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Rimborsi spese volontariato: quando sono tassabili?

La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’associazione di volontariato. I giudici hanno confermato che i rimborsi spese forfettari, non legati a costi documentati, sono da considerarsi compensi tassabili, configurando un’attività d’impresa. La Corte ha ribadito che spetta all’associazione dimostrare la natura effettiva dei rimborsi spese volontariato per evitare la tassazione.

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Pubblicato il 26 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimborsi Spese Volontariato: Quando Diventano Reddito Tassabile?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, affronta un tema cruciale per il terzo settore: la distinzione tra legittimi rimborsi spese volontariato e compensi mascherati. La corretta qualificazione di queste erogazioni ha implicazioni fiscali fondamentali, potendo trasformare un’attività di volontariato in una vera e propria attività d’impresa agli occhi del Fisco. L’ordinanza chiarisce i criteri e, soprattutto, su chi incombe l’onere di dimostrare la natura delle somme corrisposte.

I Fatti di Causa

Una associazione di volontariato e il suo legale rappresentante si vedevano notificare due avvisi di accertamento per l’anno d’imposta 2013. L’Agenzia delle Entrate contestava l’omessa dichiarazione dei redditi, riqualificando l’attività dell’ente da volontariato a impresa commerciale. Secondo l’amministrazione finanziaria, l’associazione occultava maggiori avanzi di bilancio attraverso l’erogazione di fittizi rimborsi spese ai volontari, di fatto non documentati e non collegati a costi reali. Questi importi venivano considerati veri e propri compensi, con conseguente accertamento di un maggior reddito d’impresa e la contestazione di ritenute alla fonte non operate.

I contribuenti impugnavano gli atti, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale respingevano i ricorsi. I giudici di merito confermavano l’impostazione del Fisco, ritenendo che la caratteristica remunerativa dell’attività svolta la qualificasse come impresa e che i contribuenti non avessero fornito prove sufficienti a contrastare l’accertamento induttivo.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

L’associazione e il suo rappresentante proponevano ricorso in Cassazione basato su quattro motivi:

1. Violazione sull’onere della prova (art. 2697 c.c.): Lamentavano che i giudici di merito avessero erroneamente posto a loro carico l’onere di provare l’infondatezza della pretesa erariale, nonostante si trattasse di un accertamento induttivo.
2. Errata qualificazione dell’attività (artt. 150 e 149 T.U.I.R.): Contestavano la riqualificazione dell’attività dell’associazione in attività d’impresa.
3. Errata qualificazione dei volontari (artt. 2094 c.c. e 49 T.U.I.R.): Si opponevano alla tesi che i volontari fossero, in realtà, lavoratori dipendenti.
4. Omesso esame di un fatto decisivo: Sostenevano che la Corte territoriale non si fosse pronunciata sulla questione cruciale della natura di volontari e non di dipendenti di alcuni soggetti coinvolti.

L’analisi della Corte sui rimborsi spese volontariato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibili tutti i motivi del ricorso. In primo luogo, ha chiarito che i giudici di merito non hanno invertito l’onere della prova. Hanno correttamente affermato che, di fronte a un accertamento fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti (come la sproporzione tra rimborsi e la mancanza di pezze giustificative), spetta al contribuente fornire la prova contraria, cosa che l’associazione non aveva fatto.

Per quanto riguarda la riqualificazione dell’attività e dei rapporti con i volontari, la Corte ha sottolineato che tali censure miravano a ottenere un nuovo e non consentito riesame dei fatti. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge, non rivalutare le prove. I giudici di merito avevano motivato in modo logico e plausibile la loro decisione, basandosi sugli elementi raccolti durante l’istruttoria.

Rimborsi spese volontariato vs. Compensi: il principio chiave

Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione della normativa sul volontariato (Legge n. 266/1991). La Corte ribadisce un principio consolidato: possono essere considerati legittimi rimborsi spese volontariato solo quelli collegati a spese specificamente individuate, documentate ed effettivamente sostenute.

Al contrario, gli esborsi erogati a titolo forfettario, senza un collegamento diretto con costi reali e documentati, perdono la loro natura di rimborso e devono essere qualificati come compensi soggetti a tassazione. Tali somme sono considerate retribuzioni mascherate che snaturano il rapporto di volontariato, trasformandolo in un rapporto di lavoro e, di conseguenza, l’attività dell’ente in un’attività commerciale.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la propria decisione di inammissibilità evidenziando come i ricorrenti, con i loro motivi di ricorso, stessero in realtà chiedendo un riesame del merito della vicenda, attività preclusa nel giudizio di legittimità. I giudici di appello avevano adeguatamente spiegato perché l’attività dell’onlus fosse da considerarsi imprenditoriale, basandosi sul carattere sistematico e remunerativo dei pagamenti effettuati. Questi pagamenti, mascherati da rimborsi carburante, erano in realtà erogazioni forfettarie, con importi costanti e slegati dai turni effettivi, configurandosi quindi come vere e proprie retribuzioni. Di fronte a questo quadro, l’associazione non ha fornito alcuna prova idonea a dimostrare il contrario. La Corte ha inoltre respinto l’ultimo motivo di ricorso per ragioni procedurali, tra cui l’applicazione del principio della “doppia conforme” che limita l’impugnazione per vizi di motivazione quando le sentenze di primo e secondo grado sono concordanti.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutte le associazioni di volontariato. La gestione dei rimborsi spese deve essere rigorosa e trasparente. È fondamentale conservare tutta la documentazione che attesti la natura effettiva dei costi sostenuti dai volontari per l’attività prestata. L’erogazione di somme forfettarie, anche se in buona fede, espone l’ente e i suoi amministratori a un elevato rischio di contestazioni fiscali, con la possibile riqualificazione dell’intera attività in chiave commerciale e l’applicazione di pesanti sanzioni. La sentenza conferma che, in sede di contenzioso, l’onere di dimostrare la legittimità dei rimborsi ricade interamente sul contribuente.

Quando un rimborso spese a un volontario viene considerato reddito tassabile?
Un rimborso spese viene considerato reddito tassabile quando è erogato in modo forfettario, cioè non è collegato a spese specifiche, individuate e documentate che siano state effettivamente sostenute dal volontario. In questi casi, viene qualificato come compenso.

In caso di accertamento fiscale, su chi ricade l’onere di provare la natura dei rimborsi spese volontariato?
L’onere della prova ricade sul contribuente (l’associazione e il volontario). Se l’amministrazione finanziaria contesta la natura dei rimborsi basandosi su presunzioni gravi, precise e concordanti, spetta all’associazione dimostrare, con prove documentali, che le somme erogate costituiscono un rimborso di spese effettivamente sostenute.

Può un’associazione di volontariato erogare rimborsi spese forfettari ai propri associati?
No, secondo la Corte di Cassazione non è possibile. I rimborsi devono essere esclusivamente legati a costi reali e documentati. L’erogazione di somme forfettarie maschera un rapporto di lavoro e fa perdere la natura di volontariato all’attività, con il rischio che venga riqualificata come attività d’impresa a fini fiscali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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