Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2146 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 2146 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/01/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 2107/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE che lo rappresenta e difende dell’avvocato COGNOME NOME
(CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. del VENETO n. 753/2021 depositata il 08/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
Udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale che ha concluso per l’ accoglimento del ricorso; Uditi i difensori delle parti presenti.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 753/8/2021, depositata in data 8 giugno 2021 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ – che aveva originariamente impugnato l’avviso di pagamento n. 700006349929 nonché il sollecito di pagamento n. 700689838, emessi dalla società RAGIONE_SOCIALE, aventi ad oggetto la TARI per l’anno 2018 – riduceva del 40% la tariffa relativa al 3° trimestre 2018 e confermava, per il resto, la decisione di primo grado in forza della quale era stata integralmente rigettata l ‘ impugnazione proposta dal contribuente.
1.1. Ad avviso dei giudici di appello, secondo quanto testualmente affermato in sentenza, non poteva non rilevarsi: ‘ come la situazione illustrata dal contribuente, relativamente alle aree e alla loro diversa utilizzazione, abbia necessità di essere valutata con più attenzione dalla ditta RAGIONE_SOCIALE la quale (…) non può limitarsi a porre in opera un cassonetto a 350 m di distanza. (…) Dette caratteristiche, fermo restando che comunque la tassa è dovuta, richiederebbero una maggiore attenzione e più puntuali misure operative, la cui carenza giustifica ai sensi dell’art. 59 comma 4, come sopra citato, la riduzione del 40% della tariffa ‘.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, basato su sette motivi, la RAGIONE_SOCIALE, cui resiste con controricorso la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ la quale ha, anche, depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la società ricorrente denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza o del procedimento per violazione dell’art. 57, comma 1, e dell’art. 24 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
Assume che il contribuente, nel giudizio di secondo grado, aveva introdotto una domanda nuova in quanto solo con l’ atto di appello aveva chiesto la riduzione di cui all’art. 1, comma 656, della L. n. 147 del 2013 nonchè la riduzione della tariffa del 40% in ragione del fatto che i cassonetti più vicini si trovavano oltre 350 metri dalla sua proprietà.
Con il secondo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. violazione dell’ art. 58, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 54 assumendo che il contribuente, per la prima volta in appello, oltre a formulare domande nuove, aveva allegato documenti non prodotti in primo grado senza alcun legittimo motivo, documenti irritualmente acquisiti e valutati dai giudici territoriali.
Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 59, comma 4, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 e dell’art. 1, comma 639, della l. 27 dicembre 2013 n. 147; inammissibilità e/o improcedibilità della domanda di riduzione per non essere mai stata presentata la relativa richiesta in sede amministrativa né in fase di ricorso-reclamo.
Assume che risultava evidente la non corretta applicazione dell’art. 59, comma 4, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 in ragione della mancanza di formale richiesta di riduzione, quanto meno in sede di reclamo.
Con il quarto motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 59, quarto comma del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 in ragione della mancanza di ‘ gravi difformità nella prestazione del servizio ‘.
Rileva che la Commissione Regionale Territoriale, nell’ osservare che le valutazioni di RAGIONE_SOCIALE relative all’obbligatorietà del pagamento non davano conto delle misure adottate nella riorganizzazione del servizio in rapporto alle caratteristiche proprie dei luoghi in questione, caratteristiche, che avrebbero richiesto una maggiore attenzione e più puntuali misure operative, la cui carenza a suo dire giustificava, ai sensi dell’art. 59 c itato, la riduzione del 40% della tariffa, non aveva fatto corretta applicazione della disposizione in esame.
Osserva che a giustificare la riduzione non era né la mera carenza di ‘attenzione’ da parte dell’ e nte né la mancanza di ‘più puntuali misure operative’ ma piuttosto la puntuale allegazione da parte del contribuente di una ‘grave violazione delle prescrizioni’ avuto riguardo: allo specifico periodo in contestazione; alla specifica zona di ubicazione dell’immobile ed ad ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della riduzione richiesta, allegazione che nel caso in esame era rimasta del tutto carente, non essendo stato riferito nulla in merito a violazioni gravi rispetto alle prescrizioni relative allo svolgimento del servizio.
Con il quinto motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 59, quarto comma del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 in ragione della circostanza che i fatti allegati non costituivano grave difformità ed, in ogni caso, tale valutazione avrebbe dovuto essere effettuata ai sensi della nuova disciplina di cui all’art. 1, co mmi 639 e 656, della l. n. 147 del 2013.
La ricorrente assume che le conclusioni cui erano pervenuti i giudici di appello non tenevano conto dell’esatto tenore dell’art. 59, quarto
comma, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, peraltro relativa alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti né del fatto che il caso in esame ricadeva sotto la disciplina di cui all’art. 1, co mmi 639 e 656, della legge n. 147 del 2013.
6. Con il sesto motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 59, quarto comma, d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507 sotto l’ ulteriore profilo relativo alla mancata verifica circa la sussistenza di ‘condizioni obiettive di ‘non utilizzabilità ‘ ‘.
Osserva che i giudici di appello non avevano considerato che sarebbe spettato al contribuente dimostrare la sussistenza di ‘condizioni obiettive di ‘non utilizzabilità’ né tenuto conto di una serie di fatti pacifici e non contestati quali: l’occupazione o la detenzione di locali; la produzione di rifiuti in relazione allo specifico uso; l’assenza di denunziata dell’esistenza di condizioni obiettive di “non utilizzabilità ‘, risultando palese la violazione e/o falsa applicazione, oltre che della disciplina di cui all’art. 1, comm i 639 e ss., della legge n. 147 del 2013, anche della norma richiamata in sentenza, vale a dire l’art. 59, quarto comma, del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507.
Con il settimo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., mancanza di ‘ grave difformità ‘ dalle previsioni legislative e regolamentari disciplinanti l’erogazione del servizio di raccolta rifiuti e mancata verifica circa la sussistenza di ‘condizioni obiettive di ‘non utilizzabilità’ e ciò sia sotto il profilo dell’errata ripar tizione dell’onere della prova, sia sotto il pr ofilo della mancata considerazione di fatti decisivi del giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Assume che la Commissione Tributaria Regionale aveva omesso di rilevare che era pacifico tra le parti: che il servizio era stato istituito nella zona già prima del 2018; che nella zona il servizio era prestato già prima del 2018; che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai mosso alcuna doglianza né aveva mai formalmente contestato un qualche
disservizio o non adeguatezza dello stesso; che la RAGIONE_SOCIALE produceva rifiuti già prima del 2018 e che difettava la prova -che gravava, comunque, esclusivamente sul contribuente – che seppur istituito ed attivato tale servizio non fosse effettivamente svolto nella zona ovvero era stato svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta.
Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni appresso specificate.
Prima di procedere all’ esame dei singoli motivi di ricorso appaiono opportune alcune considerazioni di ordine generale.
9.1. Il regime fiscale dei rifiuti, a partire dalla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), prevista dal d.lgs. n. 507 del 1993, ha subito nel tempo numerose modifiche legislative, in quanto la TARSU è stata sostituita dalla TIA 1 (tariffa di igiene ambientale), introdotta dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 (Decreto Ronchi), e la TIA 1, a sua volta, dalla TIA 2 (tariffa integrata ambientale), di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 (Codice dell’Ambiente); la TIA 2 è stata sostituita dal TARES (tributo comunale sui servizi), previsto dall’art. 14 del d.l. n. 201 del 2011, convertito dalla I. n. 214 del 2011, ed il TARES è stato sostituito dalla TARI (tassa sui rifiuti), istituita dalla legge n. 147 del 2013, art. 1, commi 639 e seguenti, a decorrere dal 10 gennaio 2014. Con l’art. 1, commi 639 e segg., della legge di stabilità del 2014 è stata introdotta l’imposta unica comunale (la c.d. i.u.c.), una sorta di service tax comprensiva delle tre distinte forme di prelievo comunale dell’ IMU (Imposta municipale unica), di natura patrimoniale, della TASI (Imposta comunale sui servizi indivisibili) e della TARI (Imposta comunale sui rifiuti), a sua volta fondata sui due presupposti impositivi del possesso di immobili, collegato alla loro natura e al loro valore, e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali.
9.2. La TARI, in particolare, è stata destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è disciplinata dai
commi da 641 a 668 art. 1 leg. cit., che individuano i presupposti della stessa (comma 641) e i criteri di determinazione della tariffa, come stabiliti dal d.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (commi 650 e 651), sulla base dei principi contenuti nei commi 252 e 254 del “chi inquina paga”, di cui alla Direttiva 2008/98/CEE (art. 14).
La TARI ha sostituito, dunque, a decorrere dal 10 gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria. Questa Corte ha costantemente affermato che alla TARI sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (vedi in Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019).
9.3. In materia si è ormai consolidato un orientamento interpretativo costante secondo cui “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sulla base degli artt. 62 e 64 del d.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti. Tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purché il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente (Vedi Cass. n. 18022 del 2013; n. 14541 del 2015; n. 1963 e n. 11451 del 2018; n. 26183 del 2019). Si è, così, chiarito che, in generale, la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di
soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti, e che pertanto l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta – sebbene istituito ed attivato – nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la conseguenza che il tributo è dovuto ma in misura ridotta. Va, pertanto, ribadito che tale tassa, e quindi anche la TARI, è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un servizio nei confronti della collettività che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, per cui “sarebbe (…) contrario al sistema di determinazione del tributo pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità che del resto, per loro natura, oltre ad essere di difficile identificazione mal si prestano a una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione ‘.
Dal momento che i criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti non sono collegati al concreto utilizzo bensì ad una fruizione potenziale desunta da indici meramente presuntivi, quali l’occupazione e detenzione di locali ed aree, che tengono conto della quantità e qualità che, ordinariamente, in essi possono essere prodotti, il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità di tale criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, riduzioni che a loro volta si distinguono in obbligatorie, i cui presupposti sono già fissati dalla legge, e facoltative, spettanti solo se previste dal regolamento comunale e secondo le modalità ivi determinate.
9.4. Occorre osservare, dunque, che ai sensi dell’art. 1, comma 641, della legge n. 147 del 2013, la TARI è dovuta, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti;
sono poi previste dai commi successivi deroghe, riduzioni di tariffe ed agevolazioni che operano in base a diversi presupposti di fatto e di diritto, di cui è onere del contribuente dedurre e provare la relativa sussistenza per vincere la presunzione di produttività di rifiuti posta dal suindicato comma 641.
Anche la TARI, come la TARSU, è quindi caratterizzata da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una preminente impronta pubblicistica; i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. (vedi anche Corte cost. n. 238 del 2009 in tema di TARSU).
9.5. Vanno, quindi, richiamati in relazione alle specifiche tematiche prospettate dalle parti i condivisibili principi di diritto affermati da questa Corte (vedi, per tutte, Cass. n. 17734/2020), cui va data continuità, secondo cui: –
la riduzione tecnica tariffaria prevista, fino al 40%, dall’art. 1, comma 657, l. n. 147 del 2013, spetta per il solo fatto che il servizio di raccolta di rifiuti, pur debitamente istituito e attivato nel perimetro comunale, non venga, poi, concretamente svolto in una determinata zona municipale, purché abbia una significativa estensione per cui sia ragionevole configurare un omesso servizio tanto da richiedere
interventi sostitutivi e tale zona (indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata che di regola non rileva a fini impositivi) non coincide con le usuali estensioni dei parchi residenziali o dei condomini privati, ove la contenuta distanza dal punto di raccolta più vicino arreca al più una mera difficoltà di accesso al servizio;
l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta (sebbene istituito ed attivato) nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la sua riduzione entro i limiti di legge in quanto i criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti non sono collegati al concreto utilizzo, bensì ad una fruizione potenziale desunta da indici meramente presuntivi, quali l’occupazione e detenzione di locali ed aree, che tengono conto della quantità e qualità che, ordinariamente, in essi possono essere prodotti ed il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità di tale criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, riduzioni che a loro volta si distinguono in obbligatorie, i cui presupposti sono già fissati dalla legge, e facoltative, spettanti solo se previste dal regolamento comunale e secondo le modalità ivi determinate;
incombendo, comunque, sul contribuente l’onere di allegare, dedurre e provare la sussistenza dei presupposti per beneficiare di una maggiore riduzione, sarà, poi, compito del giudice di merito graduare ulteriormente la percentuale di riduzione applicabile, tenendo conto di circostanze di fatto quali l’ubicazione dei locali o aree oggetto di tassazione all’interno della zona e la loro distanza dal più vicino punto di raccolta;
in assenza di una richiesta specifica in tal senso o di una prova specifica dei presupposti per applicare la ulteriore graduazione, resta fermo che la riduzione dovrà essere applicata nella misura prevista dalla norma, e che, quindi, la TARI sarà dovuta in misura pari al 40% della tariffa intera applicabile;
risultando, quindi, evidente che le riduzioni non sono collegate alla peculiarità di situazioni soggettive le stesse vanno riconosciute senza la necessità di una specifica e preventiva domanda che contenga l’indicazione delle condizioni per fruirne, incombendo sul contribuente il solo onere di provarne i presupposti normativi.
9.6. Deve sicuramente essere estesa alla TARI l’interpretazione, già fatta propria dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riduzioni Tarsu, secondo cui «Il diritto alla riduzione presuppone l’accertamento specifico (mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell’immobile sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della richiesta riduzione) della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità dalle previsioni legislative e regolamentari, il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione, il quale deve dimostrare il presupposto della riduzione della Tarsu ai sensi del d.lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4; che consiste nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato: – non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione o di esercizio dell’attività dell’utente; – ovvero, vi sia svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio stesso…..» (cfr. Cass. n. 3265 e n. 22767 del 2019 nonché da ultimo 9916/2023 e 4564/2023).
9.7. Tale orientamento si pone in linea con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato (Cass. n.n. 4766 e 17703
del 2004, 1759 del 2009, 775 del 2011, 1635 del 2015, 10787 del 2016, 21250 del 2017 e 13395 del 2018).
9.8. In materia di riduzioni TARI rilevano, pervero, i commi 656 e 657 dell’art. 1 della legge citata, che costituiscono una migliore specificazione delle riduzioni di tariffa già previste per la TARSU dall’art. 59 del d.lgs. n. 507 del 1993, rispettivamente ai commi sesto e quarto. Ai sensi del citato comma 656: “La TARI è dovuta nella misura massima del 20 per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonché di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall’autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente.” Ai sensi del successivo comma 657: “Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, la TARI è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.”
9.9. In entrambi i casi siamo in presenza di riduzioni c.d. tecniche, chiamate a regolare situazioni in cui si realizza una contrazione del servizio, e quindi dei costi per il suo espletamento, per motivi oggettivi ed a favore di una pluralità indistinta e generalizzata di utenti, i cui presupposti operativi sono dettagliatamente disciplinati dalla legge. La previsione normativa precisa ed incondizionata sia delle condizioni di operatività che di una misura massima della tariffa applicabile, rispettivamente 20% e 40%, graduabile in ribasso, consente di affermare che tali riduzioni siano obbligatorie e che, al verificarsi delle indicate situazioni oggettive che vanno ad incidere sul presupposto impositivo, spettino ope legis , a prescindere cioè da una loro previsione nel regolamento comunale, come si evince del resto dall’utilizzo dell’espressione “la TARI è dovuta”.
9.10. Per gli stessi motivi, non essendo collegate alla peculiarità di situazioni soggettive, le stesse vanno riconosciute senza la necessità di una specifica e preventiva domanda che contenga l’indicazione delle condizioni per fruirne, incombendo sul contribuente il solo onere di provarne i presupposti normativi.
Differente è il regime il regime delle riduzioni o esenzioni di natura agevolativa, previste dai commi 659 e 660 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, le quali, innanzitutto, sono meramente eventuali, e quindi subordinate ad una esplicita previsione del regolamento comunale che ne condiziona l’ an , la disciplina di dettaglio ed il quantum , tutti elementi non predeterminati dalla legge che, appunto, ne prevede l’introduzione come possibile ma non dovuta.
Inoltre, operando in conseguenza di specifiche condizioni non altrimenti conoscibili dall’ente, in quanto collegate alle posizioni peculiari dei singoli utenti che si vengono a trovare nella situazione per poterne fruire, il riconoscimento del diritto a tali agevolazioni, oltre che ai medesimi oneri probatori delle precedenti, è subordinato alla ulteriore condizione della presentazione di una preventiva domanda del contribuente, corredata naturalmente della documentazione necessaria per giustificarne l’attribuzione.
Muovendo da tali principi ermeneutici le censure formulate dalla società ricorrente appaiono prive di fondamento alcuno.
Osserva, innanzitutto, questo Collegio che, come peraltro evidenziato dai giudici di appello, non può revocarsi in dubbio che la domanda di riduzione del tributo ( rectius eccezione modificativa della pretesa tributaria), rispetto alla originaria istanza di annullamento (totale o parziale) dell’ intero atto, att iene alla medesima vicenda processuale tra le stesse parti, e, tramite la richiesta di riduzione, la parte mira alla realizzazione, sia pure solo in parte, dell’utilità perseguita con la originaria domanda volta alla caducazione totale o parziale dell’ atto impositivo, sicchè non può certamente parlarsi di ‘domanda nuova’ , intesa, appunto, quale ‘eccezione nuova’ .
11.1. Deve, pervero, considerarsi, che nella specie ci si trova in presenza di c.d. riduzioni tecniche che spettano ope legis in ragione del solo fatto che il servizio di raccolta di rifiuti, pur debitamente istituito e attivato nel perimetro comunale, non venga, poi, concretamente svolto in una determinata zona municipale, incombendo sul contribuente il solo onere di provarne i presupposti normativi e che, come desumibile dagli atti (vedi ricorso in primo grado prodotto da parte resistente), la questione relativa al diritto alla riduzione in ragione della distanza dei cassonetti era già stata sollevata, sia pure in via subordinata, in primo grado (ove è stato testualmente specificato: ‘ Non solo ma non esiste nemmeno un cassonetto per i rifiuti all’ interno del cantiere …. per tale servizio il cantiere possiede un registro dei rifiuti con tutti i servizi e inventario rifiuti della Fiorese Chioggia alla quale corrisponde gli importi dovuti in base a rifiuti. In altre parole la RAGIONE_SOCIALE non fornisce nessun servizio alla ricorrente ‘) , e solo, ulteriormente precisata e specificata con l’ atto di appello. Invero risulta pacifico che è consentito, in appello, proporre nuove argomentazioni difensive (ma non nuove eccezioni in senso tecnico), tendenti ad inficiare la sentenza di primo grado sotto un profilo logico, comunque, connesso a quello esposto in primo grado.
11.2. Del resto la parte non ha dedotto in appello un nuovo motivo di illegittimità dell’atto impugnato ovvero una nuova eccezione modificativa della pretesa, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione ed alterando l’oggetto sostanziale della impugnazione della pretesa impositiva ed i termini della controversia, in quanto la questione relativa alla distanza del più vicino punto di raccolta era stata, comunque, prospettata in fatto già in primo grado.
11.3. Deve, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto: « In materia di TARI le c.d. riduzioni tecniche, chiamate a regolare situazioni in cui si realizza una contrazione del servizio e, quindi, dei
costi per il suo espletamento, per motivi oggettivi ed a favore di una pluralità indistinta e generalizzata di utenti, spettano ope legis a prescindere cioè da una loro previsione nel regolamento comunale e senza la necessità di una specifica e preventiva eccezione che contenga in modo analitico e dettagliato l’indicazione delle condizioni per fruirne, incombendo, comunque, sul contribuente il solo onere di indicare, nell’ originario atto di impugnazione, sia pure in termini ampi, ulteriormente suscettibili di specificazione nel corso del giudizio di merito, gli elementi fattuali da cui evincere il diritto alla chiesta riduzione ».
Anche il secondo motivo è privo di pregio.
Va rilevato che i giudici di appello legittimamente hanno valutato ai fini che occupano la documentazione prodotta dall’ appellante in secondo grado, produzione ritenuta rituale ed ammissibile in applicazione del principio, pacifico in giurisprudenza, per cui nel processo tributario, ai sensi dell’art. 58, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, la parte può produrre in appello prove documentali, anche se preesistenti al giudizio di primo grado (vedi, ex plurimis , Sez. 5 – , Ordinanza n. 17921 del 23/06/2021).
Appaiono, infine, prive di fondamento le censure formulate con il terzo, quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso, motivi da esaminare congiuntamente in quanto attengono a profili comuni e sono fra loro connessi.
13.1. Deve, in primo luogo, ribadirsi che trattandosi di riduzione c.d. tecnica non occorreva alcuna preventiva richiesta da parte del contribuente, con conseguente infondatezza del terzo motivo di ricorso.
13.2. Quanto alla specifica riduzione del 40% di cui al citato comma 657, riconosciuta dai giudici di appello, ritiene il Collegio che la stessa, come detto, spetti per il solo fatto che il servizio di raccolta, pur debitamente istituito e attivato nel perimetro comunale, non venga, poi, concretamente svolto in una determinata zona del
territorio comunale, purché tale zona sia di significativa estensione. Per zona, infatti, non può che intendersi un ambito territoriale ove sia ragionevole configurare un omesso servizio, un’area, quindi, di considerevole estensione che, in mancanza di espresse indicazioni del regolamento comunale, sarà compito del giudice di merito individuare, ponendone come elemento costitutivo e qualificante che la stessa abbia dimensioni tali per cui l’assenza di raccolta renda impossibile la fruizione del servizio tanto da richiedere interventi sostitutivi; zona che, pertanto, non potrà coincidere con le usuali estensioni dei parchi residenziali o dei condomini privati, ove la contenuta distanza dal punto di raccolta più vicino arreca al più una mera difficoltà di accesso al servizio.
Non rileva, invece, che tale zona sia pubblica o privata, non essendo la natura pubblica della zona su cui insistono i locali o le aree soggette a tassazione un presupposto costitutivo dell’istituzione del servizio, salvo che eventuali limitazioni di accesso non ne impediscano di fatto l’espletamento; irrilevante anche la sussistenza di una ipotesi di inadempimento contrattuale o extracontrattuale, e quindi di un elemento soggettivo ( di colpa contrattuale o extracontrattuale) che renda la mancata erogazione soggettivamente imputabile all’amministrazione comunale. La riduzione tariffaria non opera, infatti, quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, né quale sanzione per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di temperare l’imposizione, entro la percentuale massima già individuata dalla norma, equilibrando l’ammontare della tassa comunque pretendibile, che nella misura ordinaria tiene conto dei costi generali del servizio completo svolto nell’area municipale, con i costi che il cittadino è tenuto presumibilmente a sostenere per far fronte alla mancata raccolta, laddove il Comune non assicuri in un ambito territoriale della zona perimetrata l’intero ciclo di smaltimento, ma lo garantisca solo in parte. Il legislatore, nella sua
insindacabile, e nella specie ragionevole, discrezionalità, ha ritenuto dunque che nelle aree del territorio comunale ove, a prescindere dalle ragioni, il servizio di raccolta non venga effettuato il tributo possa essere preteso nella misura massima del 40% della tariffa ordinaria.
La norma prevede, poi, che la percentuale di riduzione venga graduata in misura della distanza dal punto di raccolta più vicino, presupponendo, quindi, che il servizio venga svolto, ma non nella zona ove è allocato il bene oggetto di imposizione, e adeguando la riduzione al peso economico della carenza, parametrato in termini chilometrici.
Anche in tal caso, in mancanza di esplicite indicazioni del regolamento comunale, sarà compito del giudice di merito, incombendo comunque sul contribuente l’onere di allegare, dedurre e provare la sussistenza dei presupposti per beneficiare di una maggiore riduzione, graduare ulteriormente la percentuale di riduzione applicabile, tenendo conto di circostanze di fatto quali l’ubicazione dei locali o aree oggetto di tassazione all’interno della zona e la loro distanza dal più vicino punto di raccolta; in assenza di una richiesta specifica in tal senso o di una prova specifica dei presupposti per applicare la ulteriore graduazione, resta fermo che la riduzione dovrà essere applicata nella misura prevista dalla norma, e che quindi la TARI sarà dovuta in misura pari al 40% della tariffa intera applicabile.
Riduzione ulteriore al 20%, e mai esonero totale, è prevista, invece, dal comma 656 nei casi in cui il servizio non venga svolto del tutto o venga svolto in una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare, o venga temporaneamente sospeso per motivi sindacali ovvero per imprevedibili impedimenti organizzativi.
13.3. Va, invero, rilevato che la Commissione Tributaria Regionale, nel ritenere applicabile la riduzione dell’ imposta dovuta nella misura
del 40% del totale, dopo avere accertato, in fatto, la distanza dell’ immobile del controricorrente dal più vicino punto di raccolta di 350 metri, ha effettuato una corretta applicazione dei principi sopra citati in relazione alla normativa applicabile al caso de quo , ritenendo che le modalità di espletamento del servizio, per come emergevano dalle complessive allegazioni in atti, determinavano in concreto l’impossibilità per la azienda del controricorrente di fruire di un servizio di raccolta sino alla prossimità della struttura.
Il mancato pieno svolgimento in fatto del servizio di raccolta, nell’irrilevanza delle ragioni da cui è stato determinato, correttamente va sussunto nella fattispecie astratta di cui al comma 657 dell’art. 1 della legge n. 147 del 2013, e dà certamente diritto ad una riduzione in misura non superiore al 40%.
13.4. Non può, infine, sottacersi che, per di più, la censura di error iuris formulata con i detti motivi, viene svolta con allegazione di dati probatori che (in tesi) smentirebbero i presupposti giustificativi della riduzione di tariffa riconosciuta, con la conseguenza che la denuncia di violazione di legge finisce per riproporre la quaestio facti che involge la concludenza, ed affidabilità, delle fonti di prova al giudizio offerte; prospettazione, questa, che risulta in questa sede inammissibile in quanto tende ad un non consentito riesame degli accertamenti in fatto svolti dal giudice del gravame, riesame sollecitato al di fuori dei limiti in cui un siffatto sindacato può ritenersi consentito alla Corte ( ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.).
Occorre, infine, segnalare che con l’ ultimo motivo la società ricorrente non contesta il mancato esame di un fatto concreto, in senso storico-naturalistico, ma propone all’ evidenza una questione di diritto che implica accertamenti di fatto, non esaminabile in questa sede per le ragioni sopra spiegate.
Stante la complessiva infondatezza dei motivi dedotti, dunque, il ricorso deve essere rigettato.
15.1. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di euro 1.800,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge se dovuti; ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art.13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data