Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21503 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21503 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/07/2025
Avviso di
accertamento – IRES – IRAP – 2012
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29226/2020 R.G. proposto da:
ASSOCIAZIONE DI RAGIONE_SOCIALE e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, anche in proprio, rappresentati e difesi dall’Avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME sito in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato che la rappresenta e difende.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. PUGLIA n. 904/2020 depositata in data 15 maggio 2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 giugno 2025 dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti dell’associazione di volontariato onlus T.U.R. 27 e del suo legale rappresentante NOME COGNOME due distinti avvisi di accertamento IRES ed IRAP per l’anno 2012 ; con il primo si contestava, in materia di IRES, l’omessa presentazione della dichiarazione sui redditi nonché
l’omessa tenuta delle scritture contabili e, in materia di IRAP, l’omessa dichiarazione reddituale. Conseguentemente, veniva accertato un carico tributario, per IRES, pari ad € 9.963,00 e, per IRAP, pari ad € 22.497,00 oltre sanzioni ed interessi. Con il secondo si contestava la presentazione infedele della dichiarazione del sostituto d’imposta e la mancata esecuzione di ritenute alla fonte per € 31.926,00.
Avverso gli avvisi di accertamento, l’associazione , in persona del legale rappresentante NOME COGNOME nonché quest’ultimo anche in proprio, proponevano distinti ricorsi dinanzi alla C.t.p. di Foggia, la quale con sentenza n. 745/2017 rigettava i ricorsi riuniti, ritenendo gli avvisi impugnati sufficientemente motivati.
Contro tale sentenza le parti soccombenti proponevano appello dinanzi alla C.t.r. della Puglia -sezione staccata di Foggia ; l’Ufficio si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
La C.t.r. adita, con sentenza n. 904/2020, depositata in data 15 maggio 2020, rigettava l’appello, confermando le argomentazioni dei primi giudici in ordine alla fondatezza dell’accertamento.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Puglia – sezione staccata di Foggia l’associazione ed il COGNOME anche in proprio hanno proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 17 giugno 2025, per la quale le parti ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma civ., n. 3 cod. proc. civ.», la ricorrente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto che, in presenza di un accertamento induttivo, l’onere della prova non ricade sull’Amministrazione erariale.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 150 e 149 T.U.I.R., in relazione all’art. 360, primo comma civ., n. 3 cod. proc. civ.», la ricorrente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha riqualificato l’attività dell’associazione in attività d’impresa.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2094 cod. civ. e art. 49 T.U.I.R., in relazione all’art. 360, primo comma civ., n. 3 cod. proc. civ.», la ricorrente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto gli asseriti volontari dei veri e propri dipendenti.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ.», la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la CRAGIONE_SOCIALE ha omesso di pronunciarsi su una questione afferente la natura di volontari e non di dipendenti di alcuni soggetti.
Il primo motivo è inammissibile.
Costituisce giurisprudenza pacifica di questa Corte il principio secondo cui violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni’ (Cass. ord. n. 26769/18; Cass. ord. n. 32923/22; Cass. ord. n. 28520/24; Cass. ord. 4315/25).
2.1. Nella fattispecie in esame il giudice tributario d’appello non ha attribuito all’associazione un onere probatorio ad essa non spettante, ma ha affermato che -a fronte di un accertamento
induttivo ove l’elemento fondante era la sproporzione tra voci afferenti a pretesi rimborsi ma non riferiti a spese documentate -l’associazione non aveva fornito prova contraria circa la classificazione come compensi per prestazioni di lavoro subordinato di cui alla contestazione contenuta nell’avviso di accertamento.
Il secondo ed il terzo motivo, da trattare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e stante l’affinità delle critiche sollevate, sono inammissibili.
La complessiva censura si risolve nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
3.1. Si è più volte sottolineato, come compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (Cass. 12/02/2008, n. 3267), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare. La valutazione delle prove più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di
fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova.
3.2. E’ principio assolutamente pacifico, e qui condiviso, che «l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr., ex plurimis, Cass. 02/12/2021, n. 38137).
3.3. Ancora, ai sensi dell’art. 2 della l. n. 266 del 1991, nella sua versione applicabile ratione temporis , per evitare che il rapporto associativo mascheri un rapporto di lavoro, non possono considerarsi rimborsi spese, e vanno dunque qualificati come compensi soggetti a tassazione, gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfetario, ossia non collegati a spese specificamente individuate e documentate. (Cass. 05/10/2018, n. 24451).
3.4. Un autorevole arresto (Cass. 25/11/2015, n. 24090) con riferimento all’esatta portata della disposizione, contenuta nell’articolo 2, secondo comma, della legge n. 266/91, – secondo la quale “Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente
stabiliti dalle organizzazioni stesse.” – ha avuto cura di precisare che la prima parte di tale disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese – e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione – gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato ai propri associati a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori. Ciò implica, sul piano probatorio, che grava sulla parte contribuente che contesti la pretesa erariale (associazione, per quanto riguarda la ritenuta alla fonte, associato, per quanto riguarda l’intero prelievo IRPEF) l’onere di documentare il sostenimento delle spese di cui le somme erogate dall’ associazione costituirebbero specifico rimborso. La seconda parte di tale disposizione significa che non possono essere considerati rimborsi di spese – e vanno quindi qualificati come compensi, come tali soggetti a tassazione – gli esborsi erogati dall’associazione di volontariato ai propri associati qualora gli stessi eccedano “i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse”. In ordine alla interpretazione di questo disposto, considerazioni legate alla ratio legis -orientata a garantire la genuinità della natura volontaristica dell’attività degli associati e non a disciplinare le modalità di tenuta della contabilità delle associazioni – inducono infatti a ritenere che i limiti iscritti nel bilancio preventivo siano riferibili a previsioni relative a massimali di rimborso per singolo associato (complessivi o frazionati in tipologie di spese, come, ad esempio, trasporti o indumenti o telefonia) e non all’entità della posta iscritta nel bilancio preventivo dell’associazione per i rimborsi spese agli associati. Tale conclusione risulta avvalorata, per un verso, dal rilievo che nell’incipit della disposizione si legge: “al volontario”, al singolare, e non “ai volontari”; per altro verso, dalla considerazione che lo scostamento tra bilancio preventivo e bilancio consuntivo può fisiologicamente derivare da eventi gestionali non previsti all’inizio
dell’esercizio che diano luogo a spese legittimamente disposte dagli organi amministrativi dell’associazione, previamente autorizzate o successivamente ratificate dall’assemblea. In sostanza, la disposizione in commento – inserita in un articolo di legge che definisce normativamente l’attività di volontariato -tende a garantire che i rimborsi spese non mascherino l’erogazione di compensi, ossia, in definitiva, che il rapporto associativo non mascheri un rapporto di lavoro (si veda, sul punto Cass. Sez. Lav. nn. 12964/08, 10974/10, 9468/13) e a tal fine prescrive che i rimborsi a ciascun singolo volontario, per un verso, siano connessi a “spese effettivamente sostenute” – il che risulta intrinsecamente incompatibile con la determinazione dell’entità del rimborso con criteri forfettari -e, per altro verso, rientrino in “limiti preventivamente stabiliti”.
3.5. In diritto, con la legge 11 agosto 1991 n.266 rubricata ‘Legge quadro sul volontariato’ sono stati istituzionalizzati il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà, pluralismo e si è inteso promuovere lo sviluppo del volontariato salvaguardandone l’autonomia e favorendone l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome e dagli enti locali. Secondo tale legge, per attività di volontariato si intende l’attività prestata in modo personale, spontaneo e gratuito tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte senza fini di lucro, anche indiretto, ed esclusivamente per fini di solidarietà. Ne discende che l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo, nemmeno dal beneficiario.
3.6. Nella fattispecie in esame, la C.t.r. ha motivato sottolineando come i verbalizzanti avessero riscontrato la corresponsione di pagamento ovvero di compensi per l’attività svolta dal personale volontario, con la conseguente riconducibilità dei pagamenti
effettuati ad un’attività remunerativa paragonabile a quella del lavoro subordinato atteso che al volontario devono essere rimborsate solo le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata mentre sono qualificati compensi le corresponsioni effettuate a titolo forfettario senza alcun collegamento con le medesime spese sostenute.
Di poi, non è contestato che i verificatori hanno accertato che questi rimborsi spese avvenivano esclusivamente sulla base di schede carburante, con costanza di importi è totalmente slegate dai turni effettivi svolti dai volontari che spesso risiedevano nello stesso luogo della postazione di emergenza territoriale a dimostrazione del fatto che essi costituivano delle vere e proprie retribuzioni e non meri ristori per spese vive documentate. A fronte di tale complesso istruttorio l’associazione non opponeva prove idonee a contrastare l’accertamento tant’è che in entrambi i gradi di merito, i giudici hanno valutato le argomentazioni dell’associazione assolutamente insufficiente a livello probatorio.
4. Il quarto motivo è anch’esso inammissibile.
Esso nella sua compiuta formulazione sembra configurare piuttosto un’omessa pronuncia e, a tali fini, avrebbe richiesto, a fronte della specifica contestazione contenuta nel controricorso erariale, riguardo alla novità della questione dedotta solo con memoria in appello, che i ricorrenti avessero allegato in quale atto essa fosse stata tempestivamente proposta, laddove in memoria gli stessi ricorrenti, dando atto del subentrare del nuovo difensore in grado d’appello, finiscono col riconoscerne la tardività.
Ove poi si voglia ricondurre la censura al paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., essa sarebbe ugualmente inammissibile, rilevando l’applicazione, nella fattispecie, della previsione di cui all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c., così come riformulato dal d.l. 22/6/2012, n. 83 conv. nella legge 11/8/2012, n. 143 che, per l’ipotesi di cd. doppia conforme, avendo il giudice di
appello confermato la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso del contribuente, sulla base delle medesime ragioni inerenti alle questioni di fatto a sostegno della sentenza di primo grado, preclude la deducibilità in sede di legittimità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma cod. proc. civ.
Di poi, è inammissibile anche in relazione al fatto che difetta la decisività dei fatti esposti come desumibili dalle sentenze allegate: trattasi, infatti, di sentenze (dichiarative della carenza di legittimazione processuale passiva della TUR 27) rese nell’ambito di giudizi iniziati innanzi al Giudice del Lavoro di Foggia da infermieri dell’associazione volontaria TUR 27 finalizzati ad ottenere la cancellazione della loro posizione previdenziale INPS come lavoratori subordinati della TUR 27 atteso che l’attività svolta begli anni 2012, 2013 e 2014 era effettivamente di volontariato e laddove l’iscrizione era avvenuta per effetto dell’avviso di accertamento. L’unica pronuncia in materia favorevole all’associazione resa dal giudice tributario (Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia -sezione staccata di Foggia -n. 706/2025, depositata il 26 febbraio 2025), attiene al diverso periodo d’imposta 2014. N essuna di dette sentenze risulta, peraltro, munita di attestazione di passaggio in giudicato, tanto oblitera la decisività dei fatti esposti.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono il criterio della soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 17 giugno 2025