Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21189 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 21189 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CANDIA COGNOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
imponibile dei rifiuti solidi urbani producibili nei locali ed aree interessate, a seconda del tipo di uso a cui gli stessi sono destinati ed al costo di smaltimento, l’andamento stagionale dell’attività di tipo turistico alberghiero nel Comune è irrilevante nel procedimento di formazione della tariffa, avendo optato l’amministrazione comunale per il parametro base della produttività o attitudine a produrre rifiuti» (v. pagina n. 6 del ricorso).
Con la terza doglianza l’istante ha lamentato, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., l’errore su di un punto decisivo della controversia e la violazione o falsa applicazione del regolamento RAGIONE_SOCIALE (approvato con delibera del Consiglio comunale n. 93 del 30 settembre 2013), ponendo in rilievo che il Comune non ha previsto alcuna riduzione per l’esercizio stagionale dell’attività turistico -alberghiera.
Con la quarta ragione di contestazione il Comune ha dedotto, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., l’errore su di un punto decisivo della controversia e l’ulteriore violazione o falsa applicazione degli artt. 14, commi 3 e 29, d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, assumendo che, diversamente da quanto ritenuto dal Giudice regionale, la disciplina della RAGIONE_SOCIALE, che ha natura tributaria, consente ai comuni di prevedere nel regolamento l’applicazione di una tariffa avente carattere corrispettivo in luogo del tributo sulla base di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti prodotti e conferiti al servizio pubblico, ma, laddove ciò non sia previsto nella normativa secondaria -come nella specie – vige l’istituzione di un’apposita tassa annuale su base tariffaria, che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti.
Il ricorrente ha, quindi, aggiunto che le condizioni obiettive che impediscono la produzione dei rifiuti, come disciplinati dalla legge istitutiva RAGIONE_SOCIALE, sono previste dalla legge e tra di essi non compare l’inutilizzabilità del bene per alcuni mesi dell’anno, per cui la mancata utilizzazione del servizio di gestione dei rifiuti urbani e assimilati o
l’interruzione temporanea dello stesso non comporta esonero o riduzione del tributo, segnalando, infine, che altra essenziale caratteristica della RAGIONE_SOCIALE è quella di assicurare con il proprio gettito la copertura integrale del costo del servizio di smaltimento dei rifiuti.
Il ricorso va accolto, subito archiviando l’eccezione di inammissibilità dello stesso per difetto di specificità dei motivi avanzata dalla controricorrente, dovendo -di contro -osservarsi che le censure rappresentano compiutamente le ragioni della contestazione, indicando le norme di legge che si assumono violate o falsamente applicate (il cui testo non occorre sia riportato nel ricorso), ponendo a base della critica alla sentenza impugnata l’essenziale e – per quanto si dirà – dirimente considerazione secondo la quale la riduzione della tariffa per stagionalità dell’attività integra l’esercizio di un facoltà discrezionale del Comune, nella specie non esercitata dall’ente territoriale, avendo il Comune optato per il diverso criterio della produttività, vale a dire della capacità a produrre rifiuti.
L’esame dei motivi del ricorso va operato unitariamente in quanto pongono questioni giuridiche, che risultano connesse.
Il nucleo concettuale essenziale delle sopra illustrate doglianze riposa -come detto -sulla natura del tutto discrezionale della riduzione tariffaria della Tarsu per l’attività stagionale esercitata dalla contribuente, come tale non esigibile tout court , meno che mai attraverso la disapplicazione del regolamento comunale che non la prevede, come è pacifico nel caso in esame.
Detta censura risulta fondata, dovendo darsi seguito ai sottoindicati principi, applicati in tema di Tarsu e Tari, ma esportabili anche alla RAGIONE_SOCIALE, la cui disciplina si pone, sui temi trattati, in continuità normativa con i precedenti (Tarsu- Tia) e successivi (Tari) analoghi tributi (cfr., al riguardo, tra le tante, Cass., Sez. T., 9 luglio 2024, n. 18689).
6.1. La previsione dell’art. 66, comma 3, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, che consente ai comuni di stabilire riduzioni tariffarie per le occupazioni di beni, aventi carattere non continuativo nel corso dell’anno
è, infatti, disposizione derogatoria, la cui regolamentazione resta affidata all’esercizio di una facoltà dell’ente locale (cfr. Cass., Sez. T., 28 luglio 2009, n. 17524).
6.2. Come chiarito da questa Corte, «con la ordinanza n. 31748/2018 la Corte ha avuto occasione di osservare che “Il comma 3 dell’art. 66 del d.lgs. 507/93 prevede che “la tariffa unitaria può essere ridotta di un importo non superiore ad un terzo nel caso di … c) locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente, risultante da licenza o autorizzazione rilasciata dai competenti organi per l’esercizio dell’attività”, e così – con il termine “può”- rimette alla scelta del Comune e, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, subordina alla determinazione dell’ente, l’applicazione per le attività stagionali della riduzione tariffaria (in questo senso la Corte si è già pronunciata più volte; v., tra altre, la sentenza n. 17524 del 28/07/2009 e la sentenza n. 10361 del 07/05/2007)” (Così Cass. Sez. T. 24 agosto 2022, n. 25229).
6.3. Nel medesimo senso si è ribadito che « La riduzione di imposta dovuta alla stagionalità dell’attività è, poi, rimessa alla discrezionalità dell’ente territoriale (Cass. n. 25214 del 2016 Rv. 642030 – 01)» e si è aggiunto che «La differenziazione della tariffa degli esercizi alberghieri da quella delle civili abitazioni, operata dai Comuni è stata, poi, considerata legittima da questa Corte anche alla luce della conformità al principio unionale “chi inquina paga”, espresso dall’art. 15 della direttiva 2006/12/CE e dall’art. 14 della direttiva 2008/98/CE, che, nell’osservanza del principio di proporzionalità, consentono al diritto nazionale di differenziare il calcolo della tassa di smaltimento per categorie di utenti ( ex plurimis , Cass. n. 15041 del 2017)» (così Cass., Sez. T., 16 gennaio 2023, n. 1003, ai cui più ampi contenuti si rinvia; nello stesso senso, Cass., Sez. V, 17 gennaio 2022, n. 1213, Cass., Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 533, che richiamano anche Cass., Sez. V, 27 febbraio 2020, n. 5355).
6.4. Nello specifico questa Corte ha affermato che:
«in tema di TARSU, la disciplina contenuta nel D.Lgs.15 novembre 1993, n. 507 sulla individuazione dei presupposti della tassa e sui criteri
per la sua quantificazione non contrasta con il principio comunitario “chi inquina paga”, sia perché è consentita la quantificazione del costo di smaltimento sulla base della superficie dell’immobile posseduto, sia perché la detta disciplina non fa applicazione di regimi presuntivi che non consentano un’ampia prova contraria, ma contiene previsioni (v. art. 65 e 66) che commisurano la tassa ad una serie di presupposti variabili o a particolari condizioni”. Tali pronunce hanno preso in esame, ritenendoli dirimenti in ordine all’esclusione della violazione del principio in esame, le sentenze CGUE 24.6.08 in causa C-188/07 e 16.7.09 in causa C-254/08 (quest’ultima, avente ad oggetto un rinvio pregiudiziale in una causa pendente dinanzi al TAR Campania, nella quale veniva contestata proprio la legittimità, per affermato contrasto con l’art. 15 della direttiva 2006/12/CE, della disciplina legislativa sulla TARSU, nonché di norme di un regolamento comunale in base alle quali le imprese alberghiere sarebbero state tenute al versamento della tassa sui rifiuti in misura superiore ai privati) Nella valutazione di conformità della disciplina nazionale al principio evincibile dall’art.15 lett. a ), della direttiva 2006/12 (già desumibile dall’art. 11 della direttiva 75/442), la CGUE ha affermato che: “è spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun detentore; – in tali circostanze, ricorrere a criteri basati sulla capacità produttiva dei detentori, calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano, nonché della loro destinazione e/o sulla natura dei rifiuti prodotti può consentire di calcolare i costi dello smaltimento e ripartirli tra i vari detentori; – sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo effettivamente prodotto non può essere considerata in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12; nella materia, le autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda le modalità di calcolo della tassa; – per quanto riguarda la differenziazione tra categorie di detentori, la stessa deve ritenersi ammessa, purché non venga fatto carico ad alcuni di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili”. Sicché, in definitiva, “il metodo di calcolo basato sulla superficie di immobile posseduto non è, di per sé, contrario al principio
“chi inquina paga” recepito dall’art. 11 della direttiva 75/442» (Cass., Sez. 5 n. 28676 del 2018; n. 2202 del 2011) (cfr. Cass., Sez. V, 17 gennaio 2022, n. 1213, Cass., Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 533).
6.5. Va, infine, osservato che « il potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto, che spetta al giudice tributario, può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere)» e che «la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria (Cass. n. 7044 del 2014)» (così Cass., Sez. T., 16 gennaio 2023, n. 1003 e, nello stesso senso, Cass., Sez. V, 17 gennaio 2022, n. 1213, Cass., Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 533, che richiamano anche Cass., Sez. V, 27 febbraio 2020, n. 5355).
6.6. Per tale via, erroneamente il Giudice regionale ha proceduto, più che a disapplicare un’inesistente disposizione regolamentare, ad applicare una tariffa ridotta per le attività alberghiere stagionali priva di fonte normativa (primaria e secondaria) ed in base ad un inammissibile criterio equitativo di natura sostitutiva della prerogativa dell’ente, così soprapponendosi, in termini non consentiti, alla scelta discrezionale dell’amministrazione.
Alla stregua di tali ragioni il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata. Non essendo, poi, necessari accertamenti in fatto, la causa va anche decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., rigettando l’originario ricorso della contribuente.
Le spese del giudizio di merito si compensano, mentre quelle del presente grado si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso principale, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del Comune di Castiglione della Pescaia, che liquida nella somma di 5.000,00 € per competenze e 200,00 € per spese vive, oltre accessori.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2024.