Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22058 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22058 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME FILIPPO
Data pubblicazione: 05/08/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 30572/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. CODICE_FISCALE), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE ) e dall’AVV_NOTAIO. AVV_NOTAIO NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura
Oggetto: tributi -addizionali provinciali -rimborso -compensazione decadenza – decorrenza
speciale a margine del controricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente -avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Emilia -Romagna, n. 1113/05/18 depositata in data 19 aprile 2018 Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 28 maggio 2024; udita la relazione del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO dell’Avvocatura Generale dello Stato per il ricorrente; in sostituzione dell’AVV_NOTAIO
udito l’AVV_NOTAIO per il controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di compravendita di energia elettrica, ha impugnato un diniego di rimborso di addizionali provinciali sull’accisa relative alla Provincia di Ravenna, emergente dalle dichiarazioni di consumo 2007 e 2008, per effetto dei conguagli conseguenti agli acconti versati per i periodi di imposta 2006 e 2007. Parte contribuente ha presentato la domanda di rimborso in data 4 luglio 2011, dando atto -come risulta dalle motivazioni indicate nella sentenza di primo grado, riportate nella sentenza di appello -dell’impossibilità di riportare a nuovo ulteriormente i crediti di imposta per effetto dell’abrogazione delle addizionali – già istituite d all’art. 6, comma 2, d.l. 28 novembre 1988, n. 511 – a termini del d. lgs. 6 maggio 2011, n. 68 . L’Ufficio ha dedotto l’intervenuta decadenza ex art. 14, comma 2 d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA).
La società contribuente ha dedotto, in primo luogo, la spettanza del diritto al rimborso, ritenendo inapplicabile il termine di decadenza biennale ai versamenti di imposta in eccesso esposti in dichiarazione; in subordine, ha chiesto compensarsi l’eccedenza di imposta a credito ex art. 56, comma 1, TUA, dando atto di non avere potuto nei precedenti periodi di imposta compensare detti importi, in quanto la riduzione del volume di forniture aveva impedito che gli acconti successivi estinguessero interamente l’eccedenza già accumulata.
La CTP di Ravenna ha accolto il ricorso, ritenendo di fare applicazione del termine di prescrizione decennale, con sentenza confermata dalla CTR dell’Emilia -Romagna, qui impugnata. Ha ritenuto il giudice di appello che nel caso di specie si verte in tema di « conguaglio ordinario » che non soggiace al termine di decadenza previsto dall’art. 14 TUA ; la sentenza qui impugnata ha osservato, sul punto, che il rimborso si è reso necessario per effetto del venir meno del versamento delle addizionali.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio , affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso la società contribuente, la quale ha depositato memoria.
La causa, già chiamata all’adunanza camerale del 18 ottobre 2023, è stata rimessa in pubblica udienza. La società contribuente ha depositato ulteriore memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 56 e 14, comma 2, TUA, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la decadenza non sia applicabile al caso di specie. Osserva parte ricorrente che il termine di decadenza si applica sia ai pagamenti indebiti delle accise, sia ai pagamenti derivanti dalla liquidazione dell’imposta , trattandosi in entrambi i casi di pagamenti indebiti. Si
osserva, inoltre , che l’eccedenza a credito del contribuente può essere riportata a nuovo nei successivi periodi di imposta, ma ove sia chiesto a rimborso, questo deve avvenire entro il termine biennale di decadenza dalla originaria dichiarazione di consumo.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 18, comma 5, d. lgs. n. 68/2011, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che non si applica al caso di specie la norma di chiusura di cui all’art. 21 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Deduce parte ricorrente che l’abrogazione delle addizionali non ha incidenza nel caso di specie, in quanto decorrente dal periodo di imposta 2012 (successivo alla presentazione dell’istanza) per cui, in ogni caso, la richiesta di rimborso si sarebbe dovuta presentare entro il biennio dalla presentazione delle dichiarazioni annuali.
Il primo motivo è infondato nei termini che seguono, benché debba correggersi la motivazione della sentenza impugnata. E’ accertato che le addizionali provinciali versate in eccedenza di imposta si sono generate nei periodi di imposta 2006 e 2007. Tali eccedenze sono state riportate nelle dichiarazioni di consumo dei periodi di imposta successivi, non essendo stata la società contribuente in grado di compensare tali eccedenze con gli importi a debito successivi, evidentemente per riduzione dei volumi di vendita. La domanda di rimborso è stata depositata in data 4 luglio 2011, sul presupposto -come risulta implicitamente dalla motivazione della sentenza di primo grado riportata dal giudice di appello («non era più possibile procedere a conguaglio ordinario attesa la successiva eliminazione dell’addizionale stessa ») – della abrogazione delle addizionali, invero definitivamente abrogate per effetto dell’art. 4, comma 10, d.l. 2 marzo 2012, n. 16, con decorrenza dal 1° aprile 2012.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è consentito -in linea generale -chiedere il rimborso delle eccedenze di accise sui prodotti energetici maturate nel corso del rapporto, fino alla chiusura del rapporto medesimo (Cass., Sez. V, 18 giugno 2020, n. 11813; Cass., Sez. V, 3 marzo 2020, n. 5808); ciò in quanto « il meccanismo di assolvimento dell’accisa prevede esplicitamente (art. 26, comma 13, TUA) che ‘ le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto ‘ , con riferimento al solo meccanismo di “compensazione od accredito interno” e non anche al rimborso » (Cass., n. 11813/2020, cit.). Il che comporta che nel caso vi sia una stabile eccedenza a credito dell’imposta originariamente versata risultante dalla dichiarazione di consumo non può farsi applicazione di regimi previsti, ad es. in tema di IVA, che consente il rimborso in caso di soggetto di imposta che risulti strutturalmente a credito (art. 30, terzo comma, lett. a) e b) d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), ovvero in caso di situazioni contingenti legate a determinati periodi di imposta (art. 30, quarto comma, d.P.R. n. 633/1972).
Né può ritenersi che tale disciplina sia in contrasto con il diritto dell’Unione , in considerazione dell’ assenza di norme armonizzate che disciplinino il rimborso di tributi imposti in violazione del diritto dell’Unione. Il diritto dell’Unione lascia gli Stati membri liberi di applicare le modalità procedurali previste dal loro ordinamento giuridico interno, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (CGUE, 19 dicembre 2019, RAGIONE_SOCIALE, C360/18, punto 47; CGUE, 8 settembre 2011, COGNOME e COGNOME, C -89/10 e C -96/10, punto 34, CGUE, 20 dicembre 2017, RAGIONE_SOCIALE, C -500/16, punto 37); il principio di equivalenza va riferito ai regimi che disciplinano altre imposte del diritto interno; quello di effettività richiede, invece, la valutazione di non impossibilità di
esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (CGUE, C. 360/18, cit., punto 48; CGUE, 27 settembre 2012, RAGIONE_SOCIALE e a., C -113/10, C -147/10 e C -234/10, punto 61).
Il versamento indebito può essere oggetto di rimborso nel termine di due anni dal pagamento, non diversamente dalla norma di chiusura prevista dall’art. 21, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (rimborso anomalo), mentre in caso di eccedenza di imposta a credito, il rimborso deriva dal fatto che viene meno il rapporto tributario al quale è collegato il riporto a nuovo del credito di imposta; in questo caso, il rimborso è consentito nel termine di due anni dalla chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14, comma 2, TUA, per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dalla presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo (Cass., Sez. V, 7 settembre 2023, n. 26079).
Prima di tale momento -come correttamente evidenziato dal controricorrente -il tributo non può considerarsi indebito, ma utilizzabile mediante la detrazione dei maggiori importi versati in acconto dall’importo risultante dalla dichiarazione di consumo, esponendosi l’eccedenza di imposta nella dichiarazione medesima. In questo caso, la dichiarazione annuale di consumo indica che gli acconti versati sono maggiori dell’energia elettrica effettivamente immessa in consumo, per cui non può essere qualificato come indebito in senso stretto ed è, per contro, riconducibile alla struttura dell’eccedenza o rimborso «da dichiarazione» Cass., n. 11813/2020, cit.).
La naturale indicazione dell’eccedenza di imposta in detrazione come ordinaria modalità di estinzione dell’imposta stessa comporta che « se al momento della presentazione della successiva dichiarazione annuale di consumo, il credito è ancora esistente o, addirittura, è aumentato (ad esempio per l’eccessività degli acconti rispetto al consumo effettivo via via decrescente) (…) alla chiusura annuale del
periodo (…) si determina un nuovo saldo creditorio o debitorio che va a costituire un nuovo credito o debito rispetto a quelli precedentemente maturati, che si protrae o fino all’esaurimento del credito ovvero fino alla definizione del rapporto tributario, ossia fino alla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo» (Cass., n. 5808/2020, cit.; Cass., n. 11813/2020, cit.). Ragione per cui si afferma che questa obbligazione sia revolving , ossia si rinnova (in caso di impossibilità di compensazione nella dichiarazione di consumo successiva) di anno in anno, sino alla definitiva cessazione del rapporto di imposta (già Cass., Sez. V, 17 aprile 2013, n. 9283 ), salve le ulteriori ipotesi di estinzione del credito di imposta previste dalla legge.
9. E’ , pertanto, solo dall’ultima dichiarazione di consumo (diversamente, pertanto, da quanto sostiene l’Ufficio) , come emerso anche dalle conclusioni del Pubblico Ministero, non anche dalla dichiarazione in cui l’eccedenza di imposta si è generata, che può ritenersi -secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte decorrente il termine di decadenza per la richiesta di rimborso, in tesi per cessazione dell’attività di impresa e, di conseguenza, per cessazione dell’utilizzabilità del meccanismo normativo di compensazione e riporto a nuovo (Cass., Sez. V, 17 marzo 2021, n. 7535; Cass., 27 novembre 2019, n. 30912; Cass., Sez. V, 24 ottobre 2019, n. 27290; Cass., Sez. V, 18 giugno 2019, n. 16261). Come correttamente osserva il controricorrente, anche in memoria, il credito emergente dalle diverse dichiarazioni viene ogni volta « rinnovato nelle annualità successive », sino alla cessazione dell’attività, ovvero sino al verificarsi di altra circostanza in fatto che legittimi il rimborso.
10. Deve, pertanto, ritenersi che -diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata -alle richieste di rimborso del soggetto di imposta in tema di versamento di accise, come anche delle addizionali provinciali, si applica il termine di decadenza biennale di cui all’art. 14,
comma 2, TUA, che decorre (per i pagamenti indebiti) dal momento del pagamento e, in caso di riporto del credito a nuovo in successive dichiarazioni, dal momento del deposito dell’ultima dichiarazione di consumo, in cui sono maturate le condizioni per il rimborso.
La questione che si pone, pertanto, è se l’intervenuta abrogazione delle addizionali provinciali già istituite d all’art. 6 , comma 2, d.l. 28 novembre 1988, n. 511 costituisca causa idonea a determinare il rimborso delle stesse accise. Quesito al quale deve darsi risposta positiva -in continuità con la giurisprudenza di questa Corte (Cass., n. 5808/2020) -secondo cui «l’avvenuta abolizione dell’addizionale realizza una cesura, definitiva, nel modello di riporto in detrazione dei maggiori acconti versati alle annualità successive, sicché, correttamente, la contribuente aveva avanzato istanza di rimborso con riguardo a detti importi perché non più utilmente riportabili nelle successive dichiarazioni (…) il termine biennale di decadenza, con riferimento al credito maturato per l’addizionale provinciale, iniziava pertanto a decorrere dalla presentazione dell’ultima dichiarazione» (Cass., Sez. V, 22 agosto 2023, n. 25042; Cass., n. 30912/2019, cit.).
Questo termine decorre dal momento in cui il contribuente non può più riportare a nuovo l’eccedenza di imposta risultante dall’ultima dichiarazione di consumo. Detto termine coincide con l’ultima dichiarazione di consumo precedente l’abrogazione delle addizionali di cui all’art. 6 d.l. 28 novembre 1988, n. 511 (31.03.2012), addizionali abrogate dal 1° aprile 2012 ai sensi dell’art. 4, comma 10, d.l. 2 marzo 2012, n. 16 , giorno immediatamente successivo all’ultima dichiarazione di consumo in cui si sarebbe potuto procedere alla detrazione in oggetto.
Né può ritenersi intempestiva la domanda di rimborso della società contribuente, formulata in data 4 luglio 2011, per il fatto che la
non riportabilità a nuovo delle addizionali per abrogazione delle stesse sia intervenuta in un momento successivo alla proposizione della domanda. Tale evento costituisce condizione dell’azione per la domanda di rimborso, che deve sussistere al momento della decisione (Cass., Sez. V, 14 dicembre 2023, n. 35042). Ove, pertanto, l’evento si verifichi nel corso del giudizio e prima della pronuncia giurisdizionale, la domanda non può essere rigettata per intempestività (Cass., Sez. I, 16 marzo 2022, n. 8584; Cass., Sez. II, 9 novembre 2021, n. 32972).
14. Da tali premesse, emerge che la domanda di parte contribuente, presentata in data 4 luglio 2011, è tempestiva. La sentenza impugnata è conforme a diritto ma ne deve essere corretta la motivazione (avendo la sentenza impugnata incentrato la decisione sul regime prescrizionale) per quanto supra indicato. Il consolidamento di tale ratio decidendi comporta il difetto di interesse del ricorrente a esaminare il secondo motivo.
Il ricorso va, pertanto, rigettato, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo. Non può procedersi a compensazione delle spese come richiesto in sede di discussione dal controricorrente, in quanto la giurisprudenza cui si è fatto riferimento è anche precedente la proposizione del ricorso.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del controricorrente, che liquida in complessivi € 3.000,00 , oltre € 200,00 per esborsi, oltre 15% rimborso forfetario e accessori di legge.
Così deciso in Roma, in data 28 maggio 2024