Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 828 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 828 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
Sul ricorso n. 15132-2015, proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , cf. 97210890584, in persona del Direttore p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende –
Ricorrente
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione , cf. 02104880188, in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZOINDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale, unitamente all’avv. NOME COGNOME è presentato e difeso –
Controricorrente
Avverso la sentenza n. 6492/35/2014 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, depositata il 9.12.2014; adunanza camerale del 21 giugno udita la relazione della causa svolta nell’ 2023 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che
A seguito di un controllo contabile sulle dichiarazioni di consumo di energia elettrica, presentante dalla RAGIONE_SOCIALE per le annualità
Accise – Energia elettrica –
Autoproduzione –
Cessione ai soci –
Esenzione
–
Esclusione
2009/2012 (febbraio 2012), l’Agenzia delle dogane rilevò l’omesso pagamento delle accise, per l’importo complessivo di € 112.714,19, comprensivo di imposta, interessi e indennità di mora. Nello specifico contestò l’omesso versamento delle accise da marzo 2 011 a febbraio 2012, perché la società aveva utilizzato un credito, relativo al 2008, non più spettante, ex art. 14, comma 2, del d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (TUA). Secondo la norma richiamata dall’ufficio i crediti dovevano essere richiesti entro i due anni dalla data di pagamento, e poiché il credito maturato nel 2008 poteva essere indicato solo nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta corrispondente ( presentata a marzo 2009), da esso la società era decaduta per quanto utilizzato dal marzo 2011 in poi.
La società, che contestava tale interpretazione, adì la Commissione tributaria provinciale di Milano, che con sentenza n. 279/21/2013 accolse il ricorso. L’appello dell’amministrazione finanziaria fu respinto dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 6492/35/2014.
Il giudice regionale non ha condiviso la ricostruzione interpretativa della disciplina resa dall’ufficio, ritenendo applicabile l’art. 56 del d.lgs. n. 504 del 1995. Ha inoltre affermato che, quand’anche applicabile l’art. 14, comma 2, cit., disciplinante la materia dei rimborsi, in ogni caso il termine decadenziale biennale sarebbe slittato in ragione della presentazione, da parte del contribuente, della dichiarazione annuale.
L’Agenzia delle dogane ha censurato con un unico motivo la pronuncia, chiedendone la cassazione, cui ha resistito la società con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria depositata ritualmente.
All’esito dell’adunanza camerale del 2 1 giugno 2023 la causa è stata decisa.
Considerato che:
Con l’unico motivo l’ Agenzia delle dogane si duole della violazione dell’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1995, dell’art. 56 della medesima disciplina, nonché degli artt. 19 e 21 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. pro c. civ. Sostiene che il comma 2 dell’art. 14 del TUA stabilisce una regola generale, secondo cui il rimborso dell’accisa indebitamente pagata deve essere richiesto nel termine di due anni dalla data di pagamento, a pena di decadenza. Rileva che lo
stesso art. 56 cit., richiama l’art. 14. Invoca specifici precedenti della giurisprudenza di legittimità (Cass., 16 novembre 2011, n. 24056), pur non ignorando un orientamento di segno opposto, formatosi presso questa Corte (a partire da Cass., 17 aprile 2013, n. 9283), che tuttavia considera meno aderente alla disciplina positiva.
Il motivo è infondato.
A parte la considerazione che la regola che l’Agenzia delle dogane pretende di applicare afferisce ai rimborsi, laddove nel caso di specie si tratta di credito derivante dalla maggiore accisa versata sul consumo di energia elettrica, rispetto a quanto dovuto, che il contribuente porta in detrazione nelle annualità successive, a compensazione dunque dei debiti maturati nelle annualità successive, ma mai sufficienti a annullare integralmente il credito, questa Corte ha rilevato come, in tema di accise sul consumo di gas naturale, disciplinato dall’art. 26 del TUA , ogni rapporto relativo all’imposta di consumo si conclude con la dichiarazione annuale e che con la dichiarazione annuale si realizza il fatto costitutivo rappresentato dal pagamento di indebito, che da diritto ad azionare la richiesta di rimborso. È altrettanto vero, tuttavia, che le particolari modalità di pagamento dell’accisa, incentrata sul meccanismo degli acconti calcolati sui consumi del corrispondente periodo precedente (cfr. art. 26, comma 8, d.lgs. n. 504 del 1995, ora comma 13), fa sì che alla chiusura annuale di ciascun periodo si determini un nuovo saldo creditorio o debitorio, che va a costituire un nuovo credito o debito rispetto a quelli precedentemente maturati, così che, nella prima ipotesi, il termine biennale per il rimborso decorre, correttamente, dalla nuova dichiarazione annuale (così Cass., n. 9283 del 2013, cit.).
Il principio, enunciato quanto alle accise su gas naturale, è stato successivamente mutuato per le accise sul consumo di energia elettrica, per la perfetta sovrapponibilità delle modalità di pagamento del tributo, così come contemplato nell’art. 56, comma 1, del TUA. A tal fine si è infatti affermato che in tema di accise sull’energia elettrica, il saldo creditorio che matura al momento della presentazione della dichiarazione annuale costituendo una modalità di pagamento dell’imposta, in quanto detratto ex lege dai successivi versamenti di acconto – non è reclamabile prima della chiusura del rapporto tributario, con conseguente decorrenza del termine biennale di decadenza ex art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1995 (TUA)
per il rimborso dell’eventuale credito di imposta dal momento della presentazione dell’ultima dichiarazione (Cass., 18 giugno 2019, n. 16261; 24 ottobre 2019, n. 27290; 22 settembre 2020, n. 19770).
In tal modo il termine biennale relativo ai rimborsi -che innanzitutto afferisce ai versamenti non dovuti, laddove il sistema di pagamento dell’accisa, secondo rate di acconto mensili calcolate sulla base dei consumi dell’anno pregresso, costituisce la modalità prescritta dal legislatore, e dunque dovuta, di pagamentonon impedisce l’utilizzo del credito insorto per la prima volta in epoca ben anteriore al biennio. Ciò mediante il meccanismo delle detrazioni del credito dai successivi versamenti in acconto per l ‘ annualità successiva, detrazione che potrebbe non esaurire il credito, impegnando quella ancora successiva, qualora il credito erariale accumulato in capo al contribuente fosse ancora superiore.
Solo con la presentazione dell’ultima dichiarazione del contribuente, a cessazione dell’attività, non potendo più procedersi con il meccanismo delle compensazioni, ed emergendo, come unica forma di ripetizione delle maggiori imposte versate, quella del rimborso, riemergerà la necessità di richiedere la ripetizione del credito erariale entro l’inderogabile termine biennale previsto dall’art. 14, comma 2, del d.lgs. n. 504 del 1995, quale regola generale per il rimborso delle maggiori accise versate.
Le conclusioni, ormai ampiamente condivise nella giurisprudenza di legittimità, rappresentano una esegesi della disciplina ormai consolidata, dalla quale non vi è ragione per discostarsi.
Con la sentenza impugnata il giudice regionale ha deciso nel rispetto dei principi di diritto enunciati, così che il ricorso va rigettato.
In considerazione delle incertezze interpretative ancora avvertite all’epoca in cui è insorta la presente controversia, sussistono le ragioni per la compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 21 giugno 2023