Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15036 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15036 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3151 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL e dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– resistente –
Oggetto: TRIBUTI -rimborso costi fideiussione -art. 8, comma 4, legge n. 212 del 2000
avverso la sentenza n. 2074/22/2023 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della LOMBARDIA, depositata il 28/06/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento dell’Agenzia delle entrate di diniego di rimborso dei costi, pari a 119.007,24 euro, che la RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto per la prestazione di garanzia in relazione alla compensazione effettuata nell’ambito della liquidazione dell’IVA di gruppo, ex artt. 38-bis e 73 del d.P.R. n. 633 del 1972, del l’eccedenza dell’IVA detraibile risultante dalla dichiarazione relativa all’anno d’imposta 201 2, con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia rigettava l’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado sostenendo che:
a) la fattispecie in esame non trovava regolamentazione, come invece aveva sostenuto la società appellante, nell’art. 8 della legge n. 212 del 2000 che «subordinando il rimborso al definitivo accertamento dell’inesistenza o della parziale esistenza del debito tributario, fa chiaramente riferimento ad una pretesa erariale oggetto di attività accertativa da parte dell’Ufficio contestata dal contribuente in sede giurisdizionale», non potendosi equiparare all’accertamento giudiziale dell’esistenza, totale o parziale del tributo, l’ipotesi del decorso del tempo per rettificare il credito del contribuente ovvero dell’acquiescenza del contribuente alla pretesa erariale, nella specie peraltro insussistente, venendo in evidenza un’eccedenza IVA che non è stata mai in contestazione tra le parti;
b ) «il caso di specie risulta, invece, regolato dall’art. 38 bis d.p.r. n. 633/73 che prevede la facoltà di chiedere il rimborso del credito
IVA in alternativa alla compensazione in dichiarazione, purché accompagnata dalla prestazione di idonea garanzia», ma tale «norma non riconosce alcun diritto al rimborso dei costi della fideiussione, trattandosi di una libera scelta del contribuente»;
l’introduzione solo nel 2017 (con l’art. 7 della legge n. 167 del 2017, emanata a seguito di procedura di infrazione comunitaria), di una forma di ‘ristoro forfetario’ per le fideiussioni prestate ai sensi dell’art. 38 -bis, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, al fine di ottenere un rimborso IVA, costituiva una conferma ‘a contrario’ dell’inesistenza prima di tale data di un diritto del contribuente a vedersi riconosciuto il ristoro degli oneri finanziari connessi al rilascio di polizze fideiussorie ; d’altro canto, osservano i giudici di appello, se vi fosse stato un analogo diritto al rimborso anche per le fideiussioni prestate prima dell’entrata in vigore della novella del 2017, il legislatore avrebbe conferito al citato art. 7 valore di norma di interpretazione autentica con efficacia retroattiva e, comunque, non avrebbe avuto neppure necessità di introdurre una disciplina ad hoc con la novella del 2017 se fosse stato possibile invocare l’applicazione in via generale dell’art. 8 dello Statuto del contribuente;
d) in ogni caso, l’istanza di rimborso, presentata il 24 dicembre 2018 era tardiva con riferimento sia alla data della fideiussione, presentata il 25 settembre 2013, sia alla data di sostenimento del costo del 25 settembre 2016, perché presentata oltre il termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, applicabile alla fattispecie in esame.
Avverso tale statuizione la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui non ha replicato per iscritto l’intimata.
Considerato che:
La società ricorrente, dopo una ‘Premessa’ in cui ha dato atto delle più recenti e rilevanti pronunce di questa Corte in materia di
rimborso degli oneri fideiussori ai sensi dell’art. 8, comma 4, della L. 27 luglio 2000, n. 212, da cui emergeva un ormai granitico orientamento a favore del riconoscimento del rimborso dei costi sostenuti per le prestazioni di garanzie ai fini dei cd. rimborsi accelerati dell’IVA ai sensi degli artt. 30 e 38-bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con il primo motivo di ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 2946 cod. civ., sostenendo che avevano errato i giudici di appello a ritenere applicabile alla fattispecie il termine biennale di decadenza di cui al citato art. 21, e quindi tardiva l’istanza presentata per ottenere il rimborso di quei costi che hanno natura privatistica e, quindi, sottostanno al termine di prescrizione decennale.
1.1. Il motivo è fondato e va accolto alla stregua del principio, condiviso dal Collegio, secondo cui «La polizza fideiussoria di cui all’art. 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972, avendo la funzione di porre le parti nella posizione anteriore al rimborso e non quella di sostituire e garantire il versamento d’imposta, non è accessoria, ma autonoma rispetto al rapporto d’imposta, sicché alla relativa azione di rimborso non si applica il termine biennale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, in quanto riferito al richiamato art. 19 e, quindi, alla restituzione di tributi e di sanzioni». Principio affermato da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 5508 del 28/02/2020 (Rv. 657368 – 03) e ribadito, successivamente da numerose pronunce di questa Sezione (Cass. n. 19756 del 2020; n. 25003 del 2023; n. 23724 del 2023) tra cui l’ ordinanza n. 20024 del 13/07/2023 (Rv. 668257 – 02) e la più recente sentenza n. 6069 del 06/03/2024 (non massimata).
Con il secondo motivo la ricorrente deduce , ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 324 cod. proc. civ. e 49 del d.lgs. n. 546 del 1992. La ricorrente, ribadito che questa Corte si era espressa numerosissime volte nel
senso dell’applicabilità dell’art. 8, comma 4, della legge n. 212 del 2000 in fattispecie del tutto analoghe, di istanze di rimborso di oneri fideiussori sostenuti per ottenere il recupero dell’eccedenza IVA ex art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, invoca il giudicato esterno formatosi con riferimento alla sentenza di questa Corte n. 33487 del 30 novembre 2023 pronunciata tra le stesse parti in relazione ad istanze di rimborso di oneri fideiussori sostenuti per il recupero dell’eccedenza IVA maturata nell e annualità 2008-2011.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8, comma 4, della legge n. 212 del 2000, 38-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 e 7 della legge n. 167 del 2017, per avere i giudici di appello erroneamente sovrapposto le discipline dettate dalle citate disposizioni, non avvedendosi che l’art. 38 -bis del d.P.R. n. 633 del 1972 è dettato unicamente per il rimborso dei crediti IVA mentre l’art. 8, comma 4, della legge n. 212 del 2000 disciplina la diversa ipotesi del rimborso degli oneri sostenuti per le garanzie finalizzate all’ottenimento di quei rimborsi d’imposta.
3.1. Sostiene, ancora la ricorrente, che hanno errato i giudici di appello anche là dove hanno limitato l’operatività del disposto di cui al citato art. 8 ai soli casi in cui i costi fideiussori siano sostenuti a fronte dell’emissione di un avviso di rettifica o di accertamento laddove, invece, tale norma – come anche chiarito da Cass. n. 5508/2020 – concerne le modalità di recupero degli oneri fideiussori prestati sia ai fini del rimborso cd. accelerato, ai sensi dei commi 1 e 2 dell’art. 38 -bis cit., che successivamente all’erogazione di rimborsi nell’ambito di un’attività di accertamento ai sensi del sesto comma della medesima disposizione.
3.2. Afferma, infine, che la tesi, pure sostenuta nella sentenza impugnata, secondo cui l’introduzione con l’art. 7 della legge n. 167 del 2017 di una forma di ristoro forfetario degli oneri fideiussori
costituiva una chiara conferma dell’inapplicabilità del disposto di cui all’art. 8 citato, era infondata sia in considerazione del fatto che quella disposizione non era applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, sia perché la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 5508/2020; n. 25003/2023; n. 33487/2023) si era pronunciata in senso contrario alla tesi sostenuta dall’amministrazione finanziaria e fatta propria dai giudici di appello.
Con il quarto motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 167 e 183 della Direttiva n. 112/2006/CE e dei principi comunitari di detrazione, proporzionalità, e di neutralità dell’Iva in quanto l’erronea interpretazione operata dai giudici di appello dell’art. 8, comma 4, dello Statuto, comporta la lesione dei principi fissati dall’orientamento consolidato della Corte di giustizia secondo cui le modalità di rimborso fissate dallo Stato membro non devono essere tali da far correre rischi finanziari al soggetto passivo.
Il terzo e quarto motivo di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati e vanno accolti.
5.1. Al riguardo possono richiamarsi le considerazioni svolte da questa Corte nella sentenza n. 33487 del 30/11/2023 emessa nel giudizio vertente tra le stesse parti ed avente il medesimo oggetto, ovvero le richieste di rimborso degli oneri fideiussori, avanzate dalla società contribuente ai sensi dell’art. 8, comma 4, della legge n. 212 del 2000, con riferimento alle annualità d’imposta 2008 -2011.
5.2. In tale sentenza si è richiamata la già citata ordinanza n. 5508/2020 che ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui «in tema di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, chiesta dal contribuente per ottenere la sospensione, la rateizzazione o il rimborso dei tributi, ha portata generale ed è indipendente dalla fisionomia della controversia tributaria, stante l’esigenza ad essa sottesa di preservare l’integrità patrimoniale dei
contribuenti, in caso di infondatezza della pretesa impositiva o di legittimità della pretesa di rimborso di somme dovute, che una diversa interpretazione frustrerebbe, oltre a porsi in contrasto con il diritto UE».
5.3. Nella richiamata pronuncia, questa Corte ha precisato che già con la sentenza 5 agosto 2015, n. 16409, si era affermato che l’art. 8, comma 4, della l. n. 212 del 2000, che impone all’Amministrazione finanziaria di rimborsare il costo delle garanzie fideiussorie richieste dal contribuente per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, comprende i costi di tutte le garanzie che il contribuente ha richiesto: ciò perché l’espressione “ha dovuto richiedere” si deve intendere non nel senso dell’esistenza di un ipotetico obbligo normativo in tal senso, bensì con riferimento alla necessità (intesa come onere) della richiesta della garanzia in rapporto allo scopo perseguito (ottenere la sospensione del pagamento di tributi o la rateizzazione o il rimborso). Anche Cass. 28 agosto 2013, n. 19751, ha riconosciuto portata generale al diritto al rimborso dei costi per le polizze fideiussorie indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria «(sia che la stessa debba individuarsi con riferimento al credito d’imposta vantato dal contribuente, sia che debba invece individuarsi, come nella specie, con riferimento alla imposta o maggiore imposta pretesa dall’Amministrazione finanziaria in seguito all’avvenuto rimborso del credito IVA)». Una diversa opzione in effetti frustrerebbe l’esigenza presidiata dalla disposizione di preservare l’integrità patrimoniale dei contribuenti, a fronte di una pretesa impositiva infondata o di una legittima pretesa al rimborso di somme dovute, e, per conseguenza, rischierebbe di entrare in frizione col diritto unionale. E ciò in base al consolidato orientamento della Corte di giustizia, in base al quale gli Stati membri indubbiamente dispongono di una certa libertà quanto alla determinazione delle modalità di rimborso dell’eccedenza di iva,
purché, però, il sistema di rimborso adottato non faccia correre alcun rischio finanziario al soggetto passivo (Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, RAGIONE_SOCIALE, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, RAGIONE_SOCIALE, punto 33). Il sistema italiano dei rimborsi iva, d’altronde, ha indotto la Commissione europea a promuovere nei confronti dell’Italia una procedura d’infrazione (la n. 2013/4080), giunta allo stadio della messa in mora ex art. 258 del TFUE. Secondo la Commissione la combinazione degli artt. 30 e 38- bis del d.P.R. n. 633/72, nel testo all’epoca vigente, non soltanto contemplava il termine finale di tre mesi per l’erogazione del rimborso in relazione a categorie troppo ristrette di contribuenti, ma subordinava l’erogazione del rimborso, a norma dell’art. 38-bis, 10 co., a requisiti eccessivamente onerosi, ossia alla prestazione di una garanzia (cauzione, fideiussione o polizza fideiussoria) per una durata di tre anni. Il legislatore italiano ha dovuto quindi modificare l’assetto dei rimborsi per fronteggiare la messa in mora: ha dapprima novellato il primo comma dell’art. 38-bis escludendo la necessità della prestazione di garanzia, salvo casi specifici (art. 13 del d.lgs. 21 novembre 2014, n. 175); poi ha elevato da 15.000 a 30.000 euro la soglia dei rimborsi eseguibili senza alcun adempimento (art. 7-quater, comma 32, del d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, conv., con mod., dalla l. 1 dicembre 2016, n. 225); infine, per le ipotesi residue in cui il soggetto che chiede il rimborso presenti profili di rischio e continui a essere tenuto alla prestazione di una garanzia, ha previsto il versamento di una somma forfetaria a titolo di ristoro delle spese sostenute per il rilascio della garanzia, per ogni anno di durata di questa, da corrispondere quando sia stata definitivamente accertata la spettanza del rimborso (art. 7 l. 20 novembre 2017, n. 167). (cfr. Cass. n. 5508/2020). Alla luce di quanto sopra esposto, l’interpretazione dell’art. 8 della l. n. 212/00 offerta da Cass., sez. 5,
n. 16409/15, da Cass. n. 5508/2020, e da ultimo, nello stesso senso, da Cass. n. 9723/2023 (che ha specificato il principio di diritto nel senso che, in materia di IVA, il diritto al rimborso dei costi relativi alla garanzia fideiussoria, richiesta dal contribuente al fine di ottenere il rimborso dei tributi, ha portata generale indipendentemente dalla fisionomia della controversia tributaria, e non va pertanto riconosciuto esclusivamente per le spese relative a garanzie acquisite nell’ambito di una specifi ca attività di accertamento del tributo stesso) si presenta, dunque, come soluzione preferibile, anche alla luce del diritto unionale.
5.4. Nella specie, il giudice di appello non si è attenuto ai suddetti principi, ritenendo legittimo e non contrario al diritto unionale il diniego di rimborso sulla base di un’interpretazione dell’art. 8, comma 4, dello Statuto che ne limitava l’applicazione s oltanto ai casi di richieste di rimborso di costi di fideiussione nell’ambito di un procedimento di accertamento.
In estrema sintesi, vanno accolti il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e decisione nel merito, ex art. 384, secondo comma, ultima parte, cod. proc. civ., non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da compiere, con accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente.
Le spese processuali del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte soccombente mentre vanno compensate quelle dei gradi di merito, in considerazione del progressivo consolidamento dell’orientamento di questa Corte .
P.Q.M.
accoglie il primo, il terzo e il quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso della società contribuente. Compensa le spese relative ai gradi di merito e condanna l ‘Agenzia delle entrate
al pagamento in favore della ricorrente delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.900,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2025.