Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12244 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12244 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2575 -20 23 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale allegata al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pecEMAIL e dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– controricorrente –
Oggetto: TRIBUTI -rimborso parziale costi fideiussione -determinazione -modalità
avverso la sentenza n. 4335/20/2022 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della LOMBARDIA, depositata il 09/11/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 26 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento dell’Agenzia delle entrate di diniego parziale del rimborso dei costi di fideiussione che la RAGIONE_SOCIALE aveva sostenuto al fine di ottenere il rimborso dei crediti IVA maturati negli ann i d’imposta 2008, 2009 e 2010, con la sentenza in epigrafe indicata la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia accoglieva l’appello della società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado riconoscendo a quest’ultima il rimborso dei predetti costi nella misura del 71 per cento rispetto a quanto invece riconosciuto dall’amministrazione finanziaria nella misura del 19,21 per cento. I giudici di appello condividevano l’assunto sostenuto dalla società contribuente in base al quale la percentuale rimborsabile dei costi di fideiussione andasse determinata non secondo la formula applicata dall’amministrazione finanziaria, basata sull’importo massimo della garanzia , ma tenendo conto dell’intero ammontare dei carichi inizialmente pendenti nei confronti della società contribuente (per complessivi 87.223.349,29 euro), da cui andava detratto l’importo (pari a 29.509.478,00 euro) che residuava a seguito di rideterminazione dei predetti carichi (per annullamento dei carichi originari per un importo complessivo di 61.921.748,61 euro), secondo la formula (totale accertato -totale rideterminato) / totale accertato), e ciò in considerazione del fatto che la formula applicata dall’Ufficio « non tiene conto degli elementi che incidono sui costi che qualsiasi
contribuente deve sostenere per il rilascio di una fideiussione nei casi come quello in esame », ovvero « il tasso di rischio derivante dalla garanzia, cioè la percentuale variabile (normalmente nel mercato bancario tra lo 0.2% ed il 5%) in relazione all’oggetto della garanzia (nel nostro caso i carichi pendenti) », tant’è vero che « al momento del calcolo del tasso di rischio e del conseguente premio dovuto, il Banco di Bilbao non ha tenuto in considerazione il solo importo garantito (euro 29.509.478,00), bens ì anche l’intero ammontare dei carichi pendenti (euro 87.223.349,29), tra cui gli euro 61.921.748,61 poi successivamente annullati ». Pertanto, secondo i giudici di appello, « il maggiore o minore rimborso dovuto non dipende dalla ‘infedeltà fiscale’ del contribuente, intesa come ammontare dei carichi pendenti, bensì dalla maggiore o minore percentuale di illegittimità delle pretese erariali che hanno contribuito ingiustificatamente all’innalzamento del premio fideiussorio. In altri termini, il rischio in capo all’Erario di rimborsare il maggior costo sostenuto dal contribuente per il rilascio delle garanzie de quibus deriva direttamente dalla errata attività accertativa dallo stesso Erario portata avanti. Ed è, pertanto, corretto che tale rischio ricada sul Fisco, in quanto non si vede perché il contribuente dovrebbe essere tenuto a sostenere assai più elevati oneri fideiussori per il solo fatto che l’Amministrazione finanziaria abbia avanzato una più rilevante pretesa fiscale poi dichiarata illegittima e, dunque, non dovuta ».
1.1. Si legge, inoltre, nella sentenza impugnata che « Da un punto di vista normativo, l’art. 8 è estremamente chiaro nell’affermare che il rimborso deve essere effettuato ‘quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata’, da cui derivano due conseguenze: a) non c’è alcun riferimento al totale massimo garantito con la fideiussione, ma semmai la rilevanza di quanto definito rispetto all’accertato, così come nella determinazione
effettuata dall’odierna appellante; b) la locuzione ‘che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata’ esclude chiaramente l’inserimento delle sanzioni nella determinazione dell’onere rimborsabile, differentemente da q uanto sostenuto dall’Ufficio », il quale, peraltro, aveva determinato l’importo massim o della garanzia (pari a 31.318.449,50 euro) senza computare le sanzioni irrogate, mentre nell’importo rideterminato (indicato in 25.301.600,68 euro) aveva considerato anche le sanzioni, così parametrando tra loro valori non omogenei.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il motivo di ricorso la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, della legge n. 212 del 2000.
1.1. Sostiene che, diversamente da quanto affermato dai giudici di appello, nella individuazione della quota dei costi di fideiussione da rimborsare alla società contribuente « non occorre fare riferimento all’importo dei controcrediti, bensì all’importo della somma garantita, con la conseguenza che se, dagli iniziali circa 31 milioni chiesti a rimborso, ne risultano spettanti solo circa 6 milioni, quale differenza tra garanzia iniziale e totale delle imposte rideterminate (con applicazione della percentuale del 19,21% dell’importo richiesto), solo di tale percentuale della fideiussione spetterà il rimborso. La ratio di tale interpretazione della norma dello Statuto del contribuente è duplice, perché, da un lato, non fa ricadere l’onere economico della garanzia sul contribuente, laddove non sia esistita una reale esigenza di garanzia di crediti erariali, e dall’altro, tutela l’interesse dello Stato nel caso di sospensione o rateizzazione della riscossione di un tributo ovvero di effettuazione di un rimborso in pendenza di carichi pendenti
poi esistenti ». Sostiene, ancora, la ricorrente che « anche le sanzioni potevano dare origine all’escussione della garanzia», sicché «anche tali somme devono essere considerate nella determinazione dell’ammontare di quanto effettivamente dovuto ».
Il motivo è ammissibile e fondato e va, pertanto, accolto.
Sotto il primo profilo osserva il Collegio che la controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza, per non avere la ricorrente ivi trascritto o riprodotto gli atti del giudizio di merito cui aveva fatto riferimento nell’illustrazio ne della censura, in particolare l’istanza di rimborso, il provvedimento di diniego impugnato, la lettera raccomandata con la quale l’Ufficio aveva richiesto alla società contribuente di garantire i carichi pendenti, « nonché i diversi atti di parte depositati dalla Società » (controricorso, pag. 11-12).
3.1. L’eccezione è manifestamente infondata posto che, da un lato, molti di quei documenti cui ha fatto riferimento la controricorrente risultano allegati al ricorso e presenti nel fascicolo telematico; dall’altro, la censura è incentrata, peraltro del tutto correttamente, su un error in iudicando non implicante un diverso accertamento dei fatti, pacifici tra le parti, sicché la riproduzione del contenuto della documentazione indicata dalla controricorrente, di cui neppure è chiesta una diversa valutazione, sarebbe stata del tutto superflua e non decisiva ai fini dello scrutinio del motivo.
Invece, la fondatezza del motivo discende lapalissianamente dal contenuto della disposizione censurata e dalle argomentazioni, invero del tutto erronee anche sotto un profilo di logica giuridica, svolte nella sentenza impugnata.
4.1. Il comma 4 dell’art. 8 della legge n. 212 del 2000 prevede che «L’amministrazione finanziaria è tenuta a rimborsare il costo delle fideiussioni che il contribuente ha dovuto richiedere per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi.
Il rimborso va effettuato quando sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta o era dovuta in misura minore rispetto a quella accertata».
4.2. Si è correttamente affermato che la norma detta una disciplina in sé sufficientemente compiuta – essendo stabiliti i presupposti dell’insorgenza del diritto al rimborso, il suo oggetto, il soggetto tenuto a provvedere e il soggetto avente diritto -, tale da attribuire al contribuente un diritto soggettivo perfetto, posto a tutela della sua integrità patrimoniale (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 16409 del 05/08/2015, Rv. 636097 -01, in motivazione).
4.3. Nella prospettiva unionale di preservare il contribuente da qualsiasi rischio finanziario connesso alle modalità di rimborso dei tributi (cfr. Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C-387/16, punto 24; 6 luglio 2017, causa C-254/16, RAGIONE_SOCIALE, punto 20; 12 maggio 2011, causa C-107/10, RAGIONE_SOCIALE 3, punto 33), si è affermata l’ autonomia della garanzia, che risponde ad una funzione indennitaria e non satisfattoria, perché è volta al trasferimento da un soggetto a un altro del rischio economico derivante dalla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale oppure dall’insussistenza dei presupposti per ottenere il rimborso dell’iva (Cass., sez. un., 18 febbraio 2010, n. 3947 e, da ultimo, ord. 9 maggio 2019, n. 12228), sicché va esclusa l’accessorietà della polizza fideiussoria rispetto al rapporto d’imposta. Pertanto, il rapporto che s’instaura tra l’Agenzia ed il contribuente per la restituzione della somma corrispondente ai costi sostenuti per l’ottenimento della polizza fideiussoria è autonomo rispetto a quello concernente il rimborso. Anche la restituzione di questa somma mira alla reintegrazione economica del contribuente; ma questa reintegrazione, sia pure correlata a quella derivante dal rimborso dell’iva, ha un oggetto di verso da quest’ultimo, consistente nella somma che il contraente la polizza ha dovuto corrispondere al
garante, al fine di ottenere che questi fornisse al fisco la propria prestazione, qualitativamente altra rispetto al rapporto d’imposta (così in motivazione, Cass., Sez. 5, ord. n. 5508 del 28/02/2020, Rv. 657368 -02).
4.4. E’, quindi, evidente che nella quantificazione della quota proporzionale del costo della fideiussione bancaria da rimborsare al contribuente i valori che vanno presi in considerazione sono, da un lato l’importo garantito, dall’altro il controcredito erariale esistente alla data di erogazione del rimborso.
4.5. Non possono, pertanto, utilizzarsi valori estranei a quelli sopra indicati, come pretenderebbe la controricorrente e di fatto applicati nella sentenza impugnata, che quantifica quella percentuale nel rapporto tra l’entità dell’originario controcredito dell’erario (di 87.223.349,29 euro) e quello successivamente rideterminato in diminuzione (di 25.301.600,68 euro). Infatti, l’errore in cui incorr ono la controricorrente e la sentenza impugnata è quello di non considerare che:
la garanzia fideiussoria venne prestata sull’importo chiesto a rimborso dalla società contribuente, ovvero di 29.509.478,00 euro in linea capitale, che, maggiorato degli interessi, ammontava a complessivi 31.318.449,50 euro;
il controcredito vantato dall’erario al momento della richiesta di rimborso degli oneri fideiussori ammontava alla somma sopra indicata di 25.301.600,68 euro (somma che, si è detto, essere stata rideterminata in diminuzione dagli originari 87.223.349,29 euro).
Ed è su tali importi che andava calcolato quello da rimborsare alla società contribuente perché a fronte di una richiesta di rimborso di oltre 31 milioni di euro, che è circostanza pacifica, residuava, per stessa ammissione della società contribuente (v. pagg. 6 e 14 del controricorso), una pretesa erariale (controcredito) di oltre 25 milioni euro.
4.6. Va ulteriormente precisato che non è neppure condivisibile la tesi sostenuta dai giudici di appello, secondo cui sugli oneri fideiussori abbia inciso l’entità complessiva dei carichi pendenti all’epoca della stipula della polizza, aumentando il coeffi ciente del tasso di rischio applicato dall’istituto bancario, sia perché la circostanza non risulta dimostrata, sia perché l’entità di quei carichi al più può aver inciso sul costo della garanzia, che però non è oggetto di contestazione.
4.7. A ciò aggiungasi che la tesi sostenuta nella sentenza d’appello si espone ad un ulteriore rilievo di deficit logico, posto che a fronte di una garanzia resa per un importo di poco superiore a 31 milioni di euro ed una pretesa fiscale non annullata e quindi in presenza di un controcredito attuale per un importo di poco superiore a 25 milioni di euro, il costo della polizza verrebbe rimborsato per una quota (del 71 per cento) chiaramente sproporzionata rispetto ai valori ancora in gioco.
Da ultimo deve osservarsi che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici di appello, l’amministrazione finanziaria ha correttamente determinato l’entità complessiva dei carichi pendenti da dedurre dall’importo garantito (cioè del proprio controcredito ) nella formula utilizzata per determinare la quota di oneri fideiussori da rimborsare, includendovi anche le sanzioni, che sono comunque dovute dalla parte contribuente.
5.1. È evidente, invece, che nel caso in esame, di richiesta di rimborso di tributi, le sanzioni non potevano essere (ed infatti non sono state) incluse nell’importo da garantire costituito, appunto, dal solo importo dei tributi e degli interessi chiesti a rimborso.
In estrema sintesi, il ricorso va accolto e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia anche
per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 26 febbraio 2025.