Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19503 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 19503 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/07/2025
Oggetto: termine art. 14 TUA – decorrenza – ultima dichiarazione presentate
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 33017/2018 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa in forza di procura speciale in atti dall’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL ) e dall’avv. NOME COGNOME (con indirizzo PEC: EMAIL) in forza di procura speciale in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’Avvocatura
Generale dello Stato con domicilio in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria n. 184/03/2018 depositata in data 16/04/2018 e non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del primo motivo di ricorso, dichiarandosi assorbito il secondo motivo; Uditi per la società ricorrente l’avv. NOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso e per l’Agenzia delle Dogane l’avvocato dello Stato NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dell’impugnazione
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE impugnava l’avviso di pagamento notificatole dall’Amministrazione doganale emesso a seguito di PVC con il quale era richiesta maggiore accisa sull’energia elettrica oltre ad addizionali, interessi e sanzioni per i periodi di imposta 2007 e 2008 in forza del disconoscimento di crediti per decadenza biennale ex art. 14 c. 4 del d. Lgs. n. 504 del 1995 (c.d. testo unico accise o TUA).
Riteneva l’Ufficio, in sintesi, che il termine ridetto decorresse per ciascun periodo d’imposta dal termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale e non dall’ultima dichiarazione presentata a seguito della rideterminazione del credito in argomento in forza del meccanismo di cui agli artt. 26 c. 13 e 56 c. 1 del TUA.
La CTP accoglieva il ricorso; appellava l’Amministrazione Finanziaria; con la sentenza qui gravata, il giudice di secondo grado ha accolto l’impugnazione limitatamente ai tributi, dichiarando non dovute le sanzioni.
Ricorre a questa Corte RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a due motivi di doglianza illustrati da memoria ; resiste con controricorso l’Agenzia delle dogane e dei Monopoli.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di censura lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 c. 2 TUA in riferimento alla disciplina specifica di riporto del credito ex art. 56 c. 1 TUA, con conseguente inapplicabilità del termine biennale in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la sentenza di merito erroneamente applicato il ridetto termine dal versamento dei tributi anziché dal termine per la presentazione delle dichiarazioni annuali successive con le quali detto credito chiesto a rimborso viene diversamente liquidato sulla base dei versamenti effettuati, se dovuti, e sulla base del residuo credito dell’anno precedente.
Il motivo è fondato.
La questione che qui si pone è stata tempo fa risolta da una ormai risalente sentenza di questa Corte ben nota alle parti che la citano nei propri scritti (si veda in termini Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9283 del 17/04/2013) secondo la quale in materia d’imposta sulla produzione e sui consumi, ai sensi dell’art. 14, comma 2, del d. Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (c.d. testo unico delle accise o TUA) il rimborso (o la corrispondente detrazione) dell’accisa indebitamente pagata (sul consumo di gas metano) deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro 2 anni, decorrenti dalla
data di presentazione della dichiarazione annuale, con la conseguenza che, nel caso di versamento di acconti risultati maggiori del dovuto, questi devono sommarsi con il credito d’imposta relativo all’anno successivo, derivandone che il saldo creditorio va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati; peraltro, nel periodo che è seguito tale orientamento è stato in concreto oggetto di apparenti ripensamenti tanto che il trend giurisprudenziale ne è risultato se non smentito certamente in parte oggetto di sobbalzi interpretativi che rendono necessario un chiarimento in questa sede. La sopra indicata pronuncia del 2013, va ricordato in esordio, è stata resa in materia di accisa sulla produzione di gas; sul punto basti qui osservare come la disciplina che viene in rilievo nella fattispecie -riguardante le accise sulla produzione di energia elettrica -contempli parimenti un meccanismo di determinazione dell’accisa dovuta in base al meccanismo di calcolo della stessa in forza degli acquisti calcolati mese per mese sui consumi corrispondenti al periodo precedente.
Il meccanismo di funzionamento delle accise ex artt. 14, 26 e 56 TUA trova il suo limite nella circostanza che i versamenti in acconto per l’anno (o gli anni) successivo non siano tali da esaurire l’intero importo, sicché, al momento della presentazione della successiva dichiarazione annuale di consumo, il credito è ancora esistente o, addirittura, è aumentato (ad esempio per l’eccessività degli acconti rispetto al consumo effettivo via via decrescente). In questa peculiare ipotesi, alla chiusura annuale del periodo (anzi, di ciascun periodo) si determina un nuovo saldo creditorio o debitorio che va a costituire un nuovo credito o debito rispetto a quelli precedentemente maturati, che si protrae o fino all’esaurimento del credito ovvero fino alla definizione del rapporto tributario, ossia fino alla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo. È questa evenienza che
Cons. Est. NOME COGNOME
identifica il momento di definitiva cristallizzazione dei rapporti di debito/credito e di attribuzione del carattere di indebito (oggettivo) al credito sorto per effetto dei maggiori pregressi pagamenti, sicché è da questa che decorre il termine biennale per la presentazione dell’istanza di rimborso.
Anteriormente a tale data, la richiesta di rimborso non appare, invece, né possibile, né utilmente proponibile: il meccanismo di assolvimento dell’accisa prevede esplicitamente (art. 26, comma 13, TUA) che “Le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto”, con riferimento al solo meccanismo di “compensazione od accredito interno” e non anche al rimborso.
Il credito risultante dalla dichiarazione annuale di consumo, in realtà, indica solo che gli acconti versati sono stati maggiori a quanto effettivamente consumato e non integra quindi una autonoma obbligazione rispetto a quella originaria, sicché – in linea con quanto già sopra evidenziato – si può dubitare che possa essere qualificato come indebito in senso stretto ed è, per contro, riconducibile alla struttura dell’eccedenza o rimborso “da dichiarazione”. Infatti, anche in questo caso, pur lasciando emergere la liquidazione compiuta in dichiarazione una minore entità del debito verso l’Amministrazione Finanziaria rispetto a quanto assolto mensilmente in via provvisoria, resta il fatto che i versamenti erano dovuti e restano tali, se isolatamente considerati: nasce dunque in via fisiologica, e non per patologie.
Deve quindi ritenersi che il credito derivante dalle eccedenze dei versamenti rispetto al dovuto ha natura ‘revolving’ ossia di credito che si rigenera continuamente per effetto del riporto a nuovo delle eccedenze di imposta non estinte per compensazione nei periodi di imposta via via successivi (per mancanza di maggiori imposte dovute
a debito) scomputando da quanto dovuto a debito quanto risultante dalla dichiarazione di consumo precedente, sino a cessazione del rapporto di imposta (affermazione che si ritrova in Cass., Sez. V, 24 agosto 2023, n. 25235; Cass., Sez. V, 22 agosto 2023, n. 25042; Cass., Sez. VI, 25 ottobre 2021, n. 29802; Cass., Sez. V, 22 settembre 2020, n. 19770; Cass., Sez. V, 31 ottobre 2019, n. 28063). Alla luce di tale meccanismo il rimborso è consentito, pertanto, ove lo strumento del riporto a nuovo non sia più possibile, ossia quando cessa il rapporto di imposta, ovvero quando venga abrogata l’imposta dovuta. In quest’ultimo caso, al pari della cessazione del rapporto di imposta, non è possibile il riporto a nuovo, perché non ci saranno più imposte dello stesso tenore da addebitare ai consumatori finali sull’energia elettrica immessa in consumo.
Il soggetto di imposta si trova, in questo caso, di fronte a un indebito oggettivo per le addizionali non detratte versate in eccesso (che indebite non erano al momento del pagamento), che può chiedere a rimborso nel termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, TUA decorrente appunto dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo in cui ha potuto operare la detrazione (Cass., Sez. V, 22 agosto 2023, n. 25042).
Il credito per i tributi in oggetto, quindi, si rinnova concretamente di anno in anno (di qui l’uso del termine ‘revolving’ che sottolinea la determinazione dinamica dello stesso e la sua rideterminazione anno dopo anno) divenendo sempre un credito nuovo e diverso rispetto a quello dell’anno precedente per effetto dell’operazione di saldo debitorio o creditorio operata dall’Ufficio nella liquidazione delle imposte dovute. Per ulteriormente definire il quadro della questione, merita altresì specifica considerazione l’ipotesi – pur qui non rilevante, se non ai fini di una corretta interpretazione anche sistematica del tessuto normativo – in cui il contribuente abbia, invece di chiedere il
rimborso, formulato istanza per il trasferimento contabile del credito ad altra posizione contestualmente gestita in forza dell’art. 26 (o 56) TUA. Il d.M. 12 dicembre 1996, n. 689, art. 6, comma 3, infatti, contempla l’ipotesi del “rimborso per accredito” (in corrispondenza a quanto previsto dall’art. 14, comma 4, TUA), con possibilità per l’operatore di trasferire il credito ad altro impianto presso cui opera. È il caso, di maggiore frequenza, in cui il medesimo operatore svolga la sua attività in diverse province, per cui, a fronte dell’unicità del soggetto d’imposta, sorgono, per le modalità di gestione, separate posizioni contabili (debitorie/creditorie) per le singole ripartizioni territoriali. Orbene, si deve ritenere che il trasferimento contabile del credito, che riguarda pur sempre il medesimo soggetto e il rapporto complessivo tra esso e l’erario, non sia impedito dall’esser il rapporto ancora in corso poiché realizza una modalità solo integrativa (quale forma autorizzata di “compensazione esterna” ma pur sempre in una prospettiva di “riporto” dell’eccedenza) del meccanismo operativo previsto dall’art. 26 cit., che non solo non altera la struttura del procedimento ma, anzi, ne determina la razionalizzazione e la sua riconduzione ai parametri previsti dal legislatore. Ne deriva che la richiesta di trasferimento contabile del credito assume lo stesso rilievo – e resta soggetta alle medesime condizioni e disciplina – del riporto dell’eccedenza alla dichiarazione successiva per lo scomputo dalle rate successive.
Ciò non significa, va sottolineato, che la parte possa, di iniziativa, procedere ad una autonoma compensazione (invocando i principi generali in tema di compensazione od anche la L. n. 212 del 2000, art. 8) poiché il meccanismo normativo individua la compensazione come riferita alla specifica gestione e dichiarazione annuale di consumo, sicché una modalità di compensazione “esterna” può avvenire solo a fronte di specifica istanza, il cui eventuale diniego è
suscettibile di autonoma impugnazione. È appena il caso di rilevare, infine, che deve essere escluso che la mera indicazione del credito nella dichiarazione annuale di consumo integri, di per sé, (anche) una istanza di rimborso. Infatti, la possibilità – considerata dalla norma come modalità ordinaria di soddisfacimento del credito – di operare la detrazione delle eccedenze dalle rate successive osta a ritenere una tale indicazione come mirata (anche) a chiedere il rimborso.
Da ciò deriva altresì che l’istanza con cui si chiede il rimborso (che ha carattere residuale ed eventuale) e quella intesa ad ottenere il trasferimento contabile del credito nel corso del rapporto (diretta a soddisfare le medesime esigenze del meccanismo di detrazione) non sono tra loro mutualmente rilevanti ma rispondono a criteri e presupposti di fatto separati ed autonomi, per cui l’una non implica l’altra, nè viceversa.
In conclusione, in tema di accise ex art. 26 (nonché 56) TUA, nel corso del rapporto: a) il credito maturato per eccedenza dei versamenti non incorre in alcuna decadenza ove regolarmente riportato nelle successive dichiarazioni; b) è preclusa, fino alla chiusura del rapporto medesimo, la possibilità di ottenere il rimborso del credito stesso, sicché non può essere accolta la richiesta anticipata di rimborso; c) è consentito, senza che sia rilevabile od eccepibile alcuna decadenza, il trasferimento contabile del credito ad altra posizione gestita dal medesimo contribuente (ovvero ad altro contribuente parimente titolare di impianto nel caso di cessione ai sensi del D.M. n. 689 del 1996, ex art. 6, comma 5). Una volta, invece, che il rapporto sia definito, il credito maturato per eccedenza dei versamenti compiuti nel corso del rapporto integra un indebito oggettivo, rispetto al quale la parte può chiedere il rimborso (o il trasferimento contabile del credito) con istanza che deve essere
presentata entro il termine biennale di decadenza decorrente dall’ultima (e definitiva) dichiarazione di consumo.
Sotto altro profilo, resta tuttora valido l’insegnamento (di cui, segnatamente, a Cass. n. 17001 del 2013) a termini del quale, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno di imposta 2002.
In ultima conclusione, va preso atto di come le particolari modalità di versamento delle accise che qui trovano applicazione facciano sorgere una sorta di rapporto di conto corrente fra contribuente ed Erario, rinnovato anno dopo anno, e, proprio come è previsto dall’art. 1823 c.c.; ne discende che al momento della chiusura del conto potrà essere esatto il credito con decorrenza del termine biennale di decadenza dalla data di presentazione dell’ultima dichiarazione annuale dalla quale sia risultato il credito di imposta (Cass. Sez. V, 16261/2019, in motivazione, § 1.5. Sez. V, 25042/2023, in motivazione, § 14.1.).
Del resto, l’impossibilità di far decorrere l’ exordium decadentiae dalla data del pagamento dal quale si originò il credito consegue anche al fatto che, non essendo ammissibile una istanza di rimborso anticipata
rispetto alla chiusura del rapporto, nemmeno potrebbe ipotizzarsi una data dalla quale fare decorrere tale decadenza.
Le superiori considerazioni -analiticamente già espresse come sopra riportato da Cass. n. 11813 del 2020 -risultano confermate da ulteriori numerose pronunce di questa Corte: una di esse, assai recente (in termini Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 25042 del 22/08/2023, citata ut supra ) ha precisato che in tema di addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, di cui all’art. 6, comma 1, lett. c), del d.l. n. 511 del 1988, soppressa dall’art. 4, del d.L. n. 16 del 2012, il saldo creditorio maturante al momento della presentazione della dichiarazione annuale permette al credito di imposta di emergere e di andare a costituire, nelle dichiarazioni di consumo per gli anni successivi, la componente di un nuovo saldo creditorio emergente con conseguente differimento della decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14, comma 2, TUA per il rimborso del credito, dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo.
E’ poi il caso di ribadire che il dies a quo ai fini della decadenza biennale ex art. 14, comma 2, cit. va individuato anche d’ufficio e senza necessità di previamente sollecitare, sul punto, il contraddittorio delle parti, trattandosi di un’attività meramente ricognitiva della normativa applicabile al rapporto tributario e che prescinde, pertanto, dalle indicazioni delle parti (si vedano Cass. n. 25607 e n. 25608 entrambe del 12/11/2020 rese peraltro nei confronti della medesima contribuente parte del presente giudizio).
Erano peraltro già giunte ad analoghe conclusioni ulteriori pronunce, (si vedano Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 27290 del 24/10/2019 ma anche Cass. Sez. 5, Sentenza n. 16261 del 18/06/2019; quindi Cass.
Sez. 5, Ordinanza n. 19770 del 22/09/2020; Cass.
Sez. 5, Sentenza n. 11813 del 18/06/2020;
Cass.
Sez. 5, Ordinanza n. 5808 del 03/03/2020) alle quali questo Collegio convintamente aderisce, tutte orientate a ritenere, all’esito della medesima ermeneusi come svolta dalla pronuncia citata in esordio, che in tema di accise sui prodotti energetici, nel corso del rapporto: a) il credito maturato per eccedenza dei versamenti non incorre in alcuna decadenza ove regolarmente riportato nelle successive dichiarazioni; b) è preclusa, fino alla chiusura del rapporto medesimo, la possibilità di ottenere il rimborso del credito stesso, sicché non può essere accolta la richiesta anticipata di rimborso; c) è consentito, senza che sia rilevabile o eccepibile alcuna decadenza, il trasferimento contabile del credito ad altra posizione gestita dal medesimo contribuente.
Peraltro, anche in tema di tassa sulle emissioni di anidride solforosa e di ossidi di azoto questa Corte ha chiarito come (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 26079 del 07/09/2023) il saldo creditorio che matura al momento della presentazione della dichiarazione annuale, costituisce una modalità di pagamento dell’imposta, in quanto detratto ex lege dai successivi versamenti di acconto e non è reclamabile prima della chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14, comma 2, TUA, per il rimborso dell’eventuale credito di imposta, dalla presentazione dell’ultima dichiarazione annuale di consumo. Ciò in quanto la cristallizzazione dei rapporti di debito/credito e l’attribuzione del carattere indebito al pagamento precedente in eccesso sorge, pertanto, con la chiusura del rapporto e da tale momento decorre il termine biennale per la presentazione dell’istanza di rimborso. Anteriormente, la richiesta di rimborso non è invece possibile (ancora in argomento proprio Cass. Sez. V, 11813/2020).
Cons. Est. NOME COGNOME la decisione qui assunta anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione (resa in materia di rimborso Iva ma con
indicazioni parimenti rilevanti per la disciplina delle accise parimenti oggetto di armonizzazione a livello Eurounitario) la quale ha ritenuto contrarie al principio di effettività le discipline nazionali che escludevano il diritto al rimborso per essere il termine già integralmente decorso prima che il contribuente avesse la possibilità stessa di proporre la relativa istanza (v. Corte di Giustizia, sentenza 15 dicembre 2011, in C427/10, Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a.; v. inoltre recentemente Corte di Giustizia sentenza 21 marzo 2018, in C533/16, RAGIONE_SOCIALE e Corte di Giustizia, sentenza 12 aprile 2018, in C- 8/17, RAGIONE_SOCIALE; in quest’ultimo caso la Corte ha ritenuto contrario al diritto unionale che, in seguito ad avviso di accertamento di maggiore imposta, a distanza di vari anni dalla cessione dei beni, con versamento allo Stato di un supplemento di imposta sul valore aggiunto ed emissione dei relativi documenti di rettifica delle fatture iniziali, fosse escluso «il beneficio del diritto della detrazione dell’IVA» per il mero fatto che «il termine previsto dalla normativa medesima ai fini dell’esercizio di tale diritto sarebbe iniziato a decorrere dalla data di emissione delle dette fatture iniziali e sarebbe quindi scaduto»).
Va anche qui ricordata, a proposito, l’assenza di norme armonizzate che disciplinino il rimborso di tributi imposti in violazione del diritto dell’Unione. Il diritto dell’Unione lascia infatti gli Stati membri liberi di applicare le modalità procedurali previste dal loro ordinamento giuridico interno, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (CGUE, 19 dicembre 2019, RAGIONE_SOCIALE, C360/18, punto 47; CGUE, 8 settembre 2011, Q – Beef e RAGIONE_SOCIALE, C – 89/10 e C – 96/10, punto 34, CGUE, 20 dicembre 2017, RAGIONE_SOCIALE, C -500/16, punto 37) che le conclusioni interpretative sopra esposte consentono di garantire e rispettare.
In ultimo, va segnalato come fatto significativo che il legislatore nazionale, in linea con queste prospettive, è di recente intervenuto con l’art. 4 ter d.L. n. 193 del 2016, conv. dalla L. n. 225 del 2016, a modificare proprio l’art. 14 del TUA, il cui comma 2 attualmente dispone diversamente che «il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato».
Le sopra esposte considerazioni debbono quindi far ritenere ora definitivamente superato il diverso orientamento secondo il quale (si ricordino sia Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2229 del 30/01/2025 sia Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13724 del 31/05/2017) in tema di accise, sia sul consumo del gas sia dell’energia elettrica, ai sensi dell’art. 14, comma 2, TUA riguardante i prelievi dei tributi sulla produzione e sui consumi, il rimborso dell’accisa indebitamente corrisposta, a prescindere dalle cause per le quali il pagamento non sia dovuto (e quindi anche nelle ipotesi di non debenza del tributo per cause sopravvenute), deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento stesso, da intendersi come termine non derogabile, neanche per accordo delle parti.
Da quanto sopra esposto deriva l’accoglimento del primo motivo di ricorso; il secondo motivo è conseguentemente assorbito; la sentenza impugnata è pertanto cassata.
Poiché non vi sono accertamenti in fatto da compiersi, la controversia può decidersi nel merito con l’accoglimento dell’originario ricorso della società contribuente.
Sussistono giuste ragioni, stante la disomogeneità della giurisprudenza sulle questioni di diritto qui risolte, per disporsi la compensazione delle spese processuali tra le parti.
p.q.m.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l’originario ricorso della contribuente. Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2025.