Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8991 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8991 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
Oggetto: accisa – prodotti
c.d.
‘altobollenti’
–
traslazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26862/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL) e dall’avv. NOME COGNOME (PECEMAIL
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (PEC: EMAILavvocaturastatoEMAIL)
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1364/05/2022 depositata in data 06/04/2022;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 25/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
–RAGIONE_SOCIALE chiedeva con distinte istanze rispettivamente relative agli anni d’imposta dal 2008 al 2015 il rimborso dell’accisa sulla percentuale di idrocarburi presenti nei reflui industriali (c.d. altobollenti) a base stirolica e fenolica assimilabili all’olio combustibile, a suo tempo pagata in forza di espresso provvedimento dell’UTF di Brescia;
-avverso i silenzi-rifiuti opposti dall’Amministrazione la società ricorreva alla CTP, che rigettava il ricorso;
-la società appellava; la CTR confermava la decisione di primo grado;
-ricorre a questa Corte RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a quattro motivi di impugnazione illustrato da memoria;
-resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane;
Considerato che:
-va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso in ragione dell’asserita operatività del principio della c.d. ‘doppia conforme’, posto che i motivi sono calibrati su violazione di legge;
-il primo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza per motivazione apparente; quindi, lamenta la violazione dell’art. 36 d. lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 c. 2 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att.ne c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c.; secondo parte ricorrente il giudice di appello avrebbe motivato solo in modo apparente le ragioni che l’hanno condotto a decisione, poiché la motivazione è costituita in massima parte dall’integrale riproduzione, in buona parte financo letterale, del contenuto dell’atto di controdeduzioni in appello dell’Agenzia delle dogane di Mantova, senza alcuna autonoma valutazione da parte della CTR e in assenza di esplicitazione delle ragioni dell’adesione alle tesi dell’Agenzia ;
-il motivo è infondato;
-come ha già avuto modo questa Corte più volte di chiarire, nel processo civile e in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti
processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla valutazione professionale o disciplinare del magistrato (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 642). Nel caso in esame, il giudice d’appello ha espressamente fatto proprie le ragioni addotte dall’Agenzia: si legge difatti in sentenza che ‘…le motivazioni dell’Ufficio resistente -condivise ritrascritte e ritenute parte integrante della presente motivazione- risultano puntuali e precise sui punti fondamentali della controversia in esame’. Non solo: il giudice d’appello ha anche vagliato criticamente le ragioni dell’appellante, ritenendo che ‘ In particolare le eccezioni dell’Ufficio snaturano tutte le eccezioni sollevate dalla Parte appellante; (…) sia con riferimento alla consapevolezza in capo alla Contribuente che il provvedimento prot. n. 17254/18600/2001 emesso dall’UTF di Brescia fosse -sin dall’origine -illegittimo (e quindi lesivo della propria sfera giuridica), nondimeno essa non ha mai ritenuto di porlo in discussione in alcuna sede, né amministrativa né giurisdizionale. Esso, infatti, non è stato mai impugnato né tantomeno è stato fatto oggetto di una richiesta di modifica o di rimozione in autotutela. Elementi che avvalorano la convinzione che la Contribuente non abbia il diritto al rimborso per carenza di legittimazione attiva a causa di avvenuta traslazione dell’onere tributario sull’acquirente delle sostanze reflue prodotte dalla lavorazione e vendute alla società RAGIONE_SOCIALE (e in parte alla RAGIONE_SOCIALE …’ .
Applicando i principi di cui innanzi alla fattispecie in esame, l’invocata violazione non sussiste essendo comprensibile il percorso motivazionale seguito dal giudice di merito;
-il secondo motivo di ricorso si incentra sulla violazione dell’art. 19 del d. lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la pronuncia di merito violato le ridette disposizioni ritenendo che la nota prot. n. 17254/18600/2011 dell’11 aprile 2001 dell’UTF di Brescia costituisse un provvedimento impositivo autonomamente impugnabile e non impugnato dalla società RAGIONE_SOCIALE
-il motivo in argomento è infondato;
-va qui fatta applicazione dei principi già espressi da questa Corte (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14373 del 15/06/2010) secondo i quali ‘ in tema di contenzioso tributario, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorché tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono dar luogo soltanto ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile. Spetta al giudice del merito individuare – mediante l’esame degli aspetti sostanziali, anche non completamente corrispondenti a quelli formali, e fornendo congrua motivazione – quali atti siano impugnabili in quanto impositivi’ ;
-invero, nel caso in esame il giudice d’appello ha svolto l’esame in questione, con riguardo alle caratteristiche sostanziali del provvedimento: facendo leva sul contenuto dell’atto, riportato in narrativa, col quale l’U.T.F. di Brescia ‘imponeva a Versalis …di a) liquidare l’accisa, per ogni partita di estrazione, applicando l’aliquota prevista per l’olio combustibile denso ATZ (alto tenore di zolfo) sulla percentuale di idrocarburo presente all’interno del refluo (percentuale da considerarsi pari al 21%, sulla base delle analisi effettuate da Laboratorio Chimico delle Dogane sui primi campioni inviati); b) ovvero di versare l’accisa relativa alle estrazioni giornaliere il primo giorno lavorativo successivo’, la CTR ha ritenuto che esso fosse immediatamente lesivo della sfera giuridica della società, la quale, tuttavia, non l’ha impugnato, né ne ha chiesto la rimozione in autotutela;
-tale atto doveva, invece, a suo tempo essere impugnato autonomamente;
-il contenzioso tributario è, infatti, concepito quale processo impugnatorio di provvedimenti autoritativi. Da tale strutturazione (che risponde al più tipico schema della giurisdizione amministrativa), discende, quale naturale corollario, che l’oggetto del giudizio tributario è rigorosamente circoscritto agli elementi della sequenza procedimentale propria del provvedimento impugnato, con preclusione di qualsiasi contestazione coinvolgente fasi precedenti già definite e deriva, conseguentemente, che, nell’ambito di detto giudizio, la legittimità di un atto a contenuto concreto ed autonomamente impugnabile davanti al giudice tributario, non reso oggetto di diretta ed idonea impugnazione, è insuscettibile di delibazione in base a cognizione meramente incidentale a fine di semplice disapplicazione. Ciò perché, nella giurisdizione di annullamento, attribuire al giudice il potere di disapplicazione (e, quindi, di cognizione meramente incidentale) di atti e provvedimenti che non siano di carattere normativo o generale e, in particolare, di
quelli che siano comunque autonomamente impugnabili davanti al giudice adito comporterebbe lo scardinamento dello stesso sistema d’impugnazione degli atti autoritativi e del correlativo regime di decadenza (Cass., Sez. Un., 16 gennaio 2015, n. 643);
-d’altronde, come lo stesso giudice d’appello non manca di sottolineare, la contribuente nel corso degli anni ha liquidato e corrisposto le accise, di cui poi ha chiesto il rimborso, su ogni partita di altobollenti estratta dal proprio sito produttivo giustappunto nella misura stabilita dal suddetto provvedimento dell’U.T.F.; e allora, va ribadito che, in tema di rimborso, qualora il contribuente non impugni l’atto col quale l’amministrazione ha azionato la pretesa tributaria e, quindi, presenti istanza di rimborso di quanto già pagato in relazione al titolo impositivo, dalla definitività di quest’ultimo, per difetto di impugnazione, deriva l’inammissibilità dell’istanza di rimborso, perché contrastante con il titolo, ormai definitivo, che giustifica l’attività di riscossione dell’amministrazione (in termini, tra le più recenti, Cass., Sez. Trib., ord. 27 luglio 2023, n. 22934);
-il rigetto di questo motivo ha effetto assorbente su ogni doglianza poiché costituisce principio consolidato quello secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. 22753/2011; Cass. 18641/2017, richiamate in motivazione da Cass. Sez. Un. n. 20107/2024);
-infatti, nella sentenza impugnata le due statuizioni di inammissibilità e di rigetto nel merito identificano due rationes decidendi indipendenti e autonome di modo che la conferma di una comporta l’irrilevanza dell’altra ;
-in ogni caso, il terzo motivo, che deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 14 e 21 del d. lgs. n. 504 del 1995 (c.d. TUA), dell’art. 2697 c.c. degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c.: sostiene la parte ricorrente che erroneamente la sentenza impugnata abbia negato la legittimazione al rimborso delle accise avendo ritenuto dimostrata in via presuntiva la traslazione dell’onere tributario sui cessionari dei rifiuti, e il quarto motivo, con cui la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR fondato il proprio ragionamento su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, realizzando una illogica valutazione presuntiva delle risultanze istruttorie, sono inammissibili anche per una ulteriore ragione;
-gli stessi si appuntano infatti sulle valutazioni esposte dalla CTR in ordine alla prova emersa in giudizio della effettiva traslazione delle accise dalla società contribuente in capo ad altri ai fini della legittimazione e comportano nel concreto valutazioni di merito il cui esame è precluso a questa Corte;
-la CTR ha difatti fatto leva sia sulla dichiarazione del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, ‘secondo cui vi era l’intesa tra le parti contrattuali, che il corrispettivo per l’acquisizione dei reflui fosse comprensivo del pagamento delle accisa versata da RAGIONE_SOCIALE‘ sia sul fatto, concernente non solo le vendite a RAGIONE_SOCIALE, ma anche quelle a RAGIONE_SOCIALE, che ‘come provato dalla documentazione agli atti prodotta dall’Ufficio, la parte appellante, ad eccezione del trasporto, non paga alcuna cifra (tantomeno esorbitante) per il servizio di smaltimento, ma incassa somme notevoli con la vendita di tali reflui, con un andamento che nel corso degli anni è andato costantemente incrementandosi…’;
-ancora, la CTR ha accertato come ‘dal 2009 al 2015 la RAGIONE_SOCIALE ha incassato dalla vendita degli alto bollenti oltre 16 milioni di euro (per la precisione euro 16.599.798,12) senza sostenere
alcun correlato costo di produzione (essendo tali reflui scarti di lavorazione)’ ;
-a fronte di ciò, il fatto che ‘la documentazione contrattuale non esplica in alcun punto quali siano le componenti che concorrono a formare il prezzo di vendita’ non ha – correttamente – impedito al giudice del merito di valutare come ‘… trattandosi di prodotti di scarto (per i quali non risultano costi per materie prime, per lavorazione ecc.) le somme incassate rappresentano una componente di ricavo di capienza tale da ricomprendere sicuramente sia l’imposta de qua, sia l’ampio margine di utile’;
-invero, tali affermazioni, lungi dal fondarsi sull’ id quod plerumque accidit (ad es., l’imposta viene traslata perché così sono solite fare le imprese), sono calibrate su elementi concreti -al limite della prova diretta- dai quali il giudice d’appello ha ricavato l’effettiva traslazione dell’imposta , anche con riguardo all’esistenza di un effettivo arricchimento che l’operatore conseguirebbe per effetto del rimborso, conformemente ai principi fissati da questa Corte (sui quali vedi, da ultimo, Cass., Sez. Trib., 17 dicembre 2024, n. 32982);
-in conclusione, quindi, il ricorso va rigettato;
-le spese sono regolate dalla soccombenza;
p.q.m.
rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 10.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2025.