Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 3079 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 3079 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 1936/2024 R.G. proposto da
Agenzia delle dogane e dei monopoli , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’ avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso il domicilio digitale PEC:
EMAILpecEMAIL;
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata n. 293/01/2023, depositata il 28.11.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Oggetto:
Tributi
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata accoglieva l’appello principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE di Santagata RAGIONE_SOCIALE, esercente un impianto di estrazione, lavorazione e vendita di materiali inerti presso una cava situata nel Comune di Balvano, avverso la sentenza della CTP di Potenza che aveva rigettato il ricorso proposto dalla contribuente avverso il provvedimento di diniego parziale di rimborso prot. n. 3386/RU riguardante la differenza di accisa versata per l’acquisto di carburante utilizzato da alcun e macchine aziendali per l’estrazione di cava con motori fissi, autorizzati ad usufruire dell ‘aliquota ridotta, e rigettava l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la medesima sentenza;
secondo la sentenza impugnata, il provvedimento parzialmente favorevole emesso nei confronti della contribuente era atto impugnabile e l’istanza di rimborso era totalmente fondata, in quanto il carburante era funzionale al processo di estrazione in cava e non era utilizzato per altre finalità;
-l’ADM contribuente impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la società contribuente resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, l’ADM denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CGT di secondo grado ritenuto erroneamente impugnabile un atto conseguenziale (nella specie, la nota prot. n. 3386/RU del 12.03.2020, emessa dall’Ufficio doganale di Potenza e notificata a mezzo PEC in data 18.03.2020, con la quale è stato trasmesso il provvedimento di riconoscimento di accredito di imposta n. A/3602 del 10.03.2020), in
mancanza di impugnazione dell’atto presupposto di diniego parziale prot. A3575 del 10.03.2020 (ritualmente notificato a mezzo PEC in data 18.03.2020 con nota di trasmissione prot. n. 3385/RU), con evidente elusione del termine di decadenza per l’impugnazione di quest’ultimo e in mancanza di censure riguardanti vizi propri del provvedimento di accredito impugnato; precisa, al riguardo, che l’atto impugnato era solo una nota di trasmissione, con la quale era stato inviato, alla RAGIONE_SOCIALE.p.a., nella sua qualità di terzo beneficiario del buono di accredito di imposta, e alla contribuente solo per conoscenza, il citato provvedimento di riconoscimento di accredito di imposta, che è atto distinto dal provvedimento di diniego parziale di rimborso; aggiunge che l’impugnato provvedimento di riconoscimento di accredito di imposta n. A/3602, erroneamente indicato dalla contribuente come diniego di rimborso, non era un atto autonomamente impugnabile ed era stato comunque annullato e sostituito con un nuovo buono di accredito n. A/5948 del 13.05.2020, trasmesso sia alla contribuente che agli interessati prima della presentazione del ricorso introduttivo;
– il motivo è infondato;
come si evince dal l’intestazione del ricorso introduttivo , riprodotta dalla contribuente, in ossequio al principio di autosufficienza, nel testo del controricorso (p. 18), l’impugnazione riguardava il provvedimento di diniego parziale di rimborso, sebbene indicato con il n. di prot. 3386/RU (che era quello con il quale era stata protocollata la nota di trasmissione del successivo provvedimento di accredito di imposta); l’indicazione di un diverso numero di protocollo era frutto di un evidente errore materiale, dovuto sia al fatto che la nota di trasmissione del diniego di rimborso era stata protocollata con il numero immediatamente precedente (n. 3385/RU) sia al fatto che
entrambi i provvedimenti erano stati notificati alla contribuente a mezzo PEC lo stesso giorno (18.03.2020);
poiché nel ricorso introduttivo innanzi alla CTP di Potenza viene indicato come atto impugnato il ‘Provvedimento di diniego parziale di rimborso’, non vi possono essere dubbi che non sia stato impugnato il successivo provvedimento di accredito;
con il secondo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione de ll’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., non essendosi il giudice di secondo grado pronunciato sulla eccezione di litispendenza, con la quale la ADM, fin dal giudizio di primo grado, aveva rilevato che la contribuente avesse riproposto i motivi di doglianza formulati avverso il provvedimento autorizzativo prot. n. 2019-A7361 del 22.05.2019, già dedotti nel precedente ricorso R.G.R. n. 518/2019, deciso dall’allora CTP di Potenza con sentenza n. 10/2/2020, impugnata dalla Società con ricorso in appello, nelle more definito con sentenza della CTR della Basilicata n. 355/2022, passata in giudicato; precisa che, poiché il diniego di rimborso parziale si fonda sul richiamato provvedimento autorizzativo, che è divenuto nel frattempo definitivo, la sentenza n. 355/2022 esplica efficacia di giudicato esterno rispetto al presente giudizio;
il motivo è inammissibile;
la difesa erariale solleva una questione meramente processuale, che non può dar luogo ad un vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito (cfr. Cass. n. 6174 del 14/03/2018; Cass. n. 321 del 12/01/2016; Cass. n. 4191 del 24/02/2006; Cass. n. 22860 del 06/12/2004);
-va parimenti disattesa l’eccezione di giudicato, proposta in relazione ad altra sentenza della medesima CGT di secondo grado, in quanto
tale sentenza non risulta prodotta con l’attestazione del passaggio in giudicato;
con il terzo motivo, deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 1, comma 2, 36, comma 2, n. 4), del d.gls. n. 546 del 1992, 132, comma 2, n. 4) cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 111 Cost., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., non avendo il giudice di secondo grado motivato, se non in maniera apparente, sulla spettanza del rimborso integrale, limitandosi genericamente a riconoscere la sussistenza dei presupposti previsti al punto 9) della Tabella A allegata al TUA e richiamando, sempre genericamente, i principi di buona fede e legittimo affidamento, non consentendo di individuare l’iter logico giuridico seguito per addivenire alla propria decisione;
– il motivo è infondato;
come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
-deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, ma anche nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, non essendo più ammissibili mere censure di contraddittorietà ed insufficienza motivazionale (Cass. n. 23940 del 12/10/2017);
solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo” , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni
obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232);
la sentenza impugnata non è affetta da tale grave vizio, in quanto presenta una motivazione che, a prescindere dalla sua correttezza o meno, palesa l’ iter logico seguito dai giudici di appello, che hanno ritenuto di annullare il diniego di rimborso parziale, in quanto ‘la spettanza del rimborso nella sua totalità iniziale (in sede di istanza), come richiesto, è di tutta evidenza, proprio partendo dal tono lesivo probatorio pro-contribuente del provvedimento impugnato, con particolare riferimento ai crismi di cui al T.U. delle accise ovvero al D.lgs. n. 504 del 1995, punto 9, tabella A, pienamente rispettati nel caso di specie, tra l’altro in ossequio ai principi di buona fede e legittimo affidamento, per l’acquisto di carburante funzionale al processo di estrazione in cava e non per altre finalità (mai dimostrate e provate dall’Ufficio), particolarmente complesso e gravoso nell’uso dei macchinari come identificati, al di là di ogni calcolo criptico sui consumi che viola nella fattispecie anche il principio di tolleranza o riferimento circolare di prassi, riconducibile alla teoria dell’atto inutile, perché strettamente di parte (ovvero ex officio) ‘;
il giudice di appello ha ritenuto, nella sostanza, che il diniego fosse infondato, che si fondava su documenti di prassi, privi di rilievo, e che la società avesse dimostrato l’utilizzo del carburante per le attività agevolate (funzionali al processo di estrazione in cava);
le argomentazioni svolte esplicitano le ragioni della decisione, per cui eventuali profili di insufficienza della motivazione, anche se sussistenti, non la viziano in modo così radicale da renderla meramente apparente, dovendosi ritenere che il giudice tributario di
appello abbia assolto il proprio obbligo motivazionale al di sopra del “minimo costituzionale” (Cass. Sez. U. 7.04.2014, n. 8053);
in conclusione, dunque, il ricorso va rigettato e la parte ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di lite del presente giudizio, che si liquidano in complessivi € 5.800,00 per compenso professionale ed euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% sul compenso per rimborso forfettario delle spese generali e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 21 novembre 2024