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Rimborso accise: quando comunicare all’Agenzia Entrate

Una società energetica ha richiesto il rimborso di un’accisa provinciale sull’energia elettrica a seguito della sua abolizione. L’Amministrazione Finanziaria ha negato il rimborso per mancata comunicazione all’Agenzia delle Entrate, come previsto dall’art. 29 della legge 428/1990. La Corte di Cassazione ha dato ragione alla società, stabilendo che l’obbligo di comunicazione sussiste solo se la spesa ha concorso a formare il reddito imponibile. Poiché in questo caso il costo era stato registrato solo nello stato patrimoniale e non nel conto economico, la comunicazione non era dovuta, rendendo legittima la richiesta di rimborso accise.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso accise: quando comunicare all’Agenzia Entrate

La gestione delle imposte indirette, come le accise, presenta spesso complessità procedurali che possono pregiudicare il diritto al recupero di somme non dovute. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale sulla procedura di rimborso accise, specificando in quali casi sorge l’obbligo di comunicare l’istanza all’Agenzia delle Entrate. La decisione ruota attorno a un concetto chiave: il concorso della spesa alla formazione del reddito imponibile, strettamente legato alle modalità di contabilizzazione del costo.

I fatti di causa

Una società operante nel settore energetico aveva versato per anni un’addizionale provinciale sull’energia elettrica. A seguito della soppressione di tale tributo, la società si è ritrovata con un credito d’imposta derivante dai pagamenti in acconto effettuati e ne ha richiesto il rimborso all’Agenzia delle Dogane.

L’Amministrazione Finanziaria ha respinto l’istanza, eccependo il mancato rispetto di un onere procedurale previsto dall’art. 29, comma 4, della legge n. 428/1990. Tale norma impone al contribuente di comunicare la domanda di rimborso anche all’Agenzia delle Entrate, a pena di inammissibilità, qualora la spesa relativa all’imposta abbia concorso a formare il reddito d’impresa.

La società ha impugnato il diniego, sostenendo che tale condizione non si fosse verificata. Dopo un esito sfavorevole in primo grado, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado accoglieva l’appello della società, ritenendo che la spesa non avesse inciso sul reddito, in quanto contabilizzata unicamente nello stato patrimoniale e non nel conto economico. Contro questa decisione, le Amministrazioni Finanziarie hanno proposto ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione e il rimborso accise

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, confermando la decisione di secondo grado e il diritto della società al rimborso accise. I giudici di legittimità hanno preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, in quanto non era stata parte nei precedenti gradi di giudizio.

Nel merito, la Corte si è concentrata sull’interpretazione del requisito del ‘concorso della spesa alla formazione del reddito’. La decisione della Corte d’appello si basava su due distinte rationes decidendi: la prima, che non si trattasse di un ‘indebito versamento’; la seconda, che la spesa non avesse concorso a formare il reddito. La Cassazione ha ritenuto infondato il motivo di ricorso contro la seconda motivazione, rendendo di fatto inammissibile, per carenza di interesse, l’esame della prima. Infatti, quando una decisione è sorretta da due argomentazioni autonome, è necessario smontarle entrambe per ottenere la cassazione della sentenza.

Le motivazioni: quando una spesa concorre al reddito imponibile?

Il cuore della motivazione della Corte risiede nell’analisi del principio di derivazione del reddito d’impresa dal risultato di bilancio. Il reddito imponibile, su cui si calcolano le imposte, si determina partendo dall’utile o dalla perdita risultante dal conto economico, al quale vengono applicate le variazioni in aumento o in diminuzione previste dalla normativa fiscale (TUIR).

Di conseguenza, un costo o un onere fiscale, per poter incidere sulla determinazione del reddito, deve necessariamente essere imputato al conto economico. Se un costo, come nel caso di specie, viene registrato unicamente nello stato patrimoniale (ad esempio come credito verso l’erario), esso non transita dal conto economico e, pertanto, non può aver ‘concorso a formare il reddito’.

La Corte ha sottolineato che l’accertamento secondo cui i versamenti erano stati rilevati contabilmente solo nel ‘conto patrimoniale’ era una valutazione di fatto, compiuta dal giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità. Poiché questa premessa di fatto era incensurabile, la conclusione giuridica era ineccepibile: non essendo la spesa confluita nel conto economico, non aveva contribuito a formare il reddito imponibile. Di conseguenza, non sussisteva il presupposto per l’applicazione dell’onere di comunicazione all’Agenzia delle Entrate previsto dall’art. 29, e il diniego di rimborso era illegittimo.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per le aziende

Questa sentenza offre un’importante lezione pratica per tutte le imprese. La corretta contabilizzazione dei costi e degli oneri fiscali è determinante non solo per la redazione di un bilancio veritiero, ma anche per l’esito di eventuali contenziosi tributari, in particolare in materia di rimborsi. La scelta di registrare una spesa nel conto economico piuttosto che nello stato patrimoniale non è neutra e può attivare o disattivare specifici obblighi procedurali.

La decisione evidenzia la necessità di un’attenta sinergia tra le funzioni contabili e fiscali all’interno dell’azienda. Dimostra che il diritto a un rimborso può dipendere non solo dalla sostanza della pretesa, ma anche dal rigoroso rispetto di procedure che, a loro volta, sono condizionate da precise scelte contabili. Le aziende devono quindi essere consapevoli che il modo in cui una transazione viene registrata nei libri contabili può avere conseguenze dirette e significative sui loro diritti e obblighi verso il Fisco.

È sempre obbligatorio comunicare all’Agenzia delle Entrate una richiesta di rimborso di un’imposta come l’accisa?
No, l’obbligo previsto dall’art. 29, comma 4, della L. 428/1990 scatta solo a condizione che la spesa per la quale si chiede il rimborso abbia concorso a formare il reddito imponibile dell’impresa.

Come si determina se una spesa ha concorso a formare il reddito imponibile?
Secondo la Corte di Cassazione, una spesa concorre a formare il reddito imponibile solo se transita per il conto economico. Se, come nel caso esaminato, la spesa viene rilevata unicamente nello stato patrimoniale, essa non contribuisce alla formazione del reddito e, di conseguenza, l’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate non sorge.

Cosa succede se la decisione di un giudice si basa su due motivazioni separate e indipendenti?
Quando una decisione di merito si fonda su due o più ‘rationes decidendi’ autonome, ciascuna sufficiente a sorreggerla, chi impugna la sentenza deve contestare con successo tutte le motivazioni. Se il motivo di ricorso contro una delle argomentazioni viene respinto, l’esame degli altri motivi diventa inammissibile per carenza di interesse, poiché la prima motivazione è di per sé sufficiente a mantenere valida la decisione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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