Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33831 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33831 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26352/2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, giusta procura speciale unita al ricorso per cassazione, dal Prof. Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliata presso lo studio del primo difensore in Roma, INDIRIZZO
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 1310, depositata in data 4 aprile 2022, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto il provvedimento prot. 9161/RU del 5 aprile 2019, con il quale l’Ufficio aveva rigettato l’istanza di rimborso della somma di euro 67.126,15 a titolo di accise versate sul gasolio commerciale consumato dai propri mezzi dotati di filtri antiparticolato per motori diesel (c.d. FAP), ritenendo che detto mezzi rientrassero nella preclusione di cui all’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 in quanto originariamente omologati Euro 2.
I giudici di secondo grado, in particolare, confermando la sentenza di primo grado, hanno ritenuto l’illegittimità del rimborso dell’accisa in quanto l’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 (inserito poi dal 2016, con la medesima formulazione, nell’art. 24 ter , comma 2, del decreto legislativo n. 504 del 1995) si riferiva alle caratteristiche tecniche dei veicoli nella fase di omologazione e che erano irrilevanti le modifiche tecniche intervenute per effetto della installazione dei FAP, che peraltro incideva sulla riduzione del particolato, ma non anche delle altre emissioni inquinanti; che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ad avviso dell’Autorità di controllo dei veicoli, considerava non equivalenti i veicoli euro 2 dotati di filtro antiparticolato ed i veicoli di categoria superiore; la scelta del legislatore italiano di ammettere al beneficio solo le ipotesi tassativamente indicate nell’art. 24 ter del TUA
era legittima con la conseguenza che ciò che non era espressamente ricompreso restava fuori dalla agevolazione.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo motivo deduce, in relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 e dell’art. 24 ter del decreto legislativo n. 504 del 1995, in quanto la sentenza impugnata, nel limitare la spettanza del credito d’imposta ai veicoli Euro 2 o inferiori, aveva interpretato la normativa indicata in modo contrastante con la lettera e la ratio , facendo puntuale riferimento alla «categoria euro» di un veicolo e non alla sua «omologazione» , quest’ultima riferita a una situazione storica del veicolo al momento della sua immatricolazione e prima dell’ immissione in commercio; la Commissione tributaria regionale aveva confuso i concetti di «omologazione» e di «categoria euro» nonostante si trattasse di nozioni giuridiche diverse come emergeva dalle fonti normative eurounitarie, essendo l’omologazione di un veicolo (Direttiva n. 2007/46/CE) attribuita, all’esito di una procedura di verifica dei parametri o standard tecnici, inclusi anche quelli ambientali, al momento (storico) della sua immatricolazione e prima della immissione in circolazione, mentre la nozione di «categoria euro» era da riferire alla classificazione ambientale, quindi al livello di emissioni inquinanti e non altri (Direttive 91/441/CEE e n. 715/2007); la CTR, dunque, nell’escludere in capo alla contribuente le agevolazioni fiscali avrebbe fatto erroneamente riferimento alle caratteristiche tecniche (Euro 2) riscontrate originariamente durante alla procedura di omologazione dei veicoli laddove l’art. 1, comma 645 della legge n. 208/2015 faceva riferimento alla «categoria euro» come attuale ed
effettiva classe ambientale che tenesse conto anche del successivo processo tecnico di miglioramento dei veicoli ai fini ambientali, come nella specie avvenuto, per effetto della installazione dei FAP, che aveva soddisfatto la condizione per la classificazione degli stessi, nei periodi in questione, come euro 3 o euro 5 a seconda dei casi; la prospettiva sostenuta dai giudici di appello era, inoltre, affetta da profonda irragionevolezza, oltre che contrarietà ad ogni logica sistematica, considerata la ratio della menzionata normativa europea, chiaramente orientata in favore di una sostanziale e sempre crescente riduzione del rilascio di inquinati prodotti dai veicoli e che tale finalità «ambientalista» era stata perseguita anche dal Legislatore nazionale, essendo lo scopo perseguito chiaramente quello di ridurre l’inquinamento atmosferico. L’interpretazione offerta nell’impugnata decisione, oltreché illegittima per tutti i profili già indicati, era altresì irragionevole e lesiva del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e ciò in quanto due veicoli simili quanto a prestazioni ambientali (perché entrambi con emissioni inquinati certificate al di sotto dei valori limite di un Euro 5 o Euro 3), subivano un diverso trattamento fiscale, sol perché uno dei due era stato originariamente omologato in una fase storica nella quale era sufficiente rispettare i parametri previsti per una categoria inferiore (Euro 2), mentre, nell’altro caso, la categoria euro originariamente richiesta per la procedura di omologazione era migliorata.
Il secondo motivo deduce , in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. o, in subordine, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 c od. proc. civ. e dell’ art. 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992, per avere la sentenza impugnata ritenuto che l’installazione dei FAP non determinasse, di per sé, una riduzione delle sostanze inquinanti rilevanti per il miglioramento della categoria Euro, benché la controparte Agenzia delle Dogane non aveva mai contestato
in giudizio la riduzione delle emissioni inquinanti, piuttosto avendolo espressamente confermato. L’Ufficio aveva contestato l’assenza, pure a seguito d’installazione dei FAP di non meglio precisate altre caratteristiche tecniche, individuando espressamente tra queste, ma sempre in maniera alquanto generica, i «sistemi di sicurezza», e mai aveva conte stato l’attitudine dell’installazione dei FAP a ridurre le rilevanti emissioni inquinanti. La motivazione, andando ultra petita , aveva fatto propria un’accezione che non era stata affatto proposta da controparte in violazione delle norme sulla natura dispositiva del processo tributario. La società ricorrente, peraltro, aveva fornito, in primo grado, una perizia di parte che aveva confermato come l’installazione dei FAP permettesse la riduzione delle emissioni inquinanti rilevanti e mai l’Ufficio aveva contestato il predetto accertamento tecnico.
3. Il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, per avere la sentenza impugnata motivato (« Pertanto, ad avviso della Autorità di controllo dei veicoli, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, considera non equivalenti i veicoli euro 2 dotati di filtro antiparticolato ed i veicoli di categoria superiore. Come affermato dall’ Agenzia delle dogane ‘In base alla normativa comunitaria di settore, la riduzione della massa del particolato, in modo da contenerla entro i limiti fissati dalla normativa comunitaria relativa alle categorie ‘euro 3’ e superiori, non è ch e uno degli aspetti che deve essere preso in esame al fine della classificazione complessiva dei veicoli in tali categorie ») solo apparentemente le ragioni per le quali la riduzione delle emissioni inquinanti dei veicoli, a seguito dell’installazione dei F AP, non determinerebbe, di per sé, il miglioramento della categoria Euro, non avendo i giudici di secondo grado indicato la pretesa normativa di settore, né specificato gli altri aspetti che dovevano essere presi in esame al fine della classificazione complessiva dei veicoli in tali categorie.
4. Il quarto motivo deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4, del decreto legislativo n. 546 del 1992, per non avere la sentenza impugnata motivato le ragioni per le quali il legislatore nazionale poteva legittimamente restringere l’applicabilità di un’aliquota accise differenziata per il gasolio ad uso commerciale a solo certe ipotesi, mentre la definizione di gasolio ad uso commerciale accolta dall’art. 7, paragrafi 2 e 3 della Direttiva 2003/96/CE sul tema risultava vincolante per gli Stati membri e direttamente applicabile. La società contribuente, in particolare, aveva censurato la sentenza di primo grado, in ciò ribadendo un motivo di censura dell’atto impugnato formulato con il ricorso introduttivo, sotto il profilo dell’illegittimità della normativa italiana applicata perché in contrasto con la Direttiva 2003/96/CE. La questio iuris alla quale avrebbe dovuto «rispondere» il Giudice di secondo grado era, quindi, quella riguardante la legittimità o meno della scelta del legislatore italiano, che aveva applicato una regime differenziato (e più favorevole) non a tutti i veicoli che utilizzava no il gasolio per uso commerciale (come previsto dall’art. 7 della citata Direttiva e attenendosi alla dettagliata definizione ivi contenuta), ma solo a quelli che appartenevano alla categoria Euro 3 o superiore (quindi con un certo livello di emissioni inquinanti).
5. Il quinto motivo deduce, ai sensi del l’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 7, paragrafi 2 e 3 della Direttiva 2003/96/CE , in relazione all’art. 1, comma 645, della legge n. 208 del 2015 e all’art. 24 ter del decreto legislativo n. 504 del 1995, posto che con la predetta norma il legislatore nazionale, nel delimitare l’ambito di applicazione del regime fiscale differenziato relativo al gasolio commerciale, aveva utilizzato una definizione del predetto concetto diversa da quella indicata nella norma euro-unitaria, cogente, immediatamente efficace e incondizionata. Il legislatore nazionale, con
l’art. 1, comma 645 , della legge n. 208 del 2015 (e il conforme art. 24 ter, comma 2, del decreto legislativo n. 504 del 1995), non si era attenuto alla definizione normativa di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» (per l’applicazione dell’aliquota differenziata) contenuta nel par. 3 dell’art. 7 della Direttiva restringendo, in contrasto con l’opzione prevista dalla legislazione europea sovraordinata, la fattispecie astratta con ulteriori elementi quali l’utilizzo d i veicoli che non fossero « di categoria euro 2 o inferiore ». In subordine, la società ricorrente formula istanza di rimessione alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267, secondo comma, TFUE, avente ad oggetto il quesito : « Se l’art. 7 della Direttiva 2003/96/CE, che prevede la possibilità per gli Stati membri di distinguere il trattamento tributario del gasolio, utilizzato come propellente, ad uso commerciale o a uso non commerciale, debba essere interpretato nel senso che la nozione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» contenuta e definita nell’art. 7 non possa essere modificata dal legislatore nazionale con l’introduzione di altri e diversi requisiti ».
Il primo, il quarto e il quinto motivo, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono infondati.
6.1 In proposito, deve essere richiamato il precedente di questa Corte che ha affermato che la normativa interna di riferimento non è affatto incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria n. 2003/96/CEE e che ha statuito il seguente condivisibile principio di diritto: « Il credito d’imposta previsto dall’art. 1, comma 645, della l. n. 208 del 2015 e, successivamente, dall’art. 24 ter del TUA in favore degli autotrasportatori ivi indicati, riguardante le accise sul gasolio per autotrazione, si applica unicamente con riferimento ai veicoli catalogati nelle categorie Euro specificamente indicate dalla legge, senza che abbia alcun rilievo, ai fini della determinazione della categoria di appartenenza del veicolo, la eventuale installazione sullo stesso di un filtro antiparticolato omologato » Cass., 22 agosto 2023, n. 25002).
6.2 Inoltre, si richiama, per comodità espositiva, la motivazione di questa Corte, anch’essa condivisa, relativa ad un precedente specifico di questa Corte avente ad oggetto la medesima questione e vertente tra le stesse parti « La normativa interna di riferimento non è affatto incompatibile con quella prevista dalla direttiva comunitaria n. 2003/96/CEE. La menzionata direttiva, «che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità», of fre la definizione di «gasolio commerciale utilizzato come propellente» con riguardo alle finalità di utilizzo («si intende per ‘gasolio co mmerciale utilizzato come propellente’ il gasolio utilizzato ai fini seguenti»: art. 7, § 3) e stabilisce un livello minimo di tassazione in un quadro complessivo che riconosce esplicitamente «flessibilità» (considerando 9), ma non esclude la facoltà di prevedere esenzioni o riduzioni (considerando 8), e la facoltà per gli Stati membri di «introdurre o mantenere diversi tipi di tassazione sui prodotti energetici e sull’elettricità» (considerando 10), lasciando a ciascun Stato membro «la scelta del regime fiscale da applicare in relazione all’attuazione del presente quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità» (considerando 11). Secondo la stessa giurisprudenza unionale, la direttiva si propone di incoraggiare obiettivi di politica ambientale (così, Corte giust. 7 marzo 2018, in causa C31/17, RAGIONE_SOCIALE, punto 34 e giurisprudenza ivi citata) e, pertanto, non ha proceduto ad un ‘armonizzazione totale delle aliquote di accisa sui prodotti energetici e sull’elettricità, ma si è limitata a fissare livelli minimi di tassazione armonizzati e, come si desume dagli artt. 5, 14, 15, 16, 17 e 19, ha previsto la possibilità per gli Stati membri di introdurre aliquote di imposta differenziate, esenzioni dall’imposizione o sgravi fiscal i delle accise, lasciando un certo margine di discrezionalità agli Stati membri, purché nel rispetto del principio di parità di trattamento (cfr. Corte di giust. 30 gennaio 2020, in causa C-513/18, RAGIONE_SOCIALE chiamata a pronunciarsi sulla compat ibilità dell’art. 24 -ter del TUA con l’art. 7, par. 2 e 3 della Direttiva 2003/96 atteso che, secondo il giudice del rinvio, detta disposizione, nel riconoscere il beneficio dell’aliquota di accisa ridotta sul gasolio commerciale usato come carburante solo a talune attività e non ad altre, come l’attività di noleggio autobus con conducente nel settore del trasporto privato di persone, limiterebbe la portata dell’articolo 7, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2003/96, che fa riferimento al «trasporto regolare o occasionale di passeggeri»); in particolare, nella richiamata sentenza del 30.1.2020, causa C-513/18, la Corte di Giustizia ha, dunque, dichiarato che ‘l’articolo 7, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario
per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, deve essere interpretato nel senso che, da un lato, rientra nel suo ambito di applicazione un’impresa privata che esercita l’attività di trasporto di passeggeri mediante servizi di noleggio auto bus con conducente, a condizione che i veicoli noleggiati da tale impresa siano di categoria M2 o M3, quali definite dalla direttiva 70/156/CEE del Consiglio, del 6 febbraio 1970, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’omologazione dei veicoli a motore e dei loro rimorchi, e, dall’altro lato, che esso non osta a una normativa nazionale che prevede un’aliquota di accisa ridotta per il gasolio commerciale utilizzato come propellente per il trasporto regolare di passeggeri, senza tuttavia prevedere siffatta aliquota per quello utilizzato per il trasporto occasionale di passeggeri, a condizione che tale normativa rispetti il principio della parità di trattamento, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare’ ( v. sul tema, Cass., sez.5, n. 19867 del 2023); alla luce di quanto sopra si deve, pertanto, ritenere che l’art. 7, par. 2 e 3 della Direttiva n. 2003/96/CE non osti ad una normativa nazionale quale è l’art. 1, comma 645 della legge n. 138 del 2015 che ugualmente all’art. 24 -ter del TUA escluda l’applicazione dell’aliquota agevolata dell’accisa sul gasolio utilizzato per autotrazione con riguardo ai veicoli di categoria euro 2 o inferiore, senza ch e dal par. 3 dell’art. 7 della detta direttiva possa evincersi – diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente – una nozione comunitaria direttamente vincolante per lo Stato italiano di ‘gasolio commerciale utilizzato come propellente’ utilizzato .. b) per il trasporto regolare o occasionale di passeggeri effettuato con autoveicoli delle categorie M2 e M3, quali definite dalla direttiva 70/156/CEE del Consiglio del 6 febbraio 1970′; posto infatti il rispetto della condizione che i veicoli utilizzati per il trasporto di passeggeri siano di categoria M2 o M3 (in base a determinate caratteriste tecniche quali il numero delle ruote, dimensioni, potenza del motore, numero dei posti e carrozzeria) il legislatore italiano, nell’esercizio di un certo margine di discrezionalità in materia di accise , ha limitato, senza con ciò porsi in contrasto con la detta direttiva, l’applicazione dell’aliquota di accisa ridotta escludendovi i veicoli omologati di categoria Euro 2 o inferiori; ne deriva quindi la piena compatibilità unionale (e, quindi, la superfluità della questione pregiudiziale proposta dalla ricorrente in via subordinata) di una previsione che riconosca un credito agevolato per il pagamento delle accise sul gasolio per autotrazione a specifiche categorie di autotrasportatori, oggettivamente individuate tra gli autotrasportatori che svolgono attività di trasporto di merci o persone, in modo tale da non ledere il principio di parità di trattamento; in particolare, il credito d’imposta è riconosciuto limitatamente all’utilizzazione, per l’attività di trasporto, di veicoli con classificazione superiore a Euro 2; sotto altro profilo, il d.m. n. 39 del 2008
prevede espressamente che la categoria superiore eventualmente attribuita ai veicoli dotati di un dispositivo FAP omologato è valida unicamente ai fini dell’inquinamento da particolato e non già agli ulteriori fini previsti dalle disposizioni fiscali agevolative, sicché deve escludersi che un autotrasportatore possa usufruire del menzionato credito d’imposta con riferimento a veicoli classificati Euro 2, sebbene questi ultimi siano dotati di FAP, dovendo farsi riferimento agli specifici requisiti previsti dalle direttive comunitarie; invero, l’omologazione, come definita dall’art. 3 della direttiva n. 2006/46/CE è «la procedura con cui uno Stato membro certifica che un tipo di veicolo, sistema, componente o entità tecnica è conforme alle disposizioni amminis trative e alle prescrizioni tecniche pertinenti (…)»; e la classificazione relativa alle emissioni inquinanti dei veicoli a motore rientra nella procedura di omologazione, tanto è vero che gli Stati membri «non possono rifiutare l’omologazione CEE né l’omologazione di portata nazionale di un veicolo» se tale veicolo risponde alle prescrizioni in materia (si vedano l’art. 2 della direttiva n. 70/220/CEE del 20 marzo 1970 e l’art. 2 della direttiva n. 88/77/CEE del 3 dicembre 1987). Le direttive che si sono succedute nel tempo, quanto alla classificazione a fini ambientali, mantengono questo collegamento con l’omologazione del veicolo e intervengono sulle prescrizioni e i requisiti richiesti al fine di adeguare la normativa al progresso scientifico e tecnologico: da un lato, sono mutate nel tempo metodologie e criteri di controllo, in considerazione delle innovazioni intervenute nel settore automobilistico e nelle tecnologie antinquinamento; dall’altro, le misurazioni da effettuare riguardano una ampia gamma di emissioni inquinanti. 3.5.2. Per esempio, la direttiva n. 1999/96/CE, indicata dal d.m. n. 39/2008 quale riferimento per la fascia ‘euro 3’, immediatamente superiore a quella di appartenenza dei veicoli in questione («appartengono a tale fascia i motori omologati ai sensi delle direttive da 1999/96/CE a 2001/27/CE, riga A», v. art. 2), oltre ad aver previsto «nuovi cicli di prova per l’omologazione», ha stabilito che «Le emissioni da misurare prodotte dallo scarico del motore includono i componenti gassosi (monossido di carbonio, idrocarburi totali per i motori diesel nella sola prova ESC; idrocarburi diversi dal metano per i motori diesel e a gas nella sola prova ETC; metano per i motori a gas nella sola prova ETC e ossidi di azoto), il particolato (solo motori diesel) e il fumo (motori diesel nella sola prova ELR)» (allegato III, punto 1.3); le categorie ‘euro’ implicano, quindi, verifiche e accertamenti che non si esauriscono nella misurazione dei livelli di emissione di particolato e sono strettamente legate allo stato tecnologico e scientifico del momento della loro introduzione; l’indicazione «veicoli di categoria euro 2 o inferiore», di cui all’art. 1, comma 645, della l. n. 208 cit., deve riferirsi, quindi, alla categoria attribuita a quel tipo di veicolo in sede di omologazione, rappresentativa
della complessiva condizione del mezzo sotto il profilo ambientale, non rilevando, ai fini della sua determinazione, l’installazione di sistemi di riduzione delle emissioni di particolato successivamente all’immatricolazione; rafforza questa conclusione, inoltre, il fatto che il predetto art. 1, comma 645, è finalizzato al conseguimento di risparmi da destinare agli interventi di cui ai commi 640, 647, 648, 650, 651, 654, 655 e 866, tra i quali vi è quello di favorire l’acquisto di mezzi di ultima generazio ne e il rinnovo del parco mezzi destinati al trasporto pubblico locale e regionale (comma 866). Emerge, dunque, la finalità di incentivare il rinnovo del parco automobilistico che verrebbe pregiudicata se si estendesse la sua applicazione anche a mezzi obsoleti ma modificati » (Cass., 23 ottobre 2023, n. 29354, in motivazione).
6.3 Ciò che rende non accoglibile la richiesta di rinvio pregiudiziale alla
Corte di Giustizia, che presuppone il dubbio interpretativo su una norma comunitaria e che non ricorre allorché l’interpretazione, come nel caso di specie, sia autoevidente, oppure il senso della norma sia già stato chiarito da precedenti pronunce della Corte, non rilevando, peraltro, il profilo applicativo di fatto, che è rimesso al giudice nazionale a meno che non involga un’interpretazione generale ed astratta (cfr. Cass., 1 settembre 2023, n. 25612; Cass., 16 giugno 2017, n. 15041).
6.4 Nella sentenza impugnata, la Commissione tributaria regionale ha fatto buon governo dei principi suddetti avendo ritenuto legittimo il diniego dell’istanza di rimborso delle accise sul gasolio commerciale per autotrasporto trattandosi di veicoli immatricolati Euro 2, dotati di filtri antiparticolato (FAP), in quanto tali esclusi dall’agevolazione ai sensi dell’art. 1, comma 645, della l egge n. 208 del 2015; i giudici di appello, in particolare, confermando la statuizione dei giudici di primo grado, hanno correttamente ritenuto che l’art. 7, par agrafi 2 e 3 della Direttiva 2003/96/CE, non obbligava lo Stato italiano ad estendere il regime agevolativo indiscriminatamente a tutti i veicoli, ivi compresi quelli che, senza un supporto quale il FAP, avrebbero dovuto essere interdetti dalla circolazione proprio in virtù dei principi unionali fissati in materia di antinquinamento.
Il secondo e il terzo motivo devono ritenersi assorbiti in ragione della ritenuta infondatezza dei restanti motivi.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2024.