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Rimanenze ultrannuali: conta la durata effettiva

Una società di costruzioni si oppone a un accertamento fiscale per le rimanenze ultrannuali. La Cassazione stabilisce che si deve considerare la durata effettiva dei lavori, non quella contrattuale, applicando l’art. 93 TUIR. La Corte accoglie però i motivi sull’omessa pronuncia riguardo ai calcoli e alle sanzioni, rinviando alla commissione tributaria regionale. Respinge inoltre il ricorso dell’Agenzia sulla deducibilità delle provvigioni.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Rimanenze Ultrannuali: la Durata Effettiva Prevale su Quella Contrattuale

La corretta contabilizzazione delle rimanenze ultrannuali è un tema cruciale per le imprese che operano su commessa, specialmente nel settore delle costruzioni. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un principio fondamentale: per determinare il regime fiscale applicabile, ciò che conta è la durata effettiva dei lavori, anche se il contratto iniziale prevedeva un termine inferiore all’anno. Questa decisione ha importanti implicazioni sulla ripartizione dei ricavi e sulla determinazione del reddito d’impresa.

I Fatti di Causa

Una società operante nel settore dei prefabbricati impugnava due avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate per gli anni di imposta 2011 e 2012. Le contestazioni principali riguardavano:
1. Per l’anno 2011, la ripresa a tassazione di ricavi derivanti da lavori la cui esecuzione si era protratta oltre l’anno, nonostante il contratto prevedesse una durata infrannuale. L’Agenzia riteneva applicabile il criterio di valutazione delle rimanenze ultrannuali basato sulla percentuale di completamento (art. 93 del TUIR), mentre la società sosteneva dovesse applicarsi il criterio generale del costo (art. 92 del TUIR).
2. Sempre per il 2011, l’indeducibilità di alcune provvigioni pagate.
3. Per l’anno 2012, altre contestazioni in materia di IVA.

La Commissione tributaria regionale aveva dato ragione all’Agenzia sulla questione delle rimanenze, ma aveva annullato il rilievo sulle provvigioni, ritenendole deducibili. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione per la questione delle rimanenze e per vizi procedurali, mentre l’Agenzia ha presentato un ricorso incidentale per contestare la deducibilità delle provvigioni.

Il Principio per le Rimanenze Ultrannuali

Il cuore della controversia risiedeva nell’interpretazione degli articoli 92 e 93 del TUIR. La società contribuente sosteneva che la disciplina speciale per le rimanenze ultrannuali (art. 93) potesse applicarsi solo quando la durata superiore all’anno fosse prevista fin dall’inizio nel contratto. Poiché nel suo caso il contratto era infrannuale, riteneva corretto applicare il criterio generale basato sul costo dei lavori eseguiti.

L’Agenzia delle Entrate, al contrario, ha sempre sostenuto che il presupposto per l’applicazione dell’art. 93 fosse la durata effettiva dell’opera. Se i lavori, per qualsiasi motivo, si estendono oltre l’anno, il criterio di valutazione deve essere quello della percentuale di completamento, al fine di ripartire correttamente l’utile lungo i vari esercizi di svolgimento della commessa.

L’Omessa Pronuncia sui Calcoli e le Sanzioni

Oltre alla questione di merito, la società lamentava che il giudice d’appello avesse completamente ignorato due sue eccezioni subordinate:
* L’erroneità dei calcoli effettuati dagli accertatori per determinare il maggior valore delle rimanenze.
* La richiesta di non applicare le sanzioni per la sussistenza di condizioni di obiettiva incertezza normativa.

Su questi due punti, la sentenza impugnata non conteneva alcuna motivazione, configurando un vizio di omessa pronuncia.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato distintamente i vari motivi di ricorso. In primo luogo, ha dichiarato l’estinzione parziale del giudizio relativo all’anno d’imposta 2012, poiché le parti avevano aderito alla definizione agevolata delle liti pendenti.

Sul tema centrale delle rimanenze ultrannuali, la Corte ha rigettato il motivo di ricorso della società, confermando la tesi dell’Amministrazione Finanziaria. I giudici hanno stabilito che l’art. 93 del TUIR si applica ogni volta che l’esecuzione dell’opera abbia una durata effettiva superiore all’anno, a prescindere da quanto pattuito inizialmente nel contratto. La ratio di questa norma è evitare la concentrazione di tutto l’imponibile nell’ultimo esercizio di completamento dei lavori, garantendo una tassazione più equa e proporzionale allo stato di avanzamento. La Corte ha richiamato precedenti conformi, sottolineando che il criterio della percentuale di completamento costituisce una deroga al principio generale secondo cui i ricavi si considerano conseguiti alla data di ultimazione della prestazione.

La Corte ha invece accolto i motivi relativi all’omessa pronuncia. Ha constatato che la Commissione tributaria regionale non aveva in alcun modo esaminato né deciso sulle eccezioni riguardanti l’erroneità dei calcoli e l’inapplicabilità delle sanzioni. Questo costituisce una violazione dell’art. 112 del codice di procedura civile, che impone al giudice di pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa. Pertanto, su questi specifici punti, la sentenza è stata cassata con rinvio.

Infine, la Corte ha rigettato il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate relativo alla deducibilità delle provvigioni. I giudici hanno ritenuto che la Commissione regionale avesse condotto un esame scrupoloso delle prove fornite dalla società (fatture, documentazione di supporto), giungendo alla conclusione, con una valutazione di merito logicamente motivata, che l’effettività e l’inerenza delle prestazioni fossero state dimostrate. Tale valutazione, essendo corretta sul piano logico e basata sui fatti, non è sindacabile in sede di legittimità.

Le Conclusioni

In definitiva, la sentenza ha fissato un principio chiaro: per la gestione fiscale delle commesse, è la realtà fattuale a prevalere sulle pattuizioni contrattuali. Se un lavoro si protrae oltre i dodici mesi, si applica il regime delle rimanenze ultrannuali (art. 93 TUIR) con il criterio della percentuale di completamento. La sentenza è stata però cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che dovrà riesaminare il caso per decidere nel merito della correttezza dei calcoli dell’accertamento e della legittimità delle sanzioni irrogate, due punti sui quali il precedente giudice aveva omesso di pronunciarsi.

Per la contabilizzazione delle rimanenze di commesse, conta la durata prevista dal contratto o quella effettiva dei lavori?
Secondo la Corte di Cassazione, ciò che rileva è la durata effettiva dei lavori. Se questa supera l’anno, si applica la disciplina specifica per le opere ultrannuali (art. 93 TUIR), indipendentemente dalla durata inizialmente pattuita nel contratto.

Cosa succede se un giudice d’appello non si pronuncia su una specifica richiesta della parte?
Si verifica un vizio di ‘omessa pronuncia’. La sentenza è invalida su quel punto e può essere cassata dalla Corte di Cassazione, che rinvia la causa a un altro giudice affinché decida sulla questione che era stata ignorata.

Può l’Agenzia delle Entrate contestare in Cassazione la valutazione delle prove fatta da un giudice di merito sulla deducibilità di un costo?
No, se la valutazione del giudice di merito è logicamente motivata e completa. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito, e non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice precedente, a meno che quest’ultima non sia palesemente illogica o contraddittoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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