Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24470 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24470 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
Addizionale provinciale sull’energia elettrica -istanza di rimborso -onere di comunicazione all’Agenzia delle entrate ex art. 29, comma 4 della legge n. 428 del 1990- concorso della spesa alla formazione del reddito-
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al numero n. 13042 del ruolo generale dell’anno 2023, proposto da
RAGIONE_SOCIALE (C.F. NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore pro tempore , RAGIONE_SOCIALE (C.F. NUMERO_DOCUMENTO), in persona del Direttore pro tempore , rappresentate e difese ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-ricorrenti –
Contro
RAGIONE_SOCIALE a socio unico ( già RAGIONE_SOCIALE) in persona della dott.ssa NOME COGNOME quale procuratrice pro tempore (in forza di procura del dott. NOME COGNOME, notaio in Roma, rep. 65104, racc. 33786 del 17.3.2022) rappresentata e difesa, giusta procura speciale su foglio separato, in formato analogico, allegato al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME (indi rizzo PEC: a.EMAILpec.studiofruscioneEMAIL), elettivamente domiciliata presso lo studio legale COGNOME in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia n. 3347/28/2022, depositata in data 13 dicembre 2022, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 giugno 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Uditi per l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli l’Avv.to dello Stato NOME COGNOME e per la società controricorrente l’Avv.to NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
1. Dalla sentenza impugnata e dagli atti di causa, in punto di fatto, si evince che: 1) in data 24.3.2011, RAGIONE_SOCIALE quale cessionaria del ramo di azienda relativo alla vendita di energia elettrica effettuato da RAGIONE_SOCIALEaveva presentato all’Agenzia delle dogane – Ufficio di Taranto, due istanze di rimborso per crediti maturati a titolo di addizionale provinciale ai sensi del d.l. n. 511/1988 (per utenze superiori a 200 KW) per la Provincia di Taranto, come emergenti dalle dichiarazioni di consumo prodotte per gli anni d’imposta 2008 e 2009, indicando che in luogo del rimborso si
sarebbe potuto procedere all’accredito degli importi presso Enel Energia s.p.a.; 2)in data 30.7.2012, a seguito della soppressione della addizionale provinciale sull’energia elettrica per effetto dell’art. 18 del d.lgs. 6 maggio 2011, n. 68 -circostanza c he rendeva impossibile l’utilizzo del credito per Enel Energia S.p.A. – la società contribuente aveva sollecitato il rimborso tout court delle suddette addizionali; 3) l’Agenzia delle Dogane, con nota dell’8 settembre 2014, aveva contestato l’omessa comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 29, comma 4, della legge n 428 del 1990; con nota del 26.9.2014, la società eccependo l’inapplicabilità dell’art. 29, comma 4, cit., non essendo il credito chiesto a rimborso frutto di un ‘indebito versamento’ e non avendo la relativa spesa concorso a formare il reddito della società -aveva prodotto copia delle comunicazioni delle istanze di rimborso effettuate all’Agenzia delle entrate competente in data 24.9.2014; 4) con a tto del 29 ottobre 2014, l’Agenzia aveva rigettato le istanze di rimborso per trasmissione della comunicazione all’Agenzia delle Entrate oltre il biennio decadenziale di cui all’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 504/1995; 5) avverso il suddetto atto di diniego di rimborso la società contribuente aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Taranto che, con sentenza 1431/04/2016, lo aveva rigettato; 6) avverso la sentenza di primo grado la società aveva proposto appello dinanzi alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia che, con sentenza n. 3347/28/2022, depositata in data 13 dicembre 2022, lo aveva accolto.
2. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CGT di II grado ha osservato che, nella specie, non sussistevano i presupposti per l’applicazione dell’art. 29, comma 4, della legge n. 428/90 in quanto: 1) il credito chiesto a rimborso non costituiva fr utto di ‘un indebito versamento’ essendosi generato a seguito di versamenti in acconto, in rate mensili, correttamente effettuati dalla società contribuente in applicazione degli artt. 53,55 e 56 del d.lgs. n. 504/1995 (TUA); in particolare, trattavasi di credito di imposta derivante dal meccanismo di pagamento del tributo, soggetto agli ordinari termini di prescrizione; 2) la relativa spesa non aveva concorso a formare il reddito d’impresa non essendo
transitati i versamenti ‘nel conto economico della società’ , essendo stati rilevati contabilmente unicamente nel ‘conto patrimoniale’.
3.Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli nonché l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione affidato a un motivo.
Resiste, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE
Con ordinanza interlocutoria emessa nella C.C. del 5.11.2024, questa Corte rinviava la causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.
La società contribuente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate non essendo stata quest’ultima parte nei precedenti gradi giudizio. Il Collegio ritiene di dover dare seguito al consolidato principio di diritto secondo il quale «Nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa od ove tale costituzione non abbia riguardato il diritto oggetto di cessione» (tra le molte, Cass., sez. 1, sentenza n. 6774 del 01/03/2022, Rv. 664106 – 01).
2.Con l’unico motivo, l’Agenzia delle dogane denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 4, l. n. 428/1990, nonché degli artt. 14 e 56 d. lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA) per avere la CGT di II grado ritenuto inapplicabile l’art. 29, comma 4, cit. in quanto: 1) il credito chiesto a rimborso non costituiva frutto di un ‘versamento indebito’ essendosi generato a seguito di versamenti in acconto correttamente effettuati in base al meccanismo di pagamento del tributo ai sensi degli artt. 53,55 e 56 TUA, con assoggettamento agli ordinari termini di prescrizione; ciò
sebbene: a) fosse ininfluente la causa posta a base della richiesta di rimborso, costituendo ‘pagamento indebito’ sia quello non dovuto ab origine che quello che risultasse tale ex post (come nel caso di specie, in cui vi era stato un versamento in acconto superiore a quanto risultante dal successivo conguaglio, a causa della sopravvenuta abolizione dell’imposta addizionale provinciale sull’energia elettrica); in particolare, in materia di rimborsi di imposte di consumo quali le addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica di cui al d.l. n. 511 del 1998, art. 6, la disciplina di cui all’art. 29 della legge n. 428/1990 aveva carattere ‘ omnicomprensivo ‘ prendendo in considerazione tutte le possibili azioni di rimborso, applicandosi sia alle azioni di ripetizione delle imposte di consumo basate sulla violazione del diritto comunitario che a quelle basate sul solo diritto nazionale (è richiamata Cass. n. 20818 del 2020); b) l’istanza di rimborso di versamenti indebiti fosse soggetta al termine bie nnale di decadenza ex art. 14 del TUA decorrente nel caso di obbligo inesistente sin dall’origine dalla data del versamento e nel caso di inesistenza sopravvenuta dell’obbligo di versamento dalla data della dichiarazione annuale di consumo; 2) la relativa spesa non aveva concorso a formare il reddito d’impresa della ricorrente non essendo transitati i versamenti nel conto economico della società, rilevati contabilmente unicamente nel conto ( recte : stato) patrimoniale; ciò sebbene fosse prevista dal D.P.R. n. 917/86 (TUIR) la possibilità di portare in deduzione dal reddito di impresa imposte diverse da quelle sui redditi e da quelle per le quali era prevista la rivalsa (art. 99, comma 1) ovvero la possibilità, prevista dall’art. 110, comma 1, lett. b) dello stesso DPR, di comprendere nel costo dei beni anche le imposte a cui si riferivano quali oneri accessori di diretta imputazione come precisato nella Risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 128/E/2007 in relazione alle accise e nella risoluzione n. 228/E/ 2007 per i diritti doganali, con conseguente obbligo da parte nel contribuente, nel caso di rimborso di tali imposte, di dichiarare le somme ricevute a rimborso come sopravvenienze attive ex art. 88 del TUIR; da qui la finalità dell’onere di comunicazione di cui all ‘art. 29, comma 4, cit. di consentire all’Agenzia delle entrate competente la verifica del corretto assolvimento dell’obbligo dichiarativo
ai fini dell’accertamento dell’imposta sui redditi (sono richiamate Cass. n. 13087/2012; Cass. n. 8750/2013); in particolare, nel caso di specie, ad avviso della ricorrente, proprio la richiesta di rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’en ergia elettrica implicava il mancato esercizio della rivalsa sicchè le imposte non potevano non rilevare ai fini della formazione del reddito; peraltro, ad avviso della ricorrente, laddove il legislatore avesse voluto escludere il credito di imposta dalla formazione del reddito di impresa, lo aveva fatto espressamente come nel caso delle istanze di rimborso di cui al DPR n. 277/2000 (in materia di credito di imposta derivante dall’aliquota agevolata di accisa per gli operatori dell’autotrasporto). In conclusione, l’Ufficio aveva legittimamente emesso il diniego di rimborso sul presupposto della mancata tempestiva comunicazione all’Agenzia delle entrate avvenuta oltre il termine biennale di decadenza ex art. 14, comma 2 TUA.
3. Nella sentenza impugnata, il giudice di appello ha ritenuto illegittimo il diniego di rimborso dell’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica, per gli anni 20082009, stante la non applicabilità dell’onere di comunicazione all’Agenzia delle entrate di cui al comma 4 dell’art. 29 cit. in quanto: 1) non era configurabile un ‘indebito versamento’ ma un credito -assoggettato all’ordinario termine di prescrizione – generatosi a seguito del regolare pagamento di acconti mensili in accredito rivelatosi indebiti in sede di conguaglio stante la sopravvenuta abolizione di detta imposta (non potendo più operare il meccanismo di compensazione -detrazione della maggiore imposta) (prima ratio decidendi ); 2) i versamenti non avevano concorso a formare il reddito di impresa rilevando contabilmente solo nel conto ( recte: stato) patrimoniale e non essendo transitati nel conto economico della società (seconda ratio decidendi ).
3.1. La sub censura- che aggredisce la seconda ratio decidendi – con la quale si contesta la statuizione del giudice di appello circa l’asserito mancato concorso della spesa – relativa alle addizionali indebitamente versate e chieste a rimborso fini è in parte inammissibile e in
-a formare il reddito d’impresa, quale condizione prevista ai dell’adempimento di cui al comma 4 dell’art. 29 cit. parte infondata.
3.2. L’art. 29, comma 4 della l. n. 428 del 1990 stabilisce che « la domanda di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai commi 2 e 3, quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza ».
3.3. Tale comunicazione, secondo quanto affermato da Cass. n. 13087 del 2012, è prevista a pena di inammissibilità. Invero, « la “ratio legis” complessiva è data dalla necessità che, avviata la procedura di rimborso delle imposte di consumo presso la competente Agenzia delle dogane, anche l’Agenzia delle entrate debba essere informata per i riflessi sui redditi dichiarati dell’esercizio di competenza ». La comunicazione all’Agenzia delle entrate competente a) deve essere normalmente coeva alla richiesta di rimborso e, in ogni caso, deve essere effettuata prima del provvedimento di diniego dell’Agenzia delle dogane; b) in assenza di comunicazione all’Agenzia delle entrate l’istanza di rimborso inammissibile può sempre essere riproposta; c) va, in ogni caso, rispettato il termine di decadenza biennale di cui all’art. 14, comma 2, TUA (Sez. 5, Sentenza n. 20818 del 2020). Infatti, per poter concretamente operare il coordinamento tra i due diversi Uffici coinvolti e dare un senso alla sanzione legale dell’inammissibilità dell’istanza fatta all’Agenzia delle dogane, l’obbligatoria comunicazione di essa all’Agenzia delle entrate debba essere fatta dalla parte contribuente contestualmente, o al più tardi prima del provvedimento di diniego e, se non ancora intervenuto, non oltre il biennio decadenziale (Cass. n. 13087 del 2012 cit.).
3.4.Questa Corte ha precisato che la previsione, a pena di inammissibilità, della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate sancita dall’art. 29, comma 4, L. n.428/1990 contempla un requisito che attiene alla possibilità del contribuente di ottenere il rimborso reclamato , come tale addirittura rilevabile ex officio dal giudice in qualunque stato e grado del giudizio e, dunque, non soggetta al divieto di nova in appello (cfr. Cass. nn. 10325 del 1994, 6844 del 1995, 13793 e 22564 del 2004; Cass.n.21356 del 2012; Sez. 5, Sentenza n. 9310 del 2013; Cass. n. 9560 del 2013; Cass., sez. 5, n. 19811 del 2019; sez.5,
7279 del 2020; Cass., sez. 5, n. 24710 del 2023). Di segno contrario è un isolato precedente di questa Corte (Cass., sez. 5, n. 30912 del 2019) – dal quale questo Collegio si discosta – secondo cui l’omessa comunicazione dell’ istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate quale ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza costituisce circostanza impeditiva del diritto al rimborso tale da ampliare l’accertamento dei fatti contestati idonei a paralizzare la pretesa del contribuente e da concretare, conseguentemente, nuova deduzione vietata in appello.
3.5. Posto quanto sopra, ai fini della verifica della sub censura che aggredisce la seconda ratio decidendi occorre chiarire il significato dell’inciso di cui al comma 4 dell’art. 29 cit. secondo cui l’obbligo di comunicazione della domanda di rimborso (nella specie dell’addizionale provinciale sull’energia elettrica) all’Agenzia delle entrate sorge ‘ quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito imponibile “.
3.6. Il reddito imponibile, in base all’art. 83, comma 1, primo periodo, del DPR n. 917/86 (TUIR), nel testo vigente ratione temporis , ” è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione “.
3.7. Il formante giurisprudenziale è nel senso di allineare, ove possibile, l’inquadramento fiscale ai criteri di redazione del bilancio civilistico, così come integrati ed esplicitati dai princìpi contabili nazionali (Cass. nn. 1304/19; 16447/18; 25690/2016; 21621/15; 23330/2013; 400/2013, in diversi contesti fiscali; Cass. sez. 5, n. 34176 del 2019).
3.8. Il principio di derivazione, del resto, è il criterio che guida l’intera imposizione diretta anche sui redditi societari, laddove la Corte afferma: “sembra più corretto, dunque, riportare la questione nell’alveo delle regole di redazione del bilancio dettate dal codice civile, valevoli, di norma, anche in ambito fiscale; sin dall’art. 2, n. 16, della legge-delega n. 825 del 1971, il legislatore, nella determinazione della base imponibile delle società, si è ispirato al principio delle
“dipendenza”, ovverosia della “derivazione” dal risultato del conto economico redatto secondo i criteri del codice civile; tale principio è stato recepito dall’art. 52, TUIR (attuale art. 83), anche a seguito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 344 del 2003; inoltre, secondo l’opinione unanime della dottrina, la determinazione civilistica rappresenta quanto di più approssimato all’effettivo incremento di ricchezza prodotto dall’attività sociale, espressivo della capacità contributiva attribuibile al soggetto passivo collettivo; nella dichiarazione fiscale, pertanto, l’imponibile è liquidato apportando all’utile o alle perdite di esercizio quelle sole variazioni previste in esecuzione dello stesso TUIR, per la basilare esigenza di contemperare i necessari margini di discrezionalità del prudente apprezzamento imprenditoriale – propri del sistema civilistico – con i canoni di certezza, semplicità e prevenzione anti-elusiva che modulano l’interesse fiscale ; una simile prospettiva – preme rimarcarlo – vale come parametro interpretativo di alcune disposizioni derogatorie del TUIR, in tema di rimanenze (artt. 92, 93), interessi passivi (artt. 89, 96), proventi immobiliari (art. 90), spese di pubblicità, propaganda etc. (art. 108), svalutazioni e accantonamenti (artt. 106, 107); è anche possibile, ovviamente, che si verifichi il fenomeno della “derivazione rovesciata”, allorquando la società adegui ab initio il bilancio civilistico ad esigenze tipicamente fiscali (Cass. 1699/1985); in sintesi, le variazioni obbligatorie rispetto al conto economico non possono che essere unicamente quelle previste in esecuzione delle disposizioni del TUIR (sezione I, capo II, titolo II), come stabilisce esplicitamente il primo periodo dell’art. 83, TUIR (Cass., sez. 5, n. 10902 del 2019; Cass., sez. 5, n. 9252 del 2019, in tema di ammortamento; Cass., sez. 5, n. 34176 del 2019).
3.9. Il principio di derivazione del reddito fiscale da quello contabile muove necessariamente dal risultato del conto economico di bilancio, su cui vanno, in seguito, ad impattare i principi e le regole di determinazione del reddito fiscale di impresa dettate dal TUIR. Il passaggio dal reddito contabile a quello imponibile non è diretto e immediato ma necessita di un procedimento attraverso il quale le risultanze del bilancio contabile, frutto delle regole contabili e civilistiche, a seguito dell’applicazione de lle prescrizioni fiscali diventano il reddito ‘imponibile’
di impresa. Sotto tale profilo, il principio di derivazione si sostanzia nell’applicazione al reddito contabile di bilancio di una serie di variazioni in aumento e/o in diminuzione previste dalla disciplina tributaria. Il legame tra bilancio contabile e reddito ‘ imponibile ‘ dipende, dunque, in misura inversamente proporzionale, dal numero e dal grado di incisività dell’insieme delle variazioni occorrenti al fine della determinazione del secondo muovendo dal primo.
3.10. Chiamata a comporre un contrasto all’interno della giurisprudenza della sezione con riguardo alla permanenza, oppure all’esclusione del potere di accertamento del fisco della configurabilità di crediti d’imposta allorquando il contribuente abbia aderito al c.d. condono tombale, questa Corte, a sezioni unite, nella sentenza Sez. U, Sentenza n. 16692 del 06/07/2017, ha chiaramente evidenziato che l ‘ operazione di determinazione della base imponibile si fa al lordo ( ‘ La definitività della liquidazione riguarda l’imposta lorda, di modo che quel si rende definitivo è l’imponibile, in base al quale l’imposta lorda si quantifica ‘… ‘ le deduzioni identificano somme che sono sottratte dalla base imponibile, su cui si calcola l’imposta lorda mentre le esclusioni concorrono con la norma base a definire l’ambito applicativo dell’imposta ‘ pag. 10).
3.11. La deducibilità di un particolare costo non consegue, quindi, alla sua astratta previsione normativa da parte della disciplina tributaria, bensì richiede l’indefettibile ricorrenza dell’effettività del componente reddituale che la sua previa iscrizione nel conto economico è in grado di attestare. La presenza di un elemento negativo di reddito nel bilancio contabile fornisce pertanto il necessario presupposto per la sua partecipazione, in misura integrale ovvero limitata per effetto di un’esplicita prescrizione tributaria, nell’esercizio in cui tale imputazione è avvenuta, ovvero in uno successivo qualora il rinvio sia imposto, o consentito, dalla legge. La deducibilità dei costi sostenuti concerne l’individuazione delle somme che si sottraggono alla base imponibile al fine della determinazione del reddito che viene tassato, che è quello netto, ossia al netto dei costi.
Anche in relazione ai costi, e in generale ai componenti negativi, è d’altronde fissato dall’art. 109, comma 4 , del TUIR il principio di previa imputazione al conto economico, salve tre deroghe ivi previste, che non ricorrono nel caso in esame (la prima concerne i componenti negativi iscritti nel conto economico di un esercizio precedente, il cui scomputo è ammesso in base alla lett. a) del comma 4 dell’art. 109; la seconda opera in presenza di specifiche norme che ammettono la deducibilità di componenti negativi non iscritti in bilancio, come, ad esempio, stabilisce l’art. 95, comma 5, del TUIR; la terza è essenzialmente rivolta a consentire la deducibilità dei ‘costi neri’).
3.12. Ai sensi dell’art. 99 del d.PR n. 917/1986 (TUIR) « Le imposte sui redditi e quelle per le quali è prevista la rivalsa, anche facoltativa, non sono ammesse in deduzione ».
3.13. Questa Corte, nella ordinanza n. 33025/2024, sia pure in tema di Iva, ha precisato che ‘ la (mera) possibilità della rivalsa (‘sub specie’ cioè di una rivalsa finanche facoltativa), fa scattare la preclusione dell’indeducibilità ex art. 99, comma 1, primo periodo, TUIR ‘ .
3.14. Le altre imposte, invece, sono deducibili secondo il principio di cassa se assumono, dal punto di vista del reddito, il rilievo di costi per la produzione di esso.
Orbene, se l’onere fiscale rappresentato dall’accisa si traduce in un costo risultante dal conto economico, questo è sufficiente a fare ritenere che lo stesso abbia concorso a formare il reddito imponibile (a maggior ragione perché non può essere dedotto, in considerazione della possibilità di rivalsa). In questo caso, si applica sempre l’art. 29, comma 4, della l. 428 del 1990.
3.15. Anche l’art. 110 (ex art.76) del TUIR (Norme generali sulle valutazioni) postula la base di partenza dell’utile o della perdita risultante dal conto economico di cui all’art. 83 TUIR.
3.16. Diversamente, non concorre a formare il reddito imponibile la spesa che, lungi dall’essere appostata nel conto economico, rilevi soltanto nello stato patrimoniale del bilancio d’esercizio .
3.17. Al riguardo, va precisato che mentre lo stato patrimoniale (art. 2424 c.c.) rappresenta una situazione patrimoniale e finanziaria della società al termine dell’esercizio, il conto economico (art. 2425 c.c.) espone il risultato economico dell’esercizio (utile o perdita) attraverso la rappresentazione dei costi e degli oneri sostenuti nonché dei ricavi e degli altri proventi conseguiti nell’esercizio. Se, dunque, il costo o l’onere fiscale non risulta dal conto economico (salve ipotesi di mancanza di veridicità del bilancio) rilevando soltanto nello stato patrimoniale, lo stesso non avrà concorso a formare il reddito imponibile con conseguente inapplicabilità dell’art. 29, comma 4, cit.
3.18. Nella sentenza impugnata, la CGT di II grado si è attenuta ai suddetti principi nel ritenere in sussistenti i presupposti per l’applicazione dell’art. 29, comma 4, cit. atteso che, nella specie, la spesa sostenuta per l’addizionale provinciale per l’energia elettrica con un apprezzamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, non essendo, peraltro, state adombrate ipotesi di mancanza di veridicità del bilancio -non aveva concorso a formare il reddito d’impresa non essendo transitati i versamenti ‘nel conto economico della società’ ed essendo stati rilevati contabilmente unicamente nel ‘conto patrimoniale’ ( recte : status patrimoniale).
3.19. Inconferente, sotto questo profilo, risulta la pronuncia richiamata in ricorso (Cass., sez. 5, sentenza n. 20818 del 2020) afferendo alla diversa fattispecie in cui il giudice di appello aveva – con un apprezzamento di fatto – accertato che gli importi corrisposti a titolo di addizionale provinciale sull’energia elettrica chiesti a rimborso ‘incidevano direttamente sulla base imponibile’, dal che derivava proprio l’obbligo di informazione di cui all’art. 29, comma 4, dell’Agenzia delle Entrate per i riflessi sui redditi dichiarati nell’esercizio di competenza. Va, in ogni caso, precisata la statuizione contenuta nella richiamata sentenza secondo cui ‘ Appare, comunque, opportuno evidenziare che la richiesta di rimborso delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica implica il mancato esercizio della rivalsa nei confronti degli eventuali cessionari, sicché le imposte non possono non rilevare ai fini della formazione del reddito ‘ (pag.7)
atteso che la questione della rivalsa o meno dell’imposta (che nell’accisa è facoltativa) non incide di per sé sulla formazione del reddito imponibile. Infatti, in base all’art. 99 del TUIR, come precisato nella ordinanza n. 33025/2024, la mera possibilità di rivalsa implica l’indeducibilità dell’imposta dal reddito imponibile e, dunque -se inserito il relativo costo sostenuto nel conto economico -lo stesso va ad aumentare la base imponibile del reddito medesimo. Pertanto, se l’onere fiscale (per accisa) risulta dal conto economico, questo basta a far ritenere che abbia concorso a formare il reddito imponibile (a maggior ragione perché non può essere dedotto, in considerazione della possibilità di rivalsa), applicandosi, in questo caso, l’art. 29, comma 4, della L. n. 428 del 1990.
3.20. Ugualmente inconferente è l’altra pronuncia richiamata nel controricorso (Cass., sez. 5, sentenza n. 28063 del 2019) postulandonell’affermare che ‘ Tal addizionale, in effetti, costituisce mera partita di giro come somma di terzi in transito, la cui collocazione nelle scritture contabili della contribuente società non provoca – correttamente – alcuna rilevanza sulla determinazione dell’utile o della perdita civilistica, o sulle variazioni ex art. 83 TUIR dalle quali discende la determinazione dell’utile o della perdita a fini tributari ‘ (pag. 5) – pur sempre evoca l’art. 83 del TUIR, laddove, nella fattispecie in esame – in forza di un accertamento in fatto contenuto nella sentenza impugnata – siamo fuori dall’ambito della formazione del reddito, non essendo risultati iscritti i versamenti ‘nel conto economico della società’ bensì unicamente nel ‘conto patrimoniale’ ( recte : status patrimoniale).
4.Posto quanto sopra, va ricordato che quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso
che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass. n. 11275/22; n. 4809 del 2017; n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06 n.18170; Cass.29.9.05 n.19161 ed altre); nella specie, il rigetto della sub censura che aggredisce la seconda ratio decidendi , comporta l’inammissibilità per difetto di interesse della (sub) censura che aggredisce la prima ratio decidendi .
5.In conclusione, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate e rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
6.La novità della questione e il consolidamento della giurisprudenza di legittimità in materia successivamente alla proposizione del ricorso, inducono questo Collegio a compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
P.Q. M.
La Corte: dichiara l ‘inammissibilità del ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate; rigetta il ricorso proposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma il 10 giugno 2025