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Rimborso accise: onere della prova e comunicazione

Una società energetica ha richiesto il rimborso di accise sul gas naturale utilizzato per produrre energia elettrica. La Corte di Cassazione ha annullato la decisione di secondo grado, che aveva negato il rimborso. La Suprema Corte ha chiarito che l’onere di provare l’avvenuta traslazione dell’imposta sul consumatore finale spetta all’Amministrazione finanziaria e non al contribuente. Inoltre, ha censurato la corte di merito per aver erroneamente collegato l’obbligo di comunicazione dell’istanza all’Agenzia delle Entrate con la prova della mancata traslazione, e per aver omesso di pronunciarsi su un motivo di appello.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborso accise: la Cassazione fissa i paletti su onere della prova e comunicazioni

Una recente sentenza della Corte di Cassazione interviene su un tema di grande interesse per le imprese del settore energetico: il rimborso accise versate indebitamente. La pronuncia chiarisce in modo definitivo a chi spetta l’onere di provare che l’imposta non sia stata trasferita sui consumatori finali e analizza le conseguenze procedurali della comunicazione dell’istanza agli uffici fiscali competenti.

I fatti di causa

Una società operante nella produzione di energia elettrica presentava un’istanza di rimborso per un importo significativo, relativo all’accisa versata sul gas naturale impiegato nella propria centrale termoelettrica. La richiesta si basava sul contrasto tra la normativa nazionale e una direttiva europea che prevedeva l’esenzione per i prodotti energetici destinati a tale scopo.

Di fronte al silenzio-rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, la società avviava un contenzioso tributario. I giudici di secondo grado, tuttavia, respingevano le ragioni dell’azienda, accogliendo l’appello dell’Agenzia fiscale. La decisione si fondava principalmente su due punti: la presunta mancata prova della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate e la mancata dimostrazione, da parte della società, di non aver trasferito l’onere dell’accisa sui clienti finali.

La decisione della Corte di Cassazione

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto i motivi di ricorso della società, cassando con rinvio la sentenza di secondo grado. La Suprema Corte ha riscontrato diversi errori di diritto nella decisione impugnata, ridefinendo principi fondamentali in materia di rimborso accise.

Le motivazioni

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su alcuni pilastri fondamentali.

In primo luogo, ha affrontato la questione dell’onere della prova. Richiamando un consolidato orientamento, anche di matrice europea, la Cassazione ha ribadito che la mancata traslazione del tributo non è un elemento costitutivo del diritto al rimborso. Al contrario, l’avvenuta traslazione dell’imposta rappresenta un fatto impeditivo del diritto. Di conseguenza, è l’Amministrazione finanziaria a dover provare che il contribuente si sia di fatto rivalso sul consumatore finale, e non il contrario. I giudici di merito avevano erroneamente invertito tale onere, addossandolo alla società ricorrente.

In secondo luogo, la Corte ha censurato il modo in cui è stata trattata la questione della comunicazione dell’istanza all’Agenzia delle Entrate. La normativa (art. 29, comma 4, L. 428/1990) prevede questo adempimento a pena di inammissibilità per informare l’ufficio competente dei riflessi fiscali della richiesta di rimborso sui redditi d’impresa. La corte di merito aveva confuso questo adempimento procedurale con la prova sostanziale della mancata traslazione. La Cassazione ha chiarito che si tratta di due piani distinti: la verifica dell’adempimento formale (la comunicazione) non può essere sovrapposta e confusa con l’accertamento di merito sulla traslazione dell’imposta. Inoltre, i giudici di appello avevano omesso di considerare che la comunicazione era di fatto avvenuta e documentata, commettendo un errore di valutazione dei fatti.

Infine, è stato accolto anche il motivo relativo all’omessa pronuncia. La corte di merito, nell’accogliere l’appello dell’Agenzia fiscale, aveva dichiarato “assorbito” il motivo di appello principale della società (relativo alla tempestività della domanda per una specifica annualità) senza fornire alcuna motivazione sui presupposti di fatto e di diritto che giustificassero tale assorbimento, configurando così un vizio della sentenza.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un punto fermo di notevole importanza pratica per tutte le aziende che si trovano a richiedere un rimborso accise o altri tributi indebitamente versati. Viene riaffermato con forza il principio secondo cui l’onere di provare l’indebito arricchimento del contribuente (derivante dalla traslazione dell’imposta) grava sull’Amministrazione finanziaria. Le imprese non sono tenute a fornire una prova negativa (dimostrare di non aver fatto qualcosa), ma è l’ente impositore che deve dimostrare attivamente il contrario. La decisione, inoltre, fa chiarezza sulla distinzione tra adempimenti procedurali, come la comunicazione dell’istanza, e le questioni di merito, evitando che un errore formale possa pregiudicare ingiustamente il diritto sostanziale al rimborso.

A chi spetta l’onere di provare che l’accisa non è stata trasferita sul consumatore finale in una richiesta di rimborso?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova spetta all’Amministrazione finanziaria. L’avvenuta traslazione dell’imposta è un fatto impeditivo del diritto al rimborso, quindi deve essere l’ente impositore a dimostrare che il contribuente ha effettivamente trasferito l’onere economico su altri soggetti.

Qual è la funzione della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate?
La comunicazione serve a informare l’ufficio fiscale competente dei possibili riflessi che la richiesta di rimborso può avere sui redditi d’impresa dichiarati dal contribuente. È un adempimento procedurale previsto a pena di inammissibilità, ma non deve essere confuso con la prova di merito sulla mancata traslazione dell’imposta.

Cosa accade se un giudice d’appello assorbe un motivo di ricorso senza spiegare il perché?
Se un giudice dichiara un motivo “assorbito” senza esplicitare i presupposti di fatto e di diritto che legittimano tale decisione, si configura un vizio di omessa pronuncia. Questo comporta la nullità della sentenza su quel punto, come stabilito dalla Corte di Cassazione nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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