Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33292 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33292 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 31913/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, nonché dall’Avv. Prof. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) in virtù di procura speciale in calce al ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente – contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI
in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa
Oggetto: tributi – accise – rimborso – decadenza -decorrenza -dichiarazione
(C.F. P_IVA), ex lege
dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
–
contro
ricorrente
–
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2158/26/21, depositata in data 9 giugno 2021
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 10 ottobre 2024;
udita la relazione del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso ;
udito l’Avv. COGNOME per il ricorrente;
udita l’Avv. NOME COGNOME dell’Avvocatura Generale dello Stato per il controricorrente;
FATTI DI CAUSA
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE ha impugnato un provvedimento di incameramento del credito maturato dalla società contribuente con cui -a seguito di PVC dell’8 giugno 2018 rilevava la decadenza biennale ex art. 14, commi 2 e 3 d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA) della contribuente dal rimborso dell’eccedenza di imposta maturata a credito nel capitolo relativo all’immissione in consumo di gas naturale nell’ambito territoriale della Provincia di Cremona. Il provvedimento scaturiva dalla constatazione che il credito di imposta si era formato dal con guaglio dell’accisa del periodo di imposta 2014 di cui alla dichiarazione del 2015, deducendosi la tardività in forza della chiusura dell’attività distribuzione di gas naturale nel suddetto ambito territoriale, con decorrenza dalla presentazione della dichiarazione annuale di consumo.
La CTP di Brescia ha rigettato il ricorso.
La CTR della Lombardia, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello della società contribuente . Ha ritenuto il giudice di
appello per il rimborso dell’eccedenza di imposta incorre il termine di decadenza biennale che decorre dalla relativa dichiarazione di consumo nel cui ambito è maturata l’eccedenza di imposta (2015), dovendosi ritenere irrilevante l’operatività in diverse province della società contribuente.
Ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a due motivi. Resiste con controricorso l’Ufficio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., 36, comma 2, n. 4 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e degli artt. 24 e 111 Cost. Osserva parte ricorrente come la motivazione della sentenza impugnata non consentirebbe la ricostruzione del percorso motivazionale che ha condotto alla decisione della controversia. In particolare, deduce parte ricorrente che risulterebbero del tutto apodittiche le affermazioni relative alla irrilevanza dell’esercizio dell ‘ attività di impresa presso diversi ambiti provinciali di attività, laddove parte ricorrente aveva dedotto che il credito di imposta si sarebbe rinnovato anno per anno ove non fosse stato detratto dalle successive dichiarazioni di consumo.
Il primo motivo è infondato, potendo il difetto di motivazione essere censurato solo sotto il profilo dell’assoluta assenza del percorso logico seguito dal giudice ai fini della decisione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). Nella specie, il percorso logico seguito dalla decisione impugnata, sia pur sintetico, è completo, avendo il giudice di appello incentrato la decisione sulla circostanza che la domanda di rimborso decorresse dal deposito della dichiarazione annuale di consumo relativa all’ambito territoriale in cui era maturata l’eccedenza di imposta,
dichiarazione presentata nel 2015, con conseguente operatività della decadenza biennale.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 14, commi 2 e 3 e dell’art. 26, comma 13, TUA, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto decaduta la contribuente dal rimborso delle eccedenze di imposta maturate dall’immissione in consumo nell’ambito territoriale di Cremona. Parte ricorrente evidenzia come il giudice di appello avesse tratto spunto da alcuni precedenti risalenti di questa Corte, che facevano decorrere il biennio decadenziale dal momento del pagamento, osservando come elemento fondante per l’esercizio del rimborso sia la dichiarazione annuale, in esito alla quale è possibile evidenziare se i versamenti mensili in acconto abbiano o meno generato una eccedenza di imposta. Deduce parte ricorrente che il giudice di appello sarebbe caduto in un equivoco ove ha ritenuto che il momento della presentazione della dichiarazione 2015 fosse determinante ai fini della decorrenza del termine di decadenza, posto che il deposito della dichiarazione è circostanza che porta il rinnovo del credito e la riportabilità a nuovo, che consentirebbe la reviviscenza o « reiterazione del termine decadenziale ». Ne deriva che, persistendo il rapporto tributario (sia pure presso diversi ambiti territoriali), il contribuente può continuare a utilizzare l’eccedenza di imposta indefinitamente, laddove la decadenza del diritto al rimborso opera in caso di cessazione del rapporto tributario.
4. Il motivo è inammissibile nella parte in cui deduce che il giudice di appello avrebbe fatto applicazione del principio secondo cui la decadenza decorrerebbe dal pagamento, in quanto il motivo non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata. La sentenza impugnata, sia pure con una motivazione ellittica, ha desunto dalla mancata presentazione dell’istanza di rimborso nel termine di due anni dalla
presentazione della dichiarazione annuale la decadenza dal diritto al rimborso (« p er stessa ammissione dell’appellante la dichiarazione è stata presentata nell’anno 2015. Nessuna itanza di rimborso è stata presentata e neppure alcuna compensazione è stata operata dalla società appellante »), non anche dalla data del pagamento.
Il motivo è, invece, fondato nella parte in cui la sentenza impugnata ha inteso far decorrere dalla dichiarazione di consumo del periodo di imposta in cui l’eccedenza si è generata, la perdita del diritto al rimborso delle accise. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, non è consentito -in linea generale -chiedere il rimborso delle eccedenze di accise sui prodotti energetici immessi in consumo maturate nel corso del rapporto, fino alla chiusura del rapporto medesimo (Cass., Sez. V, 18 giugno 2020, n. 11813; Cass., Sez. V, 3 marzo 2020, n. 5808); ciò in quanto « il meccanismo di assolvimento dell’accisa prevede esplicitamente (art. 26, comma 13, TUA) che ‘le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto’, con riferimento al solo meccanismo di “compensazione od accredito interno” e non anche al rimborso » (Cass., n. 11813/2020, cit.). Il che comporta che nel caso vi sia una stabile eccedenza a credito dell’imposta originariamente versata risultante dalla dichiarazione di consumo non può farsi applicazione di regimi previsti, ad es. in tema di IVA, che consente il rimborso in caso di soggetto di imposta che risulti strutturalmente a credito (art. 30, terzo comma, lett. a) e b) d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633), ovvero in caso di situazioni contingenti legate a determinati periodi di imposta (art. 30, quarto comma, d.P.R. n. 633/1972).
Né può ritenersi che tale disciplina sia in contrasto con il diritto dell’Unione, in considerazione dell’ assenza di norme armonizzate che disciplinino il rimborso di tributi imposti in violazione del diritto dell’Unione. Il diritto dell’Unione lascia gli Stati membri liberi di
applicare le modalità procedurali previste dal loro ordinamento giuridico interno, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (CGUE, 19 dicembre 2019, RAGIONE_SOCIALE, C360/18, punto 47; CGUE, 8 settembre 2011, Q -Beef e COGNOME, C -89/10 e C -96/10, punto 34, CGUE, 20 dicembre 2017, RAGIONE_SOCIALE, C -500/16, punto 37); il principio di equivalenza va riferito ai regimi che disciplinano altre imposte del diritto interno; quello di effettività richiede, invece, la valutazione di non impossibilità di esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (CGUE, C. 360/18, cit., punto 48; CGUE, 27 settembre 2012, RAGIONE_SOCIALE e a., C -113/10, C -147/10 e C -234/10, punto 61).
Il versamento indebito può essere oggetto di rimborso nel termine di due anni dal pagamento, non diversamente dalla norma di chiusura prevista dall’art. 21, comma 2, d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (rimborso anomalo), mentre in caso di eccedenza di imposta a credito, il rimborso è consentito ove venga meno il rapporto tributario al quale è collegato il riporto a nuovo del credito di imposta; in questo caso, il rimborso è consentito nel termine di due anni dalla chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14, comma 2, TUA, per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dalla presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo (Cass., Sez. V, 7 settembre 2023, n. 26079).
Prima di tale momento il tributo non può considerarsi indebito, ma utilizzabile mediante la detrazione dei maggiori importi versati in acconto dall’importo risultante dalla dichiarazione di consumo, esponendosi l’eccedenza di imposta nella dichiarazione me desima. In questo caso, la dichiarazione annuale di consumo indica che gli acconti versati sono maggiori dell’energia elettrica effettivamente immessa in consumo, per cui non può essere qualificato come indebito in senso
stretto ed è, per contro, riconducibile alla struttura dell’eccedenza o rimborso « da dichiarazione » Cass., n. 11813/2020, cit.).
9. La naturale indicazione dell’eccedenza di imposta in detrazione come ordinaria modalità di estinzione dell’imposta stessa comporta che « se al momento della presentazione della successiva dichiarazione annuale di consumo, il credito è ancora esistente o, addirittura, è aumentato (ad esempio per l’eccessività degli acconti rispetto al consumo effettivo via via decrescente) (…) alla chiusura annuale del periodo (…) si determina un nuovo saldo creditorio o debitorio che va a costituire un nuovo credito o debito rispetto a quelli precedentemente maturati, che si protrae o fino all’esaurimento del credito ovvero fino alla definizione del rapporto tributario, ossia fino alla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo» (Cass., n. 5808/2020, cit.; Cass., n. 11813/2020, cit.). Ragione per cui si afferma che questa obbligazione sia revolving (come emerso anche dalle conclusioni del Pubblico Ministero), ossia si rinnova (in caso di impossibilità di compensazione nella dichiarazione di consumo successiva) di anno in anno, sino alla definitiva cessazione del rapporto di imposta (già Cass., Sez. V, 17 aprile 2013, n. 9283 ), salve le ulteriori ipotesi di estinzione del credito di imposta previste dalla legge.
10. E’ , pertanto, solo dall’ultima dichiarazione di consumo e non anche dalla dichiarazione in cui l’eccedenza di imposta si è generata, che può ritenersi -secondo la più recente giurisprudenza di questa Corte – decorrente il termine di decadenza per la richiesta di rimborso, in tesi per cessazione dell’attività di impresa e, di conseguenza, per cessazione dell’utilizzabilità del meccanismo normativo di compensazione e riporto a nuovo (Cass., Sez. V, 17 marzo 2021, n. 7535; Cass., 27 novembre 2019, n. 30912; Cass., Sez. V, 24 ottobre 2019, n. 27290; Cass., Sez. V, 18 giugno 2019, n. 16261, citata dal Pubblico Ministero durante la discussione orale). Il credito emergente
dalle diverse dichiarazioni viene ogni volta rinnovato e riportato nei periodi di imposta successivi, sino alla cessazione dell’attività, ovvero sino al verificarsi di altra circostanza in fatto che legittimi il rimborso.
Deve, pertanto, ritenersi che -diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata -in caso di mancata cessazione del rapporto tributario non poteva farsi decorrere alcun termine di decadenza, né emettersi un provvedimento di incameramento del relativo credito di imposta. Il ricorso va, pertanto, accolto e, non essendovi ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, accogliendosi l’originario ricorso; le spese del doppio grado di merito sono soggette a compensazione per l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso; dichiara compensate le spese dei due gradi del giudizio di merito; condanna il controricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del ricorrente, che liquida in complessivi € 3.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario e accessori di legge. Così deciso in Roma, in data 10 ottobre 2024