Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24457 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 24457 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/09/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3973/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale in calce al ricorso per cassazione (PEC: EMAIL; fvernaEMAILpec.dvp-law.it);
-ricorrente –
contro
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – e nei confronti di
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
Oggetto: Accisa – Fornitura di gas naturale – Rimborso – Condizioni
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia -sezione staccata di Brescia n. 2999/23/2018, depositata il 25.06.2018.
Udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica del 10 giugno 2025;
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso. Sentiti, per la ricorrente, l’avvocato NOME COGNOME per delega dell’avvocato NOME COGNOME nonchè per l’Agenzia delle dogane , l’avvocato dello Stato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La CTP di Brescia rigettava il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il diniego di rimborso n. 32269RU del 9.10.2015, riguardante la maggiore somma versata a titolo di accisa, secondo l’aliquota prevista per gli ‘usi civili’, in relazione a forniture di gas metano, effettuate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (che nel frattempo ne aveva chiesto la restituzione alla contribuente), che, in quanto destinato alla produzione di vapore per gli Ospedali civili di Brescia, era, invece, da assoggettare alla aliquota agevolata per i c.d. ‘usi industriali’ .
La CTR della Lombardia -sezione staccata di Brescia rigettava l’appello proposto dalla contribuente, osservando che era proponibile anche in giudizio l’eccezione sollevata dall’Ufficio in ordine all’inammissibilità dell’istanza di rimborso per mancato invio di copia della stessa all’Agenzia delle entrate, in quanto configurava una condizione di ammissibilità della domanda di rimborso, ed era fondata, non avendo la contribuente provveduto a tale comunicazione; precisa che la richiesta di rimborso era comunque infondata nel merito,
essendo stato provato che la contribuente aveva trasferito il tributo alla società acquirente e ciò era sufficiente per negarne il rimborso, in quanto ‘la ratio della legge non si fonda sull’indebito arricchimento che ne varrebbe al contribuente’.
La società contribuente impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, illustrati con memoria.
L ‘Agenzia delle dogane resisteva con controricors o; l’Agenzia delle entrate si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente rilevata l’inammissibilità dell’atto di costituzione dell’Agenzia delle entrate non essendo stata quest’ultima parte nei precedenti gradi di giudizio. Il Collegio ritiene di dover dare seguito al consolidato principio di diritto secondo il quale « Nel giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa od ove tale costituzione non abbia riguardato il diritto oggetto di cessione » (tra le molte, Cass. n. 6774 del 2022).
1.1 Ciò posto, con il primo motivo di ricorso la contribuente deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 3 della l. n. 241 del 1990, 7 della l. n. 212 del 2000, 24, comma 2, e 97, comma 1, Cost., per avere il giudice di appello erroneamente ammesso l’integrazione della motivazione del provvedimento di rigetto dell’istanza di rimborso attraverso l’allegazione in giudizio, ad opera dell’Ufficio doganale, di un’eccezione volta a censurare per la prima volta l’inammissibilità dell’is tanza.
Con il secondo motivo di ricorso denuncia , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 29, comma 4, della l. n. 428 del 1990, 1, comma 1, della l. n. 241 del 1990, 6, commi 2 e 4, e 10, comma 1, della l. n. 212 del 2000, nonché del principio unionale di proporzionalità, per avere la CTR erroneamente ritenuto che l’accisa di cui era stato chiesto il rimborso rientrasse nel campo applicativo dell’art. 29, comma 4, della l. n. 428 del 1990, che la predetta disposizione fosse ancora in vigore e dovesse essere comunque interpretata nel senso di precludere la strada del rimborso al contribuente che, dopo avere presentato la relativa istanza alla Dogana, non abbia adempiuto all’onere di presentare copia della stessa all’Agenzia delle entrate, no nostante le contrarie indicazioni desumibili dalla normativa sopravvenuta (lo Statuto) e nonostante il principio unionale di proporzionalità, i principi di collaborazione e buona fede ai quali devono essere informati i rapporti tra contribuente e fisco; precisa che la fattispecie non rientra nella previsione della disposizione di cui all’art. 29, comma 4, cit., che è dettata esclusivamente per i tributi previsti da norme interne dichiarate incompatibili con l’ordinamento unionale e per i tributi che non rilevano per il diritto unionale, mentre nel caso in esame il diritto al rimborso era sorto per effetto di un revirement della giurisprudenza di legittimità.
Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 26 TUA, della direttiva 2003/96/CE, del 27 ottobre 2003, e dell’art. 2697 cod. civ., per avere la CTR escluso la spettanza del rimborso ritenendo sufficiente l’avvenuta traslazione dell’accisa, benchè, da un lato, il soggetto al quale il tributo era stato originariamente addebitato ne avesse chiesto la restituzione all’odierna ricorrente e, dall’altro, fosse,
in ogni caso, onere dell’Ufficio doganale dimostrare che il rimborso del tributo non si traducesse in un indebito arricchimento della società contribuente.
I primi due motivi, che per connessione vanno esaminati unitariamente, sono infondati.
4.1 Si deve premettere che, ai sensi dell’art. 29, comma 2, della l. n. 428 del 1990, «i diritti doganali all’importazione, le imposte di fabbricazione, le imposte di consumo, il sovrapprezzo dello zucchero e i diritti erariali riscossi in applicazione di disposizioni nazionali incompatibili con norme comunitarie sono rimborsati a meno che il relativo onere non sia stato trasferito su altri soggetti, circostanza che non può essere assunta dagli uffici tributari a mezzo di presunzioni».
Il successivo comma 3 così recita: «l’articolo 19 del decreto legge 30 settembre 1982, n. 688, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 novembre 1982, n. 873, è applicabile quando i tributi riscossi non rilevano per l’ordinamento comunitario».
Il comma 4 della medesima disposizione stabilisce, poi, che «la domanda di rimborso dei diritti e delle imposte di cui ai commi 2 e 3, quando la relativa spesa ha concorso a formare il reddito d’impresa, deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza».
4.2 Ciò posto, occorre osservare, in primo luogo, che la previsione, a pena di inammissibilità, della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, sancita dall’art. 29, comma 4, della l. n. 428 del 1990, integra un requisito che attiene alla possibilità del contribuente di ottenere il rimborso reclamato, come tale rilevabile ex officio dal giudice in qualunque stato e grado del giudizio (Cass. n. 9560 del 2013; Cass. n. 19811 del 2019), e non riguarda il contenuto della motivazione del provvedimento impugnato.
Si tratta di questione che attiene alla proponibilità della domanda di rimborso, per cui può essere prospettata dall’Amministrazione, come nel caso in esame, anche nel corso del giudizio di prime cure, attenendo ai requisiti di proponibilità della domanda proposta dal contribuente che consentono il rilievo ex officio della stessa.
4.3 Come è stato ripetutamente precisato da questa Corte, quindi, deve confermarsi che la previsione, a pena di inammissibilità, della comunicazione dell’istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate, sancita dalla l. n. 428 del 1990, art. 29, comma 4, integra un requisito che attiene alla possibilità del contribuente di ottenere il rimborso reclamato, come tale rilevabile ex officio dal giudice in qualunque stato e grado del giudizio (Cass. nn. 10325 del 1994, 6844 del 1995, 13793 e 22564 del 2004; Cass. n. 21356 del 2012; Cass. n. 9560 del 2013 cit.; Cass. n. 8750 del 2013);
4.4 Appare del tutto minoritario e non più attuale, infatti, l’orientamento di questa Corte secondo il quale ‘ l’art. 29, comma 4 l. n. 428/1990, nel prevedere che «la domanda di rimborso deve essere comunicata, a pena di inammissibilità, anche all’ufficio tributario che ha ricevuto la dichiarazione dei redditi dell’esercizio di competenza», costituisce circostanza impeditiva del diritto al rimborso, tale da ampliare l’accertamento dei fatti contestati idonei a paralizzare la pretesa del contribuente e da costituire, conseguentemente, nuova deduzione (Cass. 30912/19).
5. Con riferimento all’ambito di applicazione di detta disposizione, inoltre, va rilevato che l’art. 29 cit. distingue tra il pagamento effettuato in applicazione di norme nazionali in contrasto con il diritto unionale (comma 2) e quello effettuato in ragione di una errata o inesatta applicazione delle regole interne o, comunque, in assenza di una valida (per l’ordinamento nazionale) disciplina (comma 3) (cfr. Cass. n. 20631 del 2019), sicché intende chiaramente prendere in
considerazione tutte le possibili azioni di rimborso delle imposte elencate dal comma 2, applicandosi pertanto «sia alle azioni di ripetizione di tributi basate sul diritto comunitario, sia a quelle basate sul solo diritto nazionale» (Cass. n. 13087 del 2012).
5.1 La norma, quindi, ricomprende anche i rimborsi relativi a tributi riscossi in violazione di norme nazionali, per cui l’azione di ripetizione è ammissibile solo se l’istanza di rimborso sia stata comunicata all’Agenzia delle entrate, proprio in ragione dei riflessi sui redditi dichiarati nell’esercizio di competenza (Cass. n. 20818 del 2020).
5.2 Del resto, in questo senso si è pronunziata anche la Corte di Giustizia UE che, proprio esaminando la portata dell’art. 29 comma 4, cit., ha riconosciuto che la comunicazione dell’istanza si applica a tutti i diritti e i tributi menzionati ai nn. 2 e 3 dello stesso articolo, sia che la domanda di rimborso si fondi sul diritto nazionale sia che si fondi sul diritto comunitario e non ha, per conseguenza, né per effetto di privare gli interessati della possibilità di fruire dell’applicazione effettiva del diritto comunitario, né di porli in una situazione meno favorevole di quella in cui si troverebbero se domandassero il rimborso di diritti o imposizioni contrari al diritto interno (CGUE 9 febbraio 1999, causa C343/96, RAGIONE_SOCIALE , punti 59 – 60).
Alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza unionale, inoltre, appare destituita di fondamento anche la tesi della contribuente, secondo la quale l’art. 29, comma 4, cit. deve ritenersi abrogato, per incompatibilità logica e giuridica, con le disposizioni contenute nello Statuto del contribuente e, in particolare, con l’art. 6, commi 4 e 6, e più recentemente con il nuovo art. 10ter della l. n. 212 del 2000.
6.1 Quest’ultima disposizione – che è stata aggiunta dall’art. 1 del d.lgs. n. 219 del 2023 – è entrata in vigore in data 18.01.2024 e non ha efficacia retroattiva.
6.2 Per quanto riguarda la prospettata incompatibilità dell’art. 29, comma 4, cit. con l’art. 6 della l. n. 212 del 2000, occorre evidenziare che si tratta di fattispecie del tutto diverse, dato che la comunicazione della istanza di rimborso all’Agenzia delle entrate si pone come requisito di ammissibilità della stessa, per cui non può parlarsi di richiesta, da parte dell’Ufficio, di un atto di cui l’Amministrazione finanziaria è già a conoscenza, ma di un onere (la comunicazione) posto a carico di chi intende ottenere il rimborso (Cass. n. 7279 del 2020); è stato osservato, infatti, che «non è ontologicamente configurabile alcun onere d’informazione e di attivazione in capo all’ufficio delle dogane che riceva l’istanza di rimborso, in quanto l’ufficio delle dogane non è a conoscenza del presupposto di fatto che innesca l’onere di presentazione dell’istanza all’Agenzia delle entrate, dato, come si è visto, dall’incidenza della spesa relativa al rimborso sulla formazione del reddito d’impresa» (così, in motivazione, Cass. n. 750 del 2013).
6.3 Infondata è anche la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, comma 4, cit., per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. ; al riguardo va nuovamente richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, secondo la quale la censurata disposizione non è contraria ai principi di proporzionalità ed effettività, in quanto «non ha per conseguenza né per effetto di privare gli interessati della possibilità di fruire dell’applicazione effettiva del diritto comunitario, né di porli in una situazione meno favorevole di quella in cui si troverebbero se domandassero il rimborso di diritti o imposizioni contrari al diritto interno» (C-343/96, Dilexport , cit.).
6.4 La disposizione in parola non viola neppure il principio di ragionevolezza, in quanto gli importi oggetto di rimborso incidono direttamente sulla base imponibile sulla quale si calcola l’imposta , sicchè l’obbligo di informa zione è funzionale all’esigenza di rendere
edotta l’Agenzia delle entrate della presentazione di istanze di rimborso, in relazione a possibili effetti sui redditi dichiarati dal contribuente nell’esercizio di competenza.
Alla luce dell’infondatezza dei primi due motivi, il terzo motivo è inammissibile per carenza di interesse.
7.1 Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, quando la sentenza di merito impugnata si fonda -come nel caso in esame su più ‘ rationes decidendi ‘ autonome, nel senso che ognuna di esse è sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le ‘ rationes ‘ e, dall’altro, che tali censure risultino tutte fondate. Di conseguenza, qualora venga rigettato o dichiarato inammissibile il motivo che investe anche una sola delle argomentazioni poste a sostegno della decisione impugnata, gli altri motivi sono inammissibili per carenza di interesse, in quanto anche se gli stessi fossero fondati, non potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta ( ex plurimis , Cass.11.05.2018, n. 11493; Cass. 24.05.2006, n. 12372).
8. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore dell ‘Agenzia delle dogane, delle spese di lite, che liquida in euro 10.700,00, oltre spese prenotate a debito;
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 giugno 2025