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Riduzione TARI per chiusura: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la riduzione TARI per un albergo rimasto chiuso per alcuni mesi. La Corte chiarisce che, sebbene la chiusura volontaria non sia di per sé sufficiente, la prova della mancata prestazione del servizio di raccolta rifiuti e dell’inutilizzabilità della struttura giustifica la riduzione della tassa. Decisiva nel caso specifico l’inapplicabilità del regolamento comunale citato dal Comune perché successivo ai periodi d’imposta contestati.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Riduzione TARI per Attività Chiusa: Cosa Dice la Cassazione?

La possibilità di ottenere una riduzione TARI per la chiusura temporanea di un’attività commerciale è un tema di grande interesse per molti imprenditori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 16138 del 2024, offre chiarimenti fondamentali su quali condizioni devono essere soddisfatte per beneficiare di tale agevolazione. La decisione analizza il caso di una struttura alberghiera che, pur avendo una licenza annuale, era rimasta chiusa per alcuni mesi, e stabilisce principi importanti sulla prova richiesta al contribuente.

I Fatti del Caso: un Albergo e la Tassa sui Rifiuti

Il gestore di una struttura alberghiera si opponeva a due avvisi di accertamento relativi alla TARI per gli anni 2014 e 2015, emessi da un Comune toscano. Il contribuente sosteneva che la tassa non fosse dovuta in misura piena, poiché l’albergo era rimasto di fatto chiuso per alcuni mesi durante quegli anni, con conseguente mancata produzione di rifiuti.

La Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente accolto le ragioni del contribuente. Pur respingendo l’idea che la tassa dovesse basarsi sulla reale occupazione delle camere, aveva concesso una riduzione per i periodi di chiusura, ritenendo che in quei mesi il servizio di raccolta rifiuti non fosse stato di fatto prestato. Contro questa decisione, il Comune ha proposto ricorso in Cassazione.

La Posizione del Comune e i Principi Generali sulla TARI

Il Comune sosteneva che la semplice chiusura volontaria dell’attività non fosse sufficiente per ottenere la riduzione TARI. A suo avviso, il contribuente avrebbe dovuto dimostrare la “concreta inutilizzabilità” della struttura, ossia un’impossibilità oggettiva di produrre rifiuti. Inoltre, il Comune faceva riferimento al proprio regolamento, che prevedeva riduzioni per uso stagionale a precise condizioni, tra cui una durata non superiore a 183 giorni e la risultanza da una specifica licenza.

La prova per la riduzione TARI e l’onere del contribuente

La Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso del Comune, ha ribadito alcuni principi cardine in materia di TARI:

1. Presupposto del tributo: La TARI è dovuta per il possesso o la detenzione di locali suscettibili di produrre rifiuti. Si tratta di una presunzione iuris tantum, che può essere vinta da una prova contraria.
2. Onere della prova: Spetta al contribuente dimostrare l’esistenza delle condizioni per beneficiare di esenzioni o riduzioni. Non basta una mera scelta soggettiva di non utilizzare l’immobile.
3. Inutilizzabilità oggettiva: Per essere esentati, è necessario provare una “obiettiva impossibilità di utilizzo dell’immobile”, legata a fattori strutturali o a circostanze che rendono il locale concretamente inutilizzabile e, di conseguenza, incapace di produrre rifiuti.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha rigettato il ricorso del Comune per due ragioni decisive. In primo luogo, ha osservato che l’appello del Comune non contestava adeguatamente l’accertamento di fatto compiuto dal giudice di secondo grado, il quale aveva verificato che, durante i mesi di chiusura dell’albergo, il servizio di raccolta non era stato prestato. La decisione della Commissione Tributaria Regionale era quindi in linea con l’orientamento giurisprudenziale che richiede la prova della “concreta inutilizzabilità” della struttura ai fini della produzione di rifiuti.

In secondo luogo, e in modo dirimente, la Corte ha rilevato un errore fondamentale nell’argomentazione del Comune. La disposizione regolamentare citata a sostegno della propria tesi era stata approvata nel luglio 2020, con entrata in vigore dal 1° gennaio 2020. Poiché gli anni d’imposta in questione erano il 2014 e il 2015, tale regolamento non era applicabile ratione temporis, ovvero per ragioni temporali. Pertanto, il motivo di ricorso si fondava su una norma inesistente all’epoca dei fatti.

Le conclusioni

La sentenza consolida il principio secondo cui la riduzione TARI è possibile per i periodi di inattività, ma non in modo automatico. Il contribuente deve fornire la prova rigorosa che l’immobile non solo era inutilizzato, ma si trovava in una condizione di oggettiva impossibilità di produrre rifiuti, correlata anche alla mancata erogazione del servizio. Inoltre, la vicenda sottolinea l’importanza cruciale, per le amministrazioni, di fondare le proprie pretese sulle normative vigenti al momento dei fatti, poiché l’applicazione retroattiva di regolamenti successivi è illegittima.

La chiusura temporanea di un’attività commerciale dà automaticamente diritto alla riduzione della TARI?
No, la semplice chiusura volontaria non è sufficiente. Secondo la Corte, è necessario che il contribuente provi la “concreta inutilizzabilità” della struttura, ossia l’impossibilità oggettiva di produrre rifiuti, e la conseguente mancata prestazione del servizio di raccolta da parte del Comune.

Chi deve provare i presupposti per ottenere una riduzione o esenzione dalla TARI?
L’onere della prova spetta sempre al contribuente. È lui che deve allegare e dimostrare l’esistenza delle condizioni fattuali e giuridiche che danno diritto a un’esenzione o a una riduzione, trattandosi di una deroga alla regola generale del pagamento del tributo.

Perché il regolamento comunale citato dal Comune non è stato applicato in questo caso?
Il regolamento comunale menzionato dal Comune nel suo ricorso è stato ritenuto inapplicabile perché era entrato in vigore il 1° gennaio 2020, mentre gli anni fiscali oggetto della controversia erano il 2014 e il 2015. La Corte ha stabilito che non si può applicare una norma a fatti avvenuti prima della sua entrata in vigore (ratione temporis).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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