Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17642 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 17642 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6426/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona dell’avv. NOME COGNOME in qualità di procuratore, rappresentata e difesa dall’avv. prof. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO e digitalmente presso il seguente indirizzo di p.e.c. EMAIL
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende -controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di FOGGIA n. 184/2023 depositata il 19/01/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La questione, per quel che qui rileva, trae origine dalla richiesta, azionata in via monitoria dalla società RAGIONE_SOCIALE, di rimborso da parte della società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, breviter , S.E.N.) della addizionale provinciale pagata dalla istante sulla fornitura di energia elettrica.
A fondamento della sua pretesa, la società RAGIONE_SOCIALE deduceva che la legge interna istitutiva dell’addizionale alle accise (art. 6 d.l. n. 511/1988) – poi abolita su tutto il territorio nazionale nel 2012 – era in contrasto con la Direttiva n. 2008/118/CE, imponendo una tassa (l’addizionale) che non rispondeva ad una specifica finalità opportunamente individuata dal legislatore nazionale.
1.1. Con sentenza n. 703/2021, il Giudice di pace di Foggia, adito dalla RAGIONE_SOCIALE, rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 623/2020, con il quale le veniva ingiunto il pagamento di Euro 1.018,42, oltre accessori, in favore di RAGIONE_SOCIALE, a titolo di ripetizione degli importi versati da quest’ultima per l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza n. 184/2023, rigettava l’appello interposto dal fornitore di energia e, per l’effetto, confermava la decisione di primo grado e il decreto ingiuntivo opposto; di talché, condannava l’appellante alla rifusione delle spese di lite sostenute dall’appellata.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società RAGIONE_SOCIALE affidato a due motivi, illustrati da memoria.
3.1. Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
3.2 . All’esito di una prima adunanza camerale, con ordinanza interlocutoria n. 32091 del 12/12/2024 il ricorso è stato avviato alla discussione in pubblica udienza, per il rilievo nomofilattico della questione concernente la natura e la contrarietà al diritto europeo dell’addizionale alle accise e la non applicazione nei rapporti orizzontali delle norme di diritto interno che si pongano in eventuale contrasto col diritto unionale.
3.3. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione e falsa applicazione dell’art. 6, c. 1, D.L. n. 511/1988 e della Direttiva n. 2008/118/CE».
La censura investe la qualificazione giuridica dell’addizionale provinciale alle accise, ponendo il quesito se essa debba ritenersi configurabile quale tributo autonomo, e perciò dotato di una propria causa giustificativa, ovvero se costituisca un mero incremento quantitativo dell’accisa, insuscettibile di autonoma finalizzazione impositiva.
Secondo la tesi prospettata dalla parte ricorrente, l’addizionale in esame non assume rilievo quale figura tributaria distinta e autonoma, ma si atteggia, per definizione, quale componente accessoria della medesima accisa, cui si cumula esclusivamente sul piano quantitativo, senza che possa rinvenirsi una specifica funzione allocativa o redistributiva che ne legittimi l’introduzione ex se.
In tal senso deporrebbe la circostanza per cui l’addizionale sarebbe basata sul medesimo presupposto dell’accisa (i.e., la fornitura di energia ed il relativo consumo), nonché sui medesimi soggetti passivi, sulla medesima base imponibile (i.e., la quantità di energia
consumata), sulla medesima struttura di aliquota (applicata sul singolo Kw/h immesso in consumo), sulle medesime modalità applicative di dichiarazione, liquidazione, accertamento, sanzioni e riscossione (ad eccezione della destinazione del gettito, attribuito alle Province in cui è stato effettuato il consumo).
Ne consegue, secondo la prospettazione della ricorrente, che, non potendosi qualificare l’addizionale all’accisa come tributo autonomo, risulta irrilevante accertare se essa persegua una finalità specifica, atteso che tale requisito è richiesto, ai sensi della Direttiva n. 2008/118/CE, esclusivamente per le imposizioni fiscali che si connotano per autonomia strutturale e funzionale rispetto all’accisa cui si aggiungono.
4.2. Con il secondo motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., «violazione degli art. 288 TFUE e 101 della Costituzione. Assoluta inconferenza (e non deducibilità) nel presente giudizio – alla luce del fermo principio della inefficacia c.d. orizzontale delle Direttive UE – della presunta incompatibilità tra la normativa tributaria nazionale e la Direttiva n. 2008/118/CE e tra la prima e l’interpretazione accordata alla medesima dalla CGUE».
Il ricorso pone, in parte qua, la connessa e ulteriore questione se comunque, ove anche costituisca un autonomo tributo, il Giudice nazionale possa ritenerlo indebito, disapplicando le norme interne che lo prevedono, per contrasto con la Direttiva europea.
Parte ricorrente rileva, anzitutto, che il rapporto sostanziale controverso inerisce due privati (i.e., la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE); assume, così, che ove anche si riconosca che l’addizionale all’accisa configuri una imposta autonoma, con il conseguente contrasto della normativa che la disciplinava con il diritto UE, per mancata individuazione, da parte del legislatore nazionale, di una specifica finalità perseguita con tale imposta, la normativa interna comunque non potrebbe venire non applicata dal Giudice nazionale, nella misura in cui, per questa via, si
postulerebbe una efficacia diretta della Direttiva nei rapporti tra privati, ciò che, invece, è a dirsi solo per i rapporti verticali, tra il privato e lo Stato o il potere pubblico.
Si richiama, inoltre, la sentenza della CGUE del 18 gennaio 2022, C-261/20, per sostenere che, nel caso di specie, non sarebbe invocabile né il principio dell’interpretazione conforme né quello dell’effetto utile, atteso che l’obbligo del giudice nazionale di interpretare il diritto interno alla luce della direttiva non può spingersi fino a determinare un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.
5.1. I motivi, congiuntamente esaminati, data la loro connessione, non meritano accoglimento.
5.2. In via preliminare, va evidenziato, in una prospettiva storicosistematica, che l’addizionale alle accise sull’energia elettrica è stata introdotta dal d.l. n. 511 del 1988 ed è rimasta in vigore fino alla sua abrogazione sull’intero territorio nazionale, avvenuta nel 2012.
La normativa istitutiva stabiliva che l’obbligo di versamento dell’addizionale gravasse sul fornitore di energia elettrica, il quale poteva tuttavia traslare il relativo onere sull’utente finale, mediante specifica indicazione in bolletta.
L’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, nella formulazione oggetto di censura, è stata introdotta dall’art. 5 del d.lgs. n. 26/2007, che ha sostituito l’art. 6 d.l. n. 511/1988, come convertito, in recepimento della Direttiva n. 2003/96/CE del Consiglio, del 27 ottobre 2003, che ristruttura il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità, sottoponendo anche l’energia elettrica ad accisa armonizzata secondo le previsioni della Direttiva n. 92/12/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione e ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa.
Nel dettaglio, l’art. 3, par. 2, Direttiva n. 92/12/CEE stabiliva che i prodotti di cui al par. 1 ivi compresa l’energia elettrica – potessero formare oggetto di altre imposizioni indirette, aventi finalità specifiche, nella misura in cui esse rispettassero le regole di imposizione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione delle base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta.
A tale disposizione si è poi sovrapposta la formulazione dell’art. 1, par. 2, Direttiva n. 2008/118/CE (dal tenore sostanzialmente identico, come rilevato da CGUE, 9 novembre 2021, C-255/20, Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta), ai sensi del quale i singoli Stati membri dell’Unione Europea possono introdurre sulla fornitura di energia elettrica nuove tasse, purché queste rispondano a specifiche finalità.
Tale direttiva ha dunque fatto sorgere la fondamentale questione se l’addizionale provinciale, che in quel momento era ancora in vigore, fosse giustificata da quel principio di diritto comunitario, ossia avesse o meno una specifica finalità.
La Direttiva del 2008 è stata recepita dallo Stato italiano con D.Lgs. 29 marzo 2010, n. 48, che ha modificato numerose disposizioni del T.U.A. (D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504) a far data dal 1.4.2010. Successivamente, con decorrenza 1.1.2012, l’art. 2, comma 6, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 ha abrogato l’addizionale provinciale per le regioni a statuto ordinario e, a far data dal 1.4.2012, l’art. 6 del d.l. n. 511/1988 è stato definitivamente abrogato dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44. Premessa tale ricostruzione di carattere generale, può passarsi ad esaminare la fattispecie oggetto della presente controversia.
5.3. Due sono le questioni poste nel ricorso; segnatamente: a) l’incompatibilità dell’addizionale provinciale all’accisa con la Direttiva n. 2008/118/CE; b) l’applicabilità orizzontale di quest’ultima nelle cause di ripetizione tra privati.
5.3.1. In premessa, osserva il Collegio che, ai fini della composizione delle questioni di massima rimesse all’esame di questa Corte, assume un rilievo assolutamente dirimente la recente declaratoria di incostituzionalità della stessa norma istitutiva della addizionale di cui qui si chiede la ripetizione.
Mette conto di osservare, infatti, che la Corte costituzionale, con la Sentenza n. 43/2025, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lettera c), e 2, del d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito, per violazione degli artt. 11 e 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1, par. 2, della Direttiva n. 2008/118/CE, definitivamente dichiarando, ora per allora, la contrarietà dell’addizionale provinciale all’accisa sul consumo di energia elettrica al diritto europeo, e – segnatamente – alla Direttiva n. 2008/118/CE.
Da ciò discende ipso iure la legittimità della domanda di rimborso, così come azionata dai consumatori finali che abbiano corrisposto al fornitore di energia, a titolo di rivalsa, tale tributo, come ora si verrà ad illustrare nel dettaglio.
Ed invero, i Giudici delle leggi, premessa la non configurabilità di un’efficacia orizzontale delle direttive eurounitarie non autoesecutive, hanno escluso che l’addizionale provinciale in questione rispettasse il requisito di legittimità della ‘finalità specifica’ espressamente richiesto dall’art. 1, par. 2, Direttiva n. 2008/118/CE; conclusione questa che – osserva la Consulta – trova pieno conforto nella giurisprudenza di legittimità, e in particolare in Cass. n. 27101/2019, confermata di recente da Cass. n. 24373/2024 (v. ‘Considerato in diritto’, par. 11).
5.3.2. Varrà considerare, infatti, come anche questa Corte, da ultimo con la Ordinanza n. 9450 del 10/04/2025, aveva ritenuto ‘incontestabile’ l’autonomia dell’addizionale rispetto all’accisa, motivata proprio attraverso il riferimento al fatto che, per vero, è la stessa Direttiva n. 2008/118/CE a chiarire che le addizionali sono
imposte diverse rispetto alla accisa, non potendo ritenersi che le prime siano dunque una mera componente della seconda.
Del resto, questa Corte ha già avuto modo di precisare, a partire dalla Sentenza n. 27101 del 23/10/2019, che l’autonomia strutturale delle addizionali provinciali rispetto all’accisa emerge chiaramente dal tenore delle disposizioni contenute nella Direttiva n. 2008/118/CE, le quali pure ammettono l’introduzione di imposizioni fiscali aggiuntive, sempreché rispettose di condizioni previamente determinate (in tal senso, v. anche Sez. 5, Sentenza n. 15198 del 04/06/2019).
In particolare – come specificato da Cass. civ., Sez. 5, Sentenza 28/07/2020 n. 16142 – ai fini della legittimità delle addizionali provinciali alle accise sull’energia elettrica (in conformità con l’art. 1, parr. 1 e 2, Direttiva n. 2008/118/CE, che sostanzialmente riproduce le previgenti disposizioni di cui all’art. 3, par. 2, Direttiva n. 1992/12/CEE: cfr. CGUE, 9 novembre 2021, causa C-255/20, Agenzia delle dogane e dei monopoli – Ufficio delle dogane di Gaeta, punto 27; CGUE, 5 marzo 2015, causa C-553/13, Oliver Medical SIA, punto 34), deve ritenersi soddisfatto il cumulativo riscontro di due requisiti, quali: 1. il rispetto delle regole di imposizione dell’Unione applicabili ai fini delle accise o dell’IVA per la determinazione della base imponibile, il calcolo, l’esigibilità e il controllo dell’imposta; 2. la sussistenza di una finalità specifica.
In tale ultima occasione, questa Corte aveva osservato che: a) sotto il primo profilo, l’art. 6, comma 3, ult. per., d.l. n. 511/1988 chiarisce che «e addizionali sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica», sicché – notava questa Corte – la condizione sub 1. è sicuramente rispettata; b) non risultava, invece, rispettata la seconda condizione, in quanto né la disposizione di cui all’art. 6, né il decreto 11 giugno 2007 del capo dipartimento per le politiche fiscali del M.E.F., previsto dal comma 2 del medesimo articolo, chiarivano in alcun modo le
specifiche finalità al cui soddisfacimento le addizionali sarebbero state teleologicamente implementate, non essendo in armonia con il diritto unionale la mera destinazione di tali addizionali a semplici finalità di bilancio (cfr., ex multis, Sez. 5, Sentenza n. 15198 del 04/06/2019; CGUE, 7 febbraio 2022, causa C-460/21, RAGIONE_SOCIALE, punti 19 ss.; CGUE, 9 novembre 2021, causa C255/20, Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, punti 27 e ss. CGUE, 25 luglio 2018, C-103/17, RAGIONE_SOCIALE, punti 34 ss.).
Ne discende che, una volta affermata la autonomia strutturale della addizionale all’accisa per il consumo di energia elettrica rispetto all’accisa stessa, è già stata la stessa giurisprudenza di legittimità ad aver a più riprese precisato, nella vigenza dell’ormai espunto art. 6 d.l. n. 511/1988, tramite un consolidato orientamento, che le addizionali provinciali avrebbero dovuto comunque rispondere ad una o più finalità specifiche, in conformità al disposto dell’art. 1, parr. 1 e 2, Direttiva n. 2008/118/CE, come interpretata dalla CGUE, dovendosi evitare che le imposizioni indirette, aggiuntive rispetto alle accise armonizzate, ostacolassero indebitamente gli scambi (Sez. 5, Sentenza n. 15198 del 04/06/2019).
Per altro verso, nel caso che ci occupa, lo stesso giudice d’appello ha espressamente evocato e si è, perciò, allineato ai precedenti della giurisprudenza della Sezione Tributaria di questa Corte del 2019, dinanzi richiamati, e ripresi anche dalla Consulta (cfr. pagg. 4-5 della sentenza impugnata).
Ciò in quanto tale giurisprudenza già costituiva, da tempo, jus receptum.
Ne è autorevole prova, inter alia, oltre ai numerosi arresti ut supra evocati, il Decreto n. 12502 del 10/05/2023, con cui la Prima Presidente di questa Corte, esaminando l’ordinanza di rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. resa dal Tribunale di Verona sulle questioni di odierno interesse, ha osservato che, nella giurisprudenza della Corte di cassazione, non manca l’enunciazione
di principi idonei ad orientare la risoluzione della questione interpretativa posta dal rimettente, con la conseguente inammissibilità del rinvio pregiudiziale, per difetto del requisito della novità della questione, richiesto dallo stesso art. 363-bis c.p.c. (quando, per ritenersi superata tale condizione di ammissibilità, sarebbe bastata anche una latente divergenza tra le decisioni delle diverse sezioni della Suprema Corte, dovendosi valorizzare il riferimento testuale della predetta norma codicistica rispetto a quello della legge delega, che, nei suoi principi e criteri direttivi, richiedeva che la questione non fosse stata ancora ‘affrontata’ dalla Corte di legittimità, come è stato recentemente puntualizzato da Sez. U, Sentenza n. 12449 del 07/05/2024).
5.3.3. Nondimeno, è appena il caso di osservare che la tentata ricostruzione diacronica delle richiamate pronunzie di legittimità e dei principi in esse enunciati non può che risolversi, allo stato, in un mero esercizio diegetico, volta che la stessa norma che istituiva l’addizionale de qua è stata ormai, e in via definitiva, espunta dal nostro ordinamento, mercé la già menzionata pronunzia di accoglimento della Corte costituzionale.
Di talché, l’addizionale stessa va qualificata ipso facto indebita e indebita è la sua percezione, a prescindere da ogni pregressa discussione sulla natura del tributo.
Tanto premesso, dunque, risulta destituita di alcun fondamento normativo, oltre che teorico, e quindi ormai del tutto inutile, la sollecitazione dell’odierno ricorrente, il quale, postulata la non autonomia dell’addizionale all’accisa, ricondotta a mera porzione del quantum del tributo principale (l’accisa medesima), fa questione della inutilità dell’interrogativo se tale imposta debba o meno rispondere ad una specifica finalità, asserendo che la questione si porrebbe esclusivamente per le imposte autonome.
5.4. L’avvenuta espunzione, con effetti ex tunc (salvo per i rapporti esauriti), della normativa di riferimento in tema di addizionale
all’accisa sull’energia elettrica, mercé l’intervento caudatario del Giudice delle leggi, assorbe ogni ulteriore questione sottesa ai motivi di ricorso; questione che, parimenti, trova ormai perentoria composizione alla luce del menzionato arresto, là dove la Consulta (al par. 8.2.) ha rinvenuto nell’accoglimento della questione di legittimità costituzionale l’unica soluzione in concreto predicabile, trattandosi di un rapporto tra privati (i.e. orizzontale, tra il fornitore di energia elettrica e il consumatore).
Né rileva alcuna ulteriore questione – neppure sotto il profilo della nuova rimessione alla Corte di Lussemburgo per ulteriori dubbi sulla conformità o meno al diritto eurounitario della normativa che aveva istituito il tributo, atteso che la caducazione ex tunc di quella stessa normativa, provocata dalla pronuncia della Corte costituzionale, ha determinato il venir meno dell’oggetto stesso di quei dubbi.
5.5. Per le esposte ragioni, il motivo non conduce alla anelata cassazione della gravata sentenza, della quale, tuttavia, occorre emendare la motivazione, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c.
La conferma della pronuncia di prime cure, in punto di condanna del fornitore di energia elettrica alla ripetizione degli importi versati dal consumatore finale, a titolo di rivalsa, per l’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, è stata così giustificata dal Tribunale: «E, d’altronde, pur assumendo l’esistenza di una clausola contrattuale che di fatto avesse previsto il ribaltamento al cliente finale delle imposte relative al rapporto contrattuale di cui è causa, alla luce della non debenza all’ente impositore dell’importo relativo alle addizionali (per violazione della disciplina comunitaria), tale clausola risulterebbe pacificamente nulla, perché priva di causa. Dalla nullità di tale clausola, quindi, deriverebbe comunque il pieno diritto dell’appellato di ripetere ex art. 2033 c.c. quanto versato per rimborsare il pagamento di una imposta non dovuta. E,
del resto, per consolidato orientamento della Corte di Cassazione, il cliente finale ha la sola possibilità di convenire in giudizio il fornitore energetico al fine di ottenere la ripetizione di quanto indebitamente versato per addizionali anticomunitarie, non potendo – se non in casi eccezionali adire direttamente l’erario, nei cui confronti ha normalmente azione diretta il solo fornitore energetico: ‘Le imposte addizionali sul consumo di energia elettrica di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. n. 511 del 1988, conv. dalla l. n. 20 del 1989 (applicabile “ratione temporis”), alla medesima stregua delle accise, sono dovute, al momento della fornitura dell’energia elettrica al consumatore finale, dal fornitore, il quale, pertanto, in caso di pagamento indebito, è l’unico soggetto legittimato a presentare istanza di rimborso all’Amministrazione finanziaria, mentre il consumatore finale, al quale il fornitore abbia addebitato le suddette imposte, può esercitare nei confronti di quest’ultimo l’ordinaria azione di ripetizione dell’indebito e, soltanto nel caso in cui dimostri l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di tale azione – da riferire alla situazione in cui si trova il fornitore e non al fatto che il pagamento indebito dell’imposta derivi dalla contrarietà alla direttiva n. 2008/118/CE della norma interna in tema di accise -, può in via di eccezione chiedere direttamente il rimborso all’Amministrazione finanziaria, nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela’. (Sez. 5, Ordinanza n. 29980 del 19/11/2019, Rv. 655922 – 01)».
Si tratta di motivazione errata: va qui ancora una volta rilevato che la questione va risolta in base alla dirimente considerazione della sopravvenuta caducazione, con effetti sostanzialmente ex tunc , della norma che aveva legittimato la percezione dell’addizionale all’accisa da parte del fornitore di energia elettrica nei confronti dell’utente finale, a titolo di rivalsa (art. 6, commi 1, lett. c), e 2, d.l. n. 511/1988), ad opera della Sentenza n. 43/2025 della Corte costituzionale.
Così corretta la motivazione in parte qua della sentenza impugnata, la doglianza va disattesa.
5.6. Non rileva in questa sede, per essere la controversia circoscritta ai rapporti tra solvens e accipiens di una prestazione divenuta indebita in forza della sopravvenuta caducazione della norma che la legittimava, alcuna ulteriore questione sull’esclusività o meno della legittimazione passiva dell’azione di ripetizione, né, quindi, sull’individuazione delle ricadute ermeneutiche della recente sentenza della Corte di giustizia, resa in data 11 aprile 2024, in causa C-316/22.
5.7. Ai sensi dell’art. 384, comma 1, c.p.c., essendo stato il ricorso esaminato e deciso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la Corte enuncia il principio di diritto che segue:
«In tema di rimborso dell’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, il consumatore finale, che ha corrisposto al fornitore di energia, a titolo di rivalsa, tale imposta, poi dichiarata in contrasto con il diritto eurounitario, può agire nei confronti del detto fornitore mediante l’azione di ripetizione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., in considerazione del carattere indebito di tale imposta, stante la illegittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lett. c), e 2, d.l. n. 511 del 1988, come convertito e sostituito».
Pertanto, la Corte rigetta il ricorso.
Le spese del presente giudizio possono essere compensate, per essere state definite le questioni trattate, in via dirimente, solo in forza di pronuncia di illegittimità costituzionale sopravvenuta in corso di causa.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza