Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24469 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24469 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
SENTENZA
, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in sul ricorso iscritto al n. 23681/2022 R.G. proposto da Agenzia delle dogane e dei monopoli Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
– intimata –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 1662/03/2022, depositata il 28.02.2022.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 10 giugno 2025;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo di ricorso;
Oggetto: Accisa –
Sentito, per la ricorrente, l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Trapani accoglieva il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il diniego parziale di rimborso n. 7839 del 2016, emesso dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli (ADM), riguardante l’accisa sui consumi di energia elettrica impiegata nei processi mineralogici nel periodo dal 25.10.2011 al 10.08.2013.
La CTR della Sicilia accoglieva l’appello proposto dalla contribuente, osservando che la contribuente aveva richiesto in data 25.10.2011 di non sottoporre ad accisa, ai sensi dell’art. 52, comma 2, lett. f) del TUA, l’energia elettrica e il gas naturale impiegati presso l’impianto sito nel Comune di Vita (TP), in quanto classificabile come ‘fabbricazione di altri prodotti in minerali non me talliferi’; dopo una prima risposta negativa da parte dell’ADM, comunicata in data 15.03.2012 e revocata in autotutela, la nuova istanza di esclusione dall’imposizione , presentata dalla contribuente in data 17.09.2014, su sollecitazione dello stesso Ufficio, era stata da quest’ultimo parzialmente accolta, essendo stata accertata la sussistenza dei relativi presupposti.
C on provvedimento del 16.06.2016 l’ADM aveva accolto parzialmente la richiesta di rimborso delle accise medio tempore versate, presentata dalla contribuente in data 11.08.2015, riconoscendo alla società contribuente solo il rimborso di quelle versate nei due anni precedenti alla data di presentazione della relativa istanza e negandolo per il periodo precedente.
Secondo la CTR, la società aveva il diritto al rimborso delle accise versate anche per il periodo dal 25.10.2011 (data della prima istanza) al 10.08.2013 (data anteriore al biennio dei pagamenti), in quanto l’art. 52, comma 2, lett. f) del TUA prevede una esclusione dall’applicazione dell’accisa al solo manifestarsi del relativo presupposto fattuale, non essendo subordinata ad alcuna valutazione discrezionale da parte
dell’Ufficio ; poiché il provvedimento dell’Amministrazione finanziaria ha natura accertativa e non costitutiva, la durata del relativo procedimento amministrativo, iniziato il 25.10.2011, non poteva incidere negativamente sul diritto al rimborso delle somme che la contribuente aveva nel frattempo cautelativamente versato, avendo la stessa esercitato il proprio diritto alla esclusione (o al rimborso) dell’imposta fin dalla data di presentazione della relativa domanda (25.10.2011), impendendone ogni decadenza.
L ‘Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
La contribuente rimaneva intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso l ‘Agenzia deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 14, comma 2, e 52, comma 2, lett. f) del TUA, per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto che la presentazione dell’istanza di riconoscimento dell’esenzione , non suffragata da idonea documentazione attestante i requisiti minimi dell’impianto per ottenere il riconoscimento del diritto all’esenzione dell’accisa , potesse interrompere il termine di decadenza di cui all’art. 14, comma 2, del TUA; precisa che la sentenza impugnata ha attribuito erroneamente natura meramente accertativa al procedimento amministrativo volto al riconoscimento dell’esclusione dell’accisa per uso mineralogico, senza considerare che la prima istruttoria si era conclusa con il disconoscimento dell’agevolazione fiscale, in quanto la società richiedente era sprovvista dei requisiti minimi per beneficiare dell’esenzione, essendosi attribuita già in sede di iscrizione alla Camera di Commercio un codice di attività non rientrante tra quelli aventi diritto al beneficio, procedendo solo nelle more del giudizio instaurato avverso il provvedimento di rigetto alla rettifica del codice di attività; chiarisce
che il sopravvenuto mutamento della situazione di fatto aveva indotto l’Ufficio a revocare il provvedimento di diniego dell’esenzione ed a riaprire il relativo procedimento amministrativo che imponeva, tuttavia, la presentazione di una diversa istanza, corredata dalla documentazione atta a consentire una puntuale discriminazione dell’energia elettrica impiegata in usi promiscui, dato che la contribuente era utilizzatrice di energia elettrica per uso proprio con impieghi soggetti a diversa tassazione e con potenza disponibile superiore a 200 kw; detta istanza era stata presentata dalla società solo in data 15.09.2014, peraltro priva di tutti i documenti richiesti, depositati solo a dicembre del 2014, cui seguiva il sopralluogo nel mese di febbraio del 2015 e il provvedimento di riconoscimento dell’esenzione in data 29.05.2015, sicchè il protrarsi dei tempi di controllo non era addebitabile all’Ufficio, ma era legato alla mancanza o incompletezza della documentazione necessaria, imputabile all’atteggiamento poco collaborativo della società richiedente, anche perché l e norme che prevedono l’esenzione sono di stretta interpretazione.
Con il secondo motivo di ricorso deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 14, comma 2, e 53 del TUA, per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto che il diritto al rimborso spettasse al consumatore, mentre la relativa richiesta andava eventualmente presentata dal fornitore che aveva incamerato l’imposta nel corrispettivo della vendita dell’energia elettrica, versandola successivamente all’erario.
Per il suo carattere assorbente va esaminato prima il secondo motivo che è fondato.
3.1 Occorre preliminarmente rilevare che, sebbene il tema della legittimazione non abbia costituito oggetto di specifica censura nei gradi di merito del giudizio, il difetto di legittimazione ad agire o a
contraddire è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (Cass. n. 23899 del 2021), salvo il limite del giudicato interno (Cass. n. 29595 del 2020); sul punto va richiamato il principio statuito dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo il quale « La decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio » (Cass., Sez. U., 20 marzo 2019, n. 7925; Cass., 13 maggio 2024, n. 12936; Cass., 1 luglio 2024, n. 17989; Cass., 1 luglio 2024, n. 18001).
Anche recentemente le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute sul tema del giudicato implicito che si forma in caso di mancata impugnazione della decisione che ha omesso di pronunciarsi espressamente su un vizio processuale rilevabile d’ufficio, hanno escluso da tale regola riguardi i vizi processuali che inficiano requisiti ‘ fondanti ‘ la struttura e il funzionamento del processo -fra cui il difetto di legitimatio ad causam – in quanto minano in radice la validità del rapporto giuridico-processuale, che, quindi, non costituendosi regolarmente, non può concludersi con una valida sentenza (Cass. S.U. 29 agosto 2025, n. 24172).
3.2 Qualora detto rilievo venga effettuato in sede di legittimità, ne consegue la cassazione senza rinvio della sentenza, non rendendosi possibile pronunciare nel merito di un’impugnazione inammissibile (Cass. n. 13695 del 2001; Cass. n. 6169 del 2003; Cass. n. 20978 del 2013).
Ciò posto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore, che addebita integralmente le
accise pagate al consumatore finale; i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale, da un lato, e tra fornitore e consumatore finale, dall’altro lato, sono autonomi e non interferiscono tra loro; in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte (Cass. Sez. Un. n. 33687 del 2018; Cass. n. 14200 del 2019; Cass. n. 15199 del 2019; in precedenza, Cass. n. 9657 del 2013, in materia di energia elettrica, e Cass. n. 17627 del 2014, in materia di gas metano).
4.1 Il principio è stato riaffermato anche recentemente, con riferimento all’istanza di rimborso fondata su « tardiva questione di esenzione dal pagamento dell’accisa, siccome versata su un prodotto destinato ad usi esenti ex art. 52, comma 3, lett. c) e d), D.Lgs. n. 504 del 1992 », e si è osservato che la legittimazione a presentare istanza di rimborso all’amministrazione finanziaria, in caso di pagamento indebito, spetta al fornitore, quale esclusivo titolare passivo del rapporto d’imposta, e non al consumatore finale, sul quale viene traslato il solo peso del tributo, salvo che quest’ultimo dimostri l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di esercitare l’azione di ripetizione nei confronti del primo, potendo in tal caso, in via di eccezione, chiedere il rimborso direttamente all’erario, nel rispetto del principio unionale di effettività della tutela (Cass. n. 25149 del 2023; Cass. n. 2030 del 2025).
In conclusione, quindi, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, atteso il difetto di legittimazione, la causa non poteva essere proposta, sicchè la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, ai sensi dell’art. 382, comma 3, cod. proc. civ., con la declaratoria di inammissibilità dell’originario ricorso proposto dalla società contribuente.
Sussistono i presupposti per compensare interamente le spese del giudizio di merito, mentre quelle del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso introduttivo della lite; Compensa interamente fra le parti le spese dei giudizi di merito; condanna l’intimata RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano in complessivi € 3.000,00, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2025