rivalutazione del materiale istruttorio, la CTR ha esattamente ripartito gli oneri probatori tra le parti, ritenendo che la contribuente avesse assolto il proprio.
Su analoghe vicende, per altri anni di imposta, questa Corte (Cass. 03/08/2023, n. 23709; Cass. 03/08/2023, n. 23672; Cass. 03/08/2023, n. 23666; Cass. 17/07/2023, n. 20648; Cass. 26/05/2023, n. 14766) ha già evidenziato che, nella vigenza dell’art. 3 d.P.R. 29/09/1973, n. 600, nel testo anteriore alle modifiche apportate dal d.l. 31/05/1994, n. 300, convertito con modificazioni dalla l. 27/07/1994, n. 473, questa aveva ritenuto che la certificazione relativa alla ritenuta alla fonte, rilasciata dal sostituto d’imposta, non ammettesse equipollenti (cfr. Cass. 05/09/2014, n. 18734).
Con riferimento al quadro normativo successivo alle modifiche di cui all’art. 1 d.l. n. 300/1994, che ha attenuato la rilevanza
formale della certificazione, si è poi affermato che, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, l’omessa esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo. Si è evidenziato, in proposito, che l’attestato del sostituto è prova tipica, ma non esclusiva, la cui assenza non è in grado di esporre il sostituito a preclusioni difensive (Cass. 07/06/2017, n. 14138 e, tra le più recenti, Cass. 07/06/2022, n. 18179). Pertanto, l’attestazione del sostituto d’imposta costituisce per il sostituito prova tipica ancorché non esclusiva -della ritenuta subita. Tale assunto trova conforto anche nella giurisprudenza della Corte che, in tema di legittimazione del sostituto o del sostituito a richiedere il rimborso delle imposte versate a mezzo ritenuta -questione sulla quale è consolidato l’orientamento che la riconosce ad entrambi ha precisato, da un lato, che la mancanza di documentazione in allegato alla domanda di rimborso, e quindi, in sostanza, la carenza di prova per determinare l’ an ed il quantum del rimborso, non sono considerati dal legislatore direttamente motivo di rigetto o di inammissibilità dell’istanza, dando vita piuttosto ad un confronto con l’ufficio ed alla possibilità di integrazione dei documenti rilevanti; dall’altro lato che per i lavoratori dipendenti, qualora presentino il mod. 740, la prova dell’effettuazione delle ritenute, ai fini del rimborso, consiste nella sola indicazione di esse nella suddetta dichiarazione (Cass. 22/05/2019, n. 13771).
Infine, occorre richiamare il risalente e non contrastato orientamento di questa Corte che, traendo spunto dalla considerazione che il termine per l’istanza di rimborso ex art. 38 d.P.R. n. 602/1973, decorre dall’effettuazione della ritenuta e non dal suo versamento, evento estraneo alla sfera di conoscenza del sostituito, afferma che questi, qualora chieda il rimborso dell’imposta che assume indebita, riscossa in tutto o in parte alla fonte, debba fornire la prova di avere subito tale ritenuta, senza dovere, altresì,
dimostrare che l’imposta sia stata effettivamente incassata dall’erario (Cass. 02/10/1996, n. 8606; Cass. 10/01/2006, n. 239; di recente, v. anche Cass. 28/04/2022, n. 13234, in motivazione; Cass. 19/04/2023, n. 10572).
La CTR si è attenuta a questi principi. Infatti, ha affermato che il credito di imposta fosse provato dai documenti in atti e che spettasse all’Ufficio muovere contestazioni specifiche in ordine alle stesse.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1quater , d.P.R. 30/05/2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate a pagare, in favore di Unicredit s.p.a., le spese di lite, che liquida in euro 3.500,00 per compensi, oltre al 15% per rimborso spese generali, euro 200,00 per esborsi, iva e cpa come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 febbraio 2025.