Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33834 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33834 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 2240/2023 proposto da:
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
–
ricorrente –
contro
La RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura allegata in formato digitale, dall’avv. NOME COGNOME COGNOME con domicilio eletto presso l’ Avv. NOME COGNOME con studio in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della BASILICATA, n. 204/01/2022, depositata in data 22 giugno 2022, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane nei confronti della sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della società RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto il diniego di rimborso accise sui combustibili, per gli anni 2015 e 2016, notificato in data 7 agosto 2019.
I giudici di secondo grado hanno ritenuto che l’omessa attivazione del contraddittorio da parte dell’Agenzia delle Dogane aveva determinato l’invalidità del provvedimento impugnato, in quanto si trattava di diniego di rimborso di accise sui combustibili impiegati per la produzione di forza motrice e, pertanto, di imposta armonizzata e che anche il rigetto dell’istanza di rimborso costituiva un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente che necessitava di una preventiva interlocuzione con la parte interessata e ciò anche se la società contribuente aveva omesso di comunicare l’istanza di rimborso delle accise all’Agenzia delle Entrate (comunicazione poi effettuata tardivamente, ma entro i due anni dal pagamento dell’imposta nelle more divenuta illegittima) , in quanto l’omissione di tale obbligo non determinava l’invalidità del provvedimento di diniego del rimborso ; che l’inammissibilità dell’istanza di rimborso per effetto della tardiva comunicazione della stessa all’Agenzia delle Entrate era in cont rasto con quanto stabilito dalla Giustizia Europea posto che il diniego dell’istanza aveva impedito, per ragioni puramente formali, il recupero di un’imposta illegittimamente pagata, né il mancato recupero era stato
conseguenza di un comportamento omissivo della società contribuente, posto che l’obbligo di comunicare l’istanza di rimborso era funzionale all’esigenza di rendere edotto l’Ufficio delle domande di rimborso in relazione a possibili effetti sulla dichiarazione dei redditi, al fine di evitare danni per l’Erario che, nel caso di specie, non vi era stato.
L ‘Agenzia delle Dogane ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la v iolazione e falsa applicazione dell’art. 19, comma 4, T.U.A. e dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La Commissione tributaria regionale era incorsa nella violazione dell’art. 19, comma 4, del T.U.A., che, nel prevedere l’obbligo di attivazione del contraddittorio, successivo alla redazione del processo verbale di constatazione, per tutte le violazioni relative ai tributi oggetto del Testo Unico Accise, subordinava chiaramente la necessità di notificare un previo verbale di constatazione alla successiva emissione di un avviso di pagamento ovvero di un atto di irrogazione di sanzione, non menzionando, pertanto, in alcun modo le ipotesi di rigetto di istanze di rimborso presentate dal contribuente. L’ obbligo di instaurare il contraddittorio preventivo ricorreva, dunque, solo nelle ipotesi in cui l’Ufficio era chiamato ad accertare un’imposta dovuta ovvero una violazione commessa, non anche quando doveva provvedere su un’istanza di rimborso. L’Ufficio non aveva alcun obbligo di attivare il c ontraddittorio anche perché l’eventuale convocazione del contribuente non avrebbe potuto in alcun modo sanare l’omissione risultante dalla documentazione allegata all’istanza di rimborso, che non contemplava anche la prevista ed obbligatoria comunicazione all’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990. Il
contribuente, inoltre, qu alora fosse stato sentito prima dell’adozione del provvedimento di diniego di rimborso per cui era causa non avrebbe potuto addurre alcuna argomentazione tale da indurre l’Amministrazione finanziaria ad evitare di emettere tale provvedimento, atteso che effettivamente era stata omessa l’obbligatoria comunicazione dell’istanza di rimborso anche all’Agenzia delle Entrate. L’unica «prova di resistenza» opponibile dalla Società era la dimostrazione dell’avvenuta tempestiva trasmissione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate, sicché la preventiva interlocuzione col contribuente, ritenuta indispensabile dai giudici di appello, si palesava come assolutamente inutile e tale da appesantire soltanto il procedimento amministrativo. Da ultimo, i giudici di secondo grado avevano erroneamente richiamato l’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, chiaramente riferito solo ai casi di verifica fiscale con accesso nei locali destinati allo svolgimento dell’attività di impresa, situazione che certamente non ricorreva nel caso di specie.
1.1 In via preliminare va disattesa l’eccezione di inammissibilità del primo motivo sollevata nel controricorso per avere l’Agenzia ricorrente omesso di riportare gli specifici punti di interesse, rivenienti dagli atti e documenti prodotti nei precedenti gradi di giudizio (nonché il capo del pronunciamento che con tale motivo aveva inteso impugnare), in quanto il ricorso per cassazione, alle pagine 1- 11, indica in modo puntuale gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda e contiene, in sé, tutti gli elementi che consentono al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata (cfr. Cass., 13 gennaio 2021, n. 342).
1.2 Il motivo, ammissibile, è fondato.
1.3 Ed invero, in ossequio ai principi di questa Corte, va ribadito che il rimborso di imposta dà origine ad un rapporto giuridico nel quale, con
una inversione dei ruoli rispetto allo schema paradigmatico del rapporto tributario è il contribuente a rivestire il ruolo attivo, assumendo nei confronti dell’Erario la posizione di creditore di una determinata somma di denaro, per il fatto di avergliela in precedenza versata (Cass., 3 luglio 2023, n. 18644, Cass., 2 settembre 2022, n. 25999; Cass., 3 marzo 2020, n. 5827).
1.4 Nelle ipotesi in cui detto credito nasca per un pagamento non dovuto, dunque, il divieto di arricchirsi indebitamente in danno di altri, costituente un principio generale de ll’ ordinamento, comporta, infatti, un obbligo di restituzione a carico dell’Ufficio. Quest’ultimo viene, di conseguenza a rivestire nel rapporto in esame, al contrario di quanto accade in quello impositivo, o in sede di riscossione, o nel rapporto sanzionatorio, il ruolo passivo che pertiene al debitore nel rapporto giuridico ordinario, con il conseguente corollario che il provvedimento espresso di rigetto dell’istanza di rimborso del contribuente non può in alcun modo rivestire la valenza, sia sul piano formale che su quello sostanziale, di un provvedimento impositivo e che, nel rapporto che si instaura tra Amministrazione e contribuente per effetto della domanda di rimborso da questi proposta, alla motivazione del provvedimento di rigetto non può attribuirsi carattere di esaustività, giacché in tale rapporto l’Ufficio assume il ruolo passivo di colui che resiste alla pretesa creditoria del contribuente.
1.5 Questa Corte ha, di conseguenza, più volte, avuto modo di precisare che, ove nella controversia instaurata dal contribuente si discuta del rigetto di un’istanza di rimborso di un tributo, l’Amministrazione finanziaria ben può prospettare argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa. La posizione dell’Ufficio, che si difende rispetto all’impugnazione del rigetto di una istanza di rimborso, è – difatti – diversa rispetto a quella dell’Ufficio che abbia esplicitato una pretesa impugnata dal contribuente, come un avviso di
accertamento o di liquidazione o il provvedimento d’irrogazione di una sanzione, nel quale ultimo caso l’oggetto del contendere è delimitato in via assoluta dall’atto impugnato. Nel caso dell’istanza di rimborso reietta, invece, è il contribuente ad essere attore sostanziale nel giudizio di rimborso e, pertanto, l’Amministrazione ha la facoltà di controdeduzione in giudizio, di cui all’art. 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992, purché nell’ambito oggettivo della controversia (cfr. Cass., 2 luglio 2014, n. 15026; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29613). La posizione dell’Ufficio, che si difende rispetto all’impugnazione del rigetto di una istanza di rimborso, è, dunque, diversa rispetto a quella dell’Ufficio che abbia esplicitato una pretesa impugnata dal contribuente, come un avviso di accertamento o di liquidazione o il provvedimento d’irrogazione di una sanzione, nel quale ultimo caso l’oggetto del contendere è delimitato in via assoluta dall’atto impugnato. Ne consegue che l’atto non deve avere una motivazione simile a quella prevista, dalle specifiche disposizioni di legge suesposte, per gli atti costituenti esercizio della potestà impositiva (Cass., 29 ottobre 2022, n. 25999).
1.6 Questa Corte ha, in particolare, affermato che le ragioni dell’Amministrazione finanziaria non necessariamente devono essere esposte in sede amministrativa per un duplice ordine di motivi. In primo luogo, il diniego dell’Ufficio non deve necessariamente essere espresso, potendo essere tacito (art. 21, comma 2 e 19, lett. g) d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546) e, quindi, immotivato. In secondo luogo, la natura dell’Amministrazione finanziaria di convenuto sostanziale in sede di controversia di rimborso di imposte non cristallizza, neanche per quest’ultima, le ragioni del contenzioso, potendo l’Ufficio in sede giurisdizionale esercitare la facoltà di controdeduzione di cui all’art. 23 del decreto legislativo n. 546 del 1992 sulla base di argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle che hanno formato la eventuale motivazione di rigetto della istanza in sede amministrativa (Cass., 2
settembre 2022, n. 25999; Cass., 28 gennaio 2020, n. 1906; Cass., 29 ottobre 2020, n. 23862; Cass., 9 settembre 2016, n. 17811). Non è, pertanto, imposto all’Ufficio di esporre preventivamente, a seguito di una domanda di rimborso di maggiori accise dovute, le ragioni del diniego in un PVC ai fini dell’attivazione del co ntraddittorio preventivo con il contribuente (Cass., 5 agosto 2024, n. 22088, in motivazione).
1.7 Dunque solo nei provvedimenti costituenti esercizio della potestà impositiva (o di quella di riscossione o sanzionatoria) la motivazione dell’atto, come previsto da espresse disposizioni di legge (art. 7 della legge n. 212 del 2000, art. 7 del d.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 del d.P.R. n. 633 del 1972) deve essere esaustiva, essendo l’Amministrazione, parte attiva del rapporto in qualità di creditore, tenuta ad esplicitare le ragioni in fatto ed in diritto della pretesa azionata, anche in vista di una possibile impugnativa giurisdizionale dell’atto da parte del contribuente, mentre, per converso, nel rapporto che si instaura tra Amministrazione e contribuente per effetto della domanda di rimborso da questi proposta, alla motivazione del provvedimento di rigetto non può attribuirsi siffatto carattere di esaustività, giacché in tale rapporto l’Ufficio assume il ruolo passivo di colui che resiste alla pretesa creditoria del contribuente, e non è, pertanto, gravato dall’onere di motivare compiutamente le proprie ragioni e in siffatta ipotesi deve ritenersi sufficiente ed adeguata una motivazione del diniego di rimborso che delinei gli aspetti essenziali delle ragioni del provvedimento, anche limitandosi ad affermare l’insussistenza dei presupposti di legge per operare il rimborso richiesto (cfr. Cass., 2 settembre 2022, n. 25999, in motivazione; Cass., 18 luglio 2023, n. 20732).
1.8 E’ stato, dunque, enunciato , di recente, il seguente principio di diritto: « In caso di rigetto di istanza di rimborso di maggiori accise indebitamente versate, l’Ufficio che contesti i presupposti per il rimborso non è tenuto a contestare preventivamente al contribuente
le ragioni del diniego con processo verbale di constatazione a termini dell’art. 14, comma 4, d. lgs. n. 504/1995 » (Cass., 5 agosto 2024, n. 22088).
1.9 In ultimo, mette conto rilevare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, il diritto nazionale, differentemente dal diritto dell’Unione europea, allo stato della legislazione non pone in capo all’Amministrazione fiscale, che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica prescrizione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto. Ne consegue che, in tema di tributi non armonizzati, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito. Al contrario, in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e sempre che l’opposizione di dette ragioni, valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio, si riveli non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto (Cass., 14 ottobre 2022, n. 30211).
1.10 La Commissione tributaria regionale, nella parte in cui ha affermato che il provvedimento di diniego di rimborso delle accise era soggetto all’obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, non è
conforme ai principi suesposti, né la società contribuente ha indicato quali ragioni avrebbe potuto dedurre nella fase amministrativa se il chiesto contraddittorio si fosse effettivamente svolto.
2. Il secondo motivo deduc e la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, come interpretato dalla Corte di Cassazione e dalla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e la nullità della sentenza per difetto di motivazione e per errata individuazione dell’oggetto del contendere. La sentenza della Corte di Giustizia del 25 settembre 2003, resa nella causa C-437/01, era da ritenersi assolutamente inconferente, poiché riferita a fattispecie completamente diversa, come già correttamente evidenziato dall’Ufficio delle Dogane nei propri scritti difensivi. I giudici di appello avevano fatto riferimento ad una fattispecie diversa da quella risultante dagli atti di causa, partendo dal l’errato presupposto che la società contribuente avesse chiesto il rimborso dell’imposta di consumo sugli oli lubrificanti, tanto emergeva in modo chiaro a pagina 7 della sentenza impugnata, laddove il Collegio individuava, tra le problematiche da affrontare, quella inerente « all’applicabilità o meno al caso di specie, relativo a una istanza di rimborso di imposta ritenuta non conforme alla legislazione comunitaria, dell’art. 29 L. 428/90 ». Ed invero, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza resa nella causa C -343/96 –RAGIONE_SOCIALE, aveva dichiarato compatibile con il diritto comunitario l’obbligo di comunicazione all’Agenzia delle Entrate, previsto dall’art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, ritenendolo applicabile sia che la domanda di rimborso si fondasse sul diritto nazionale sia che si fondasse sul diritto comunitario. Anche la Corte di Cassazione aveva affermato che la comunicazione all’Agenzia delle Entrate dov eva essere normalmente coeva alla richiesta di rimborso e che, in ogni caso, dovesse essere effettuata prima del provvedimento di diniego da parte dell’Agenzia delle Dogane (Cass., sentenza n. 20818 del 2020) e che
la tempestiva comunicazione all’Agenzia delle Entrate, ponendosi come requisito di ammissibilità dell’istanza di rimborso, costituiva un preciso onere posto a carico di chi intendeva ottenere il rimborso (Cass., sentenza n. 7279 del 2020).
2.1 Anche il secondo motivo è ammissibile, dovendosi disattendere l’eccezione formulata nel controricorso, non essendo stato violato il canone di specificità della censura (cfr. pagg. 1-8 e pagg. 11-15 del ricorso per cassazione), né sussiste la violazione del principio di autosufficienza, atteso che il ricorso contiene tutti gli elementi necessari a rappresentare le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e consente a questa Corte la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass., 30 luglio 2024, n. 21346; Cass.,1 luglio 2021, n. 18695; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34469).
2.2 Inoltre, come già precisato da questa Corte la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) è ammissibile, come nel caso in esame, alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874).
2.3 Non merita accoglimento nemmeno l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per inosservanza del requisito prescritto dall’art. 366, comma primo, cod. proc. civ., sollevata dalla difesa della società controricorrente in relazione alla mancanza della specifica indicazione degli atti e dei documenti sui quali si fonda l’impugnazione, che postula che dal ricorso possano evincersi tutti gli elementi indispensabili ai fini della comprensione delle ragioni per cui il ricorrente invoca la cassazione della sentenza impugnata e della valutazione della loro fondatezza, in modo tale da escludere la necessità di accedere agli atti del giudizio di merito, il cui esame diretto è consentito a questa Corte soltanto a fronte della deduzione di violazioni della legge processuale (cfr. Cass., 17 luglio 2007, n. 15952; Cass., 26 giugno 2007, n. 14767; Cass., 24 maggio 2006, n. 12362).
2.4 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno, infatti, chiarito che l’adempimento dell’onere imposto dalla predetta disposizione deve essere valutato in relazione al contenuto dei singoli motivi d’impugnazione, verificando se l’esame dell’atto o del documento non indicato specificamente risulti indispensabile ai fini della comprensione delle doglianze proposte dal ricorrente e dei relativi presupposti fattuali (cfr. Cass., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887 e, più di recente, Cass., Sez, U., 27 dicembre 2019, n. 34469 ed anche Cass., 13 marzo 2020, n. 7233, richiamata quest’ultima nel controricorso ), e così, nel caso in esame, la natura dei vizi denunciati, consistenti nel vizio di violazione di legge e nel vizio di motivazione, consentono di escludere l’inosservanza del principio di autosufficienza del ricorso, in quanto dall’esposizione del motivo si evincono gli elementi necessari ai fini della comprensione delle ragioni per cui il ricorrente invoca la cassazione della sentenza impugnata e della valutazione della loro fondatezza.
2.5 Il motivo, ammissibile, è fondato.
2.6 Sovviene, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che « In materia di rimborsi di imposte di consumo, quali sono le addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988, la disciplina prevista dall’art. 29 della l. n. 428 del 1990 – che distingue tra il pagamento effettuato in applicazione di norme nazionali in contrasto con il diritto unionale (comma 2) e il pagamento effettuato in ragione di una errata o inesatta applicazione delle regole interne (comma 3) -ha carattere omnicomprensivo e prende, pertanto, in considerazione tutte le possibili azioni di rimborso, applicandosi sia alle azioni di ripetizione delle imposte di consumo basate sulla violazione del diritto comunitario, sia a quelle basate sul solo diritto nazionale» e che «L’azione di ripetizione delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica di cui all’art. 6 del d.l. n. 511 del 1988 prevede che, quando la spesa ha concorso alla formazione del reddito, l’istanza di rimborso sia comunicata, a pena di inammissibilità, all’Agenzia delle entrate, proprio in ragione dei riflessi sui redditi dichiarati dell’esercizio di competenza » (Cass., 30 settembre 2020, n. 20818).
2.7 Ed invero, « la “ratio legis” complessiva è data dalla necessità che, avviata la procedura di rimborso delle imposte di consumo presso la competente Agenzia delle dogane, anche l’Agenzia delle entrate debba essere informata per i riflessi sui redditi dichiarati dell’esercizio di competenza » (Cass., 25 luglio 2012, n. 13087, in motivazione).
2.8 Ancora è stato affermato che l’obbligo di comunicazione della domanda di rimborso, a pena d’inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza non può considerarsi implicitamente abrogato, per incompatibilità logica e giuridica, dal sopravvenuto art. 14 TUA, atteso che il precetto di tale ultimo articolo, nella parte in cui stabilisce che « il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento » non contrasta con quello secondo cui « la
domanda di rimborso (…) deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei reddit i» (Cass., 1 febbraio 2019, n. 3054; Cass., 19 aprile 2013, n. 9560). Si tratta, infatti, di una mera integrazione dei due precetti per « le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie », funzionale all’esigenza di rendere edotta l’Agenzia delle entrate della presentazione di istanze di rimborso, in relazione a possibili effetti sui redditi dichiarati dell’esercizio di competenza; né tale interpretazione del dato normativo si pone in contrasto con il diritto unionale, come sottolineato da CGUE 9 febbraio 1999, in causa C-343/96, RAGIONE_SOCIALE, che, proprio esaminando la portata dell’art. 29, comma 4, della I. n. 428 del 1990, ha riconosciuto che l’obbligo di comunicazione dell’istanza « non ha per conseguenza né per effetto di privare gli interessati della possibilità di fruire dell’applicazione effettiva del diritto comunitario, né di porli in una situazione meno favorevole di quella in cui si troverebbero se domandassero il rimborso di diritti o imposizioni contrari al diritto interno »; ciò posto, per effetto del richiamato art. 29, comma 4, della legge n. 428 del 1990, l’onere della comunicazione della istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate non opera indiscriminatamente, ma solo « quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa » (Cass., 16 marzo 2020, n. 7279, in motivazione).
2.9 La comunicazione della istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, dunque, si pone come requisito di ammissibilità della stessa, ed è onere posto a carico di chi intende ottenere il rimborso; inoltre, l’o messa comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, in quanto requisito di ammissibilità dell’istanza di rimborso, è rilevabile d’ufficio dal giudice, sicché non può nemmeno ipotizzarsi una preclusione derivante dal mancato rilievo in sede endoprocedimentale
e provvedimentale (cfr. Cass., 16 marzo 2020, n. 7279, sempre in motivazione).
2.10 La sentenza impugnata, nella parte in cui afferma, a pag. 11, che l’inammissibilità dell’istanza di rimborso per effetto della tardiva comunicazione della stessa all’Agenzia delle Entrate era in contrasto con quanto stabilito dalla Giustizia Europea posto che il diniego dell’istanza aveva impedito, per ragioni purame nte formali, il recupero di un’imposta illegittimamente pagata e che il mancato recupero non era stato conseguenza di un comportamento omissivo della società contribuente, dato che l’obbligo di comunicare l’istanza di rimborso era funzionale all’esigenza di rendere edotto l’Ufficio delle domande di rimborso in relazione a possibili effetti sulla dichiarazione dei redditi, al fine di evitare danni per l’Erario che, nel caso di specie, non vi era stato, non è conforme ai principi suesposti, in quanto, nel caso in esame, l’accisa versata in eccesso ha costituito un costo sostenuto per la produzione del reddito e, dunque, ha assunto rilevanza ai fini della formazione del reddito d’impresa.
Per quanto esposto, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata e la causa deve essere rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME