Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 28180 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 28180 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 34438/2018 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MESSINA
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA SEZ. DIST. MESSINA n. 3069/2018 depositata il 19/07/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Il Comune di Messina emetteva un avviso di accertamento avente ad oggetto tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani per gli anni 2005, 2006 e 2007, scaturito dall’accertamento dell’omessa dichiarazione dell’unità immobiliare di proprietà della società contribuente RAGIONE_SOCIALE, adibita a commercio al dettaglio ed ubicata all’interno del “RAGIONE_SOCIALE“.
Il ricorso proposto avverso l’atto impositivo veniva accolto dall’adita Commissione Tributaria Provinciale la quale riteneva che, a norma dell’art.10 del Regolamento emanato dal Comune di Messina del 17.5.2002, i rifiuti speciali derivanti da “strutture commerciali costituite da ipermercato e annesso centro RAGIONE_SOCIALE integrato” non sono assimilati ai rifiuti urbani, e pertanto devono essere smaltiti a cura e spese dei produttori tramite la stipula di appositi contratti con ditte specializzate, ai sensi e per gli effetti dell’art.62, comma 3, del d.lgs. n.507/93.
La decisione, appellata dal Comune di Messina, veniva confermata, con la sentenza n. 3998/27/2014, dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia la quale riteneva pregiudiziale il giudicato esterno, costituito da sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Messina e formatosi, in senso favorevole ad altro soggetto consorziato operante nel medesimo centro RAGIONE_SOCIALE, sulle medesime questioni in fatto ed in diritto oggetto di esame- assumendo che la sentenza, intervenuta per prima, la legittimava a fondare il proprio convincimento su elementi di prova e di verità a favore del contribuente, contenuti in una sentenza che aveva statuito la infondatezza e la illegittimità della pretesa fiscale. La Commissione Regionale, quindi, condivisa la sentenza con autorità di cosa giudicata, rilevava la violazione e falsa applicazione dell’art.10 del Regolamento n.19/C del 17.5.2002, degli artt.184, 188 e 190 del d.lgs. 152/2006 e dell’art.62 del d.lgs. 507/93 ed atteso che parte contribuente si era attenuta alla convenzione
stipulata con la società che gestiva per conto del Comune di Messina il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani, dichiarava illegittima la richiesta impositiva ai fini TARSU poiché il Consorzio aveva provveduto a propria cura e spese allo smaltimento dei rifiuti prodotti dai consorziati tramite conferimento a soggetti abilitati per lo smaltimento dei rifiuti speciali.
Questa Corte, con la pronunzia n. 18888/2016, in accoglimento del primo motivo di ricorso per cassazione dell’ente impositore, negando l’autorità di giudicato sulla quale era integralmente fondata la sentenza impugnata, cassava la sentenza impugnata con rinvio per il riesame ed il regolamento delle spese processuali.
La CTR, con la sentenza n. 3069/2/2018, depositata il 19/7/2018, a seguito della riassunzione del giudizio, accoglieva l’appello del Comune di Messina e, per l’effetto, affermava la debenza del tributo richiesto assumendo all’uopo rilievo, da un lato, gli artt. 1 0 e 11 del Regolamento comunale contenenti i criteri qualitativi e quantitativi di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani e, dall’altro, la mancata dichiarazione della società contribuente volta ad ottenere l’esenzione di cui all’art. 62, comma 3, d.lgs. 15 novembre 1993 n. 507.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi la società RAGIONE_SOCIALE
Il Comune RAGIONE_SOCIALE Messina è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la RAGIONE_SOCIALE deduce, ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza emessa dalla CTR su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
La società ricorrente censura l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui i giudici di primo grado avevano omesso di valutare l’applicabilità nel caso di specie dell’art. 10 del Regolamento Comunale n. 19/C del 17.5.2002 relativo alla
assimilabilità dei rifiuti speciali a quelli urbani (fondandosi la pronuncia impugnata sull’esistenza di un giudicato esterno).
Diversamente, la ricorrente ritiene che la CTP avesse esaminato la questione afferente alla natura dei rifiuti prodotti e ritenuto, sulla base della corretta interpretazione dell’art. 10 lett. b) del cennato regolamento, ad essa applicabile tale disposizione che la rendeva esente dalla privativa del comune, interpretazione che, peraltro, in sede di relazione ex art. 380-bis c.p.c., era stata ritenuta non adeguatamente contrastata dall’ente territoriale. La ricorrente censura, poi, l’interpretazione fornita dalla CTR dell’art. 10 cit. secondo cui i rifiuti speciali esenti dal pagamento della TARSU sono solo quelli prodotti dagli ipermercati con annesso centro RAGIONE_SOCIALE facente capo ad un unico gestore, fattispecie diversa da quella in esame in cui più soggetti svolgono la loro attività RAGIONE_SOCIALE in locali facenti parte di un centro RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo lamenta, ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. , avendo la CTR omesso ogni pronuncia circa la proposta eccezione relativa all’illegittima determinazione delle sanzioni dovute.
Con il terzo motivo deduce, ex art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione del menzionato art. 10 del Regolamento comunale suindicato. La ricorrente rileva che la CTR avrebbe erroneamente interpretato la portata dell’art. 10, lettera b), cit. secondo cui non sono assimilabili ai rifiuti speciali, tra gli altri, «i rifiuti non devono appartenere al seguente elenco (…) rifiuti derivanti da strutture commerciali costituite da ipermercato e annesso centro RAGIONE_SOCIALE integrato». Pe r i giudici di merito, infatti, l’esclusione dell’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani ricorrerebbe nei soli casi in cui le suddette strutture appartengono ad un unico proprietario, rimanendo così esclusa la fattispecie in esame in cui più soggetti gestiscono distinti locali facenti parte di un RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; al contrario, la contribuente ritiene applicabile nel caso
di specie l’art. 10 cit. il quale non implica in modo espresso la riconducibilità ad un unico soggetto delle suindicate strutture assumendo all’uopo rilievo la definizione di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE contenuta nella Delibera del Presidente della Giunta Regionale della Sicilia del 17.11.2000 n. 165 in cui si opera l’assimilazione tra questi e le aree commerciali integrate caratterizzate dalla compresenza di più strutture commerciali e di servizio fisicamente separate ma dotate di infrastrutture comuni.
La società contribuente rileva, ulteriormente, che il Comune di Messina non aveva mai svolto il servizio di raccolta rifiuti nell’area RAGIONE_SOCIALE in cui si trovavano i propri locali della contribuente ed osserva, infine, che la CTR aveva richiamato l’art. 11 del regolamento comunale del 30.3.1995, non vigente all’epoca dei fatti, per effetto dell’introduzione del nuovo regolamento del 17.5.2002.
Con il quarto motivo deduce, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 62, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 in rapporto all’art. 10 del Regolamento 2 e 3, del d.lgs. n. 507 del 1993 in rapporto all’art. 10 del Regolamento Comunale indicato nel motivo che precede, per avere la CTR rilevato l’assenza di qualsivoglia denuncia riferita alla richiesta di esenzione di cui alle indicate norme. Tale pronuncia, a parere della contribuente, non terrebbe conto della portata dell’art. 10 del regolamento comunale che escludeva l’imposizione per i rifiuti prodotti dalla ricorrente senza necessità di alcuna denuncia da parte di quest’ultima.
Il primo motivo è inammissibile.
5.1. Va premesso che come è noto, l’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6), e 369, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (tra le tante: Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass. 27 novembre 2014, n. 25216; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. 21 ottobre 2019, n. 26764; Cass. 12 luglio 2021, nn. 19820, 19824, 19826 e 19827; Cass. 22 luglio 2021, n. 20963; Cass. 27 luglio 2021, n. 21431; Cass. 30 maggio 2022, n. 17359; Cass. 10 novembre 2023, n. 31327; Cass. 29 dicembre 2023, n. 36426; Cass. 6 febbraio 2024, n. 3404; Cass. 21 maggio 2025, n. 13573). L’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., Sez. 14 settembre 2018, n. 26305; Cass. 6 settembre 2019, n. 22397; Cass. 11 maggio 2021, n. 12400; Cass. 24 luglio 2021, nn. 21457 e 21458; Cass. 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass. 10 novembre 2023, n. 31327; Cass. 29 febbraio 2024, n. 5426) né l’ omessa disanima di questioni o argomentazioni (Cass., 6 settembre
2019, n. 22397; Cass., 20 aprile 2021, n. 10285; Cass. 20 dicembre 2022, n. 37346; Cass. 10 novembre 2023, n. 31327; Cass. 29 febbraio 2024, n. 5426).
La inammissibilità della censura risulta evidente in ragione della circostanza che la ricorrente, in realtà, contesta l’interpretazione del regolamento comunale operata dai giudici di appello e non già la omessa valutazione di un dato storico decisivo.
5.2. Va, ancora, evidenziata l’irrilevanza, ai fini del decidere, del richiamo operato dalla ricorrente alla relazione, ex art. 380 bis c.p.c., resa dal relatore nel giudizio di cassazione definito ordinanza n. 18887/2016: in disparte ogni considerazione in ordine alla valenza di tale elemento di giudizio occorre, peraltro, osservare che il passaggio motivazionale della relazione indicato dalla contribuente non ha costituito oggetto di esame da parte del Collegio che ha rimesso gli atti alla CTR per l’assorbente ragione dell’erronea affermazione circa l’operatività nella fattispecie del giudicato esterno.
Il secondo motivo è fondato in quanto sussiste, in effetti, una omessa pronunzia sulla questione sanzioni specificamente posta da parte contribuente , anche con riguardo all’interpretazione del Regolamento comunale in materia ed ai presupposti del cumulo giuridico.
Va precisato che in tema di giudizio di rinvio, la riassunzione, anche ad opera di una sola delle parti, ponendo le stesse nella medesima posizione originaria, impone al giudice del rinvio di decidere la controversia sulla base delle conclusioni già formulate nelle precedenti fasi di merito (vedi Cass. 3 maggio 2024, n. 12065).
Il terzo motivo è da ritenere infondato sulla scorta delle medesime considerazioni già formulate da questa Corte con la ordinanza n. 9949/2023 pronunziata in analoga controversia in materia di TARSU afferente al medesimo centro RAGIONE_SOCIALE.
7.1. Osserva, invero, il Collegio che la CTR, nel premettere che l’oggetto del contendere riguardava l’ interpretazione dell’art. 10 del Regolamento comunale n. 19/c del 17 maggio 2022, ha testualmente affermato: « Ritiene questa Commissione che la norma su richiamata come si evince dalla compresenza nella norma della congiunzione che impone la compresenza di due situazioni di fatto, non può attagliarsi al caso di specie poiché essa deve ritenersi riferibile unicamente agli ipermercati cui sia eventualmente annesso un centro RAGIONE_SOCIALE integrato nello stesso ovvero a quelle strutture riferibili a un unico gestore con eventuali suddivisioni in reparti e non certamente a strutture costituite da operatori commerciali autonomi ancorché consorziati tra loro per la gestione spazi comuni. Circostanze queste che non emergono in alcun modo in atti (non potendosi certamente tale doppia condizione avvalorata dal mero inserimento nell’elenco dei centri commerciali di tale RAGIONE_SOCIALE Commerciali del 2010 prodotta da parte ricorrente poiché tale documento di natura comunque privatistica non comprova la sussistenza i due predetti requisiti richiesti alla disciplina citata. A tale conclusione piana si perviene anche dalla lettura successivo articolo 11 dello stesso regolamento secondo il quale sono assimilati ai rifiuti urbani (pertanto soggetti al pagamento della TARSU) tra gli altri i rifiuti derivanti da attività di vendita al dettaglio fatta eccezione per gli ipermercati con annesso centro RAGIONE_SOCIALE integrato relativi magazzini cui rifiuti restano esclusi dall’assimilazione».
7.2. Come precisato da questa Corte, nel richiamato precedente n. 9949/2023, dalla lettura dell’art. 10 cit. si evince come la mancata assimilazione opera solo in presenza di strutture commerciali caratterizzate dalla compresenza di un ipermercato -con il quale si definisce l’attività RAGIONE_SOCIALE della grande distribuzione svolta in un ambito di ampia dimensione – e da un centro RAGIONE_SOCIALE. Tale interpretazione è frutto del chiaro tenore letterale della norma che
fornisce la definizione di «strutture commerciali», identificandole in quelle composte da un ipermercato «e annesso» centro RAGIONE_SOCIALE «integrato» termini, quest’ultimi, che rendono evidente la necessaria compresenza di un ipermercato e di un centro RAGIONE_SOCIALE; del tutto differente risulta essere la fattispecie oggetto di scrutinio caratterizzata da un insieme di attività commerciali facenti parte di un unico complesso ‘centro RAGIONE_SOCIALE‘, come ricostruito dai giudici territoriali.
7.3. Occorre evidenziare, del resto, che la società odierna ricorrente non tiene conto dell’orientamento di questa RAGIONE_SOCIALE secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di regolamenti comunali, è necessario che siano dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, in quanto l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, in quanto l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce un accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito (vedi Cass. 24 gennaio 2022, n. 1951; Cass. 23/01/2014 n. 1391 nonché Cass. nn. 1893/2009; n. 18661/2006 e 3015/2006).
Ne deriva che non appare ravvisabile nella specie un vizio denunziabile quale violazione di legge ex art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. in quanto la parte si limita a prospettare, genericamente e, peraltro, del tutto infondatamente, la necessità di una diversa interpretazione della detta disposizione regolamentare.
7.4. Deve, quindi, rilevarsi che la CTR, diversamente da quanto ritenuto dalla ricorrente, non ha applicato alla fattispecie in esame
l’art. 11 del Regolamento comunale n. 22 del 30.3.1995, essendosi limitata a richiamare tale norma come dedotta in sede di appello dal Comune di Messina (cfr. pag. 4 della sentenza) ed avendo, al contrario, richiamato l’art. 11 del nuovo regolamento (cfr. pag. 5 della sentenza).
7.5. La società contribuente, poi, con il proposto motivo, laddove afferma: ‘Il Comune di Messina in forza della stessa disposizione sopra richiamata ha espressamente escluso le aree adibite a centro RAGIONE_SOCIALE dalla tassazione. Per dette aree il Comune non ha mai istituito né svolto alcuna attività e/o servizio di raccolta: dato questo emergente dagli atti di causa e mai oggetto di contestazione’ pone, una questione di puro fatto (relativa alla mancata attivazione del servizio di raccolta rifiuti), che, peraltro, non risulta in alcun modo dimostrata, a nulla rilevando il generico riferimento ad una asserita ‘non contestazione’.
Anche il quarto motivo non coglie nel segno.
8.1. A prescindere dalla considerazione che la parte, del tutto infondatamente, si duole della mancata l’applicazione al caso in esame dell’art. 10 citato disposizione condivisibilmente ritenuta non applicabile dalla CTR alla fattispecie in esame -e che la censura ruota sostanzialmente sulla mancata applicazione di tale disposizione regolamentare, va osservato che, pacifica nel caso in esame l’omessa presentazione della denunzia, secondo quanto desumibile dal dettato di cui all’art. 63 commi 2 e 3 d.lgs. 507/1993, in generale tanto le deroghe alla tassazione, quanto le riduzioni delle superfici e tariffarie, non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia originaria o in quella di variazione (cfr., tra le tante, Cass., 7 luglio 2022, n. 21490, che richiama Cass., 13 agosto 2004, n. 15867, cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915; v., altresì, Cass., 23 febbraio
2018, n. 4602; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235; nonché Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741, cit. ed anche Cass., Sez. T., 13 febbraio 2023 n. 4397 e Cass. 20 febbraio 2023, n. 5293 ed i riferimenti giurisprudenziali ivi contenuti).
8.2. Ne discende che correttamente i giudici di appello hanno ritenuto, in ogni caso, decisiva la mancata presentazione di apposita istanza da parte della contribuente.
In conclusione accolto il secondo motivo, disattesi il primo, il terzo ed il quarto, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, affinché, determini l ‘esatto importo dovuto dalla contribuente a titolo di sanzioni ed anche per la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data 10 settembre 2025 .
Il Presidente NOME COGNOME