Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32179 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32179 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3281/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti COGNOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MESSINA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. COGNOME (TMMSLV73C24F158W)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SICILIA n. 5918/2021 depositata il 21/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.La società indicata in epigrafe impugnava l’avviso di accertamento IMU per l’annualità di imposta 2012, sul presupposto dell’inagibilità del fabbricato, ultimato nel 2009, in quanto, a seguito di accertate difformità edilizie, il Comune di Messina aveva respinto la richiesta di agibilità del fabbricato; rivendicava dunque la riduzione della misura del 50% della base imponibile, tenuto conto che aveva potuto utilizzare solo parte fabbricato (200 mq); eccepiva altresì la carenza motivazionale dell’atto impositivo.
La C.RAGIONE_SOCIALE. accoglieva il ricorso della società.
Sull’appello dell’amministrazione comunale, la C.T.R. della Sicilia accoglieva il gravame, affermando l’adeguatezza motivazionale dell’avviso opposto e l’inapplicabilità della riduzione invocata, per la omessa preventiva dichiarazione di inagibilità del contribuente .
Avverso la predetta decisione ricorre per cassazione la società, svolgendo tre motivi, illustrati nelle memorie difensive depositate in prossimità dell’udienza.
Replica con controricorso e memorie difensive il Comune.
MOTIVI DI DIRITTO
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 13, c. 3, d.l. 201/2011, convertito con modificazioni dalla legge 214/2011, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c.; per avere il decidente negato l’applicazione della riduzione della base imponibile IMU nella misura del 50% specificamente prevista dall’art. 13, c. 3, lett. b), d.l. 201/2011 ”per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati”.
Con il secondo mezzo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. sotto il profilo del travisamento della prova, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., censurando l’errore in cui sono incorsi i giudici d’appello nel sostenere che la documentazione prodotta in giudizio dalla società
ricorrente non consentiva di accertare che il Comune avesse effettiva conoscenza dello stato di inagibilità dell’immobile.
Con la terza censura si denuncia violazione e falsa applicazione della l. n. 212 del 2000, art. 7 e della legge n. 296 del 2006, art.1, comma 162, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3) c.p.c., per non avere l’impugnata sentenza ritenuto privo di motivazione l’atto impositivo con riferimento al criteri di computo della base imponile e alla mancata allegazione dei documenti richiamati e dunque per non aver riconosciuto il difetto assoluto cli motivazione da cui risultava affetto l’avviso di accertamento IMU.
In via preliminare si osserva che il Comune, costituitosi tardivamente rispetto ai termini di legge, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per violazione dell’articolo 16 -bis, comma 3, del d.lgs n. 546/1992 e per errata notificazione. Ciò in quanto l’articolo 16-bis, comma 3, del d.lgs n. 546/1992 prevede che ‘le parti, i consulenti e gli organi tecnici indicati nell’art. 7, comma 2, notificano e depositano gli atti processuali i documenti e i provvedimenti giurisdizionali esclusivamente con modalità telematiche, secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163, e nei successivi decreti di attuazione. In casi eccezionali, il Presidente della Commissione tributaria o il Presidente di sezione, se il ricorso è già iscritto a ruolo, ovvero il collegio se la questione sorge in udienza, con provvedimento motivato possono autorizzare il deposito con modalità diverse da quelle telematiche”. … ‘ .
La normativa di riferimento utilizzando la locuzione ‘ esclusivamente in modalità telematiche ‘, definisce, ad avviso del Comune, un obbligo, che solo in casi eccezionali e su specifica autorizzazione può essere derogato, ragion per cui, la notifica del ricorso senza l’utilizzo della modalità telematica lo rende
inammissibile. Sotto altro profilo, si deduce che nell’atto di appello il Comune di Messina aveva espressamente indicato l’indirizzo del dipartimento competente, ovvero pec: tributiEMAILpec.comune.messina.it, e che lo stesso indirizzo era stato utilizzato dal dipartimento competente per notificare a controparte il ricorso in appello. Per effetto del dettato normativo sopra riportato e di quanto risultante testualmente dall’atto di appello, il ricorrente avrebbe dovuto notificare il ricorso al Comune presso il domicilio digitale eletto.
Assume altresì l’ente locale che la notifica cartacea del ricorso ha evidentemente determinato una violazione del suo diritto di difesa, ritenuto che il Dipartimento competente è stato edotto in ritardo dell’avvenuta notifica del ricorso in Cassazione che, ove eseguita con l’utilizzo della pec già comunicata, sarebbe diversamente avvenuta nell’immediatezza. Chiede, che ove questa Corte dovesse ritenere la notifica comunque sanata dalla costituzione in giudizio del Comune di Messina, di ritenere tempestivo il controricorso con ogni effetto di legge o, in via subordinata, la rimessione in termine per la notifica del presente controricorso.
Eccepisce inoltre l’inammissibilità del ricorso per intervenuto giudicato e carenza di interesse su un fatto preliminare, decisivo e dirimente della controversia, ritenendo che la società non abbia attinto la parte della motivazione con cui i giudici distrettuali hanno ritenuto inapplicabile la riduzione in mancanza della previa presentazione della dichiarazione di inagibilità.
5.L’eccezione formulata dal Comune è priva di pregio.
L’art. 16 bis citato disciplina il processo tributario e non il processo civile e, dunque, neppure il giudizio di cassazione. L’art. 149 c.p.c. prevede(va), prima della introduzione del d.lgs 10 ottobre 2022 n. 149 (c.d. “Riforma Cartabia”) che . Si è così affermato da parte di questa Corte che è nella facoltà della parte provvedere alla notifica a mezzo pec ovvero nelle forme ordinarie. Valga evidenziare che, per effetto della disciplina sull’uso della PEC, in seguito alla riforma, non sussistono più le ragioni di una previsione differenziata circa le notificazioni e comunicazioni per il giudizio di legittimità, rispetto alla disciplina generale: donde l’abrogazione dei commi 2 e 4 dell’art. 366 c.p.c. (v. Cass. civ. n. 20214/2021). Secondo principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte -a seguito dell’istituzione del c.d. «domicilio digitale», di cui all’art. 16-sexies d.l. n. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 (articolo inserito dall’art. 52, comma 1, lett. b), d.l. 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114) -le notificazioni e comunicazioni degli atti giudiziari, in materia civile, sono ritualmente eseguite presso un indirizzo di posta elettronica certificata estratto -in base a quanto previsto dall’art. 16-ter, comma 1, del d.l. n. 179 del 2012, modificato dall’art. 45-bis, comma 2, lettera a), numero 1), del d.l. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, e successivamente sostituito dall’art. 66, comma 5, del d.lgs. n. 217 del 2017, con decorrenza dal 15 dicembre 2013 -da uno dei registri indicati dagli artt. 6-bis, 6-quater e 62 d.lgs. n. 82 del 2005, nonché dall’art. 16, comma 12, dello stesso decreto, dall’articolo 16, comma 6, del d.l. n. 185 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 2 del 2009, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della Giustizia e, quindi, indistintamente, dal registro denominato Ini-PEC e da quello denominato Re.G.Ind.E.. Sebbene la norma citata (art. 16-sexies d.l. n. 179 del 2012) tanto preveda con specifico riferimento alle
ipotesi in cui la legge dispone che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento che può dirsi consolidato, ne ha tratto il convincimento, qui condiviso e ribadito, che la domiciliazione digitale, pur non impedendo l’utilizzo di quella fisica, non se ne può a sua volta ritenere preclusa ma resta valida alternativa modalità di notifica degli atti di parte (v., ex aliis, Cass. n. 15752 del 17/05/2022; n. 39970 del 04/12/2021; n. 33806 del 12/11/2021; n. 2460 del 03/02/2021). Peraltro, a tutto concedere, alla luce del principio dettato da Cass. Sez. U. n. 14916 del 20/07/2016, la supposta (ma non predicabile) esclusività della notifica presso il domicilio digitale, renderebbe la notifica effettuata all’indirizzo fisico del procuratore non certo inesistente, ma al più nulla, come tale suscettibile di sanatoria ex art. 291 cod. proc. civ. e, quindi, nella specie, da considerarsi comunque sanata, con effetto ex tunc, dal deposito del controricorso da parte dell’intimato, attestante il raggiungimento dello scopo dell’atto (Cass. n. 2023 n.16899; Cass. n. 20214/2021; Cass. n. 33806/2021; Cass. n. 28829/2020).
La concorrenza del domicilio digitale e di quello fisico, tuttavia, è destinata ad essere ripensata alla luce della recente riforma del rito civile, introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022, che ha reso obbligatoria la notifica a mezzo pec ogni qualvolta il destinatario sia un soggetto obbligato a munirsi di un indirizzo pec risultante da pubblici elenchi, ovvero abbia eletto domicilio digitale a norma del d.lgs. n. 82 del 2005. Il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149 di attuazione della legge di riforma del processo civile n. 206/2021 ha novellato, dunque, il sistema delle notificazioni in materia civile disciplinato dal codice di rito, facendo assurgere la modalità telematica di esecuzione delle notificazioni a requisito di forma delle notificazioni medesime e contemplando -almeno in astratto –
la possibilità di superare lo strumento della posta elettronica certificata o comunque di affiancare tale strumento ad altre soluzioni tecniche di trasmissione dell’atto da notificare( Cass. n. 16189/2023). Tale novità appare di specifica rilevanza per i giudizi di impugnazione, introdotti dal primo gennaio 2023, considerato che la notifica degli atti introduttivi di tali procedimenti dovrebbe (nella assoluta maggioranza dei casi) intervenire nei confronti di soggetti, quali i difensori, tenuti obbligatoriamente a munirsi di indirizzo pec censito in pubblici elenchi, con conseguente obbligo di procedere alla notificazione a mezzo pec.
Consegue che il controricorso è dunque stato depositato oltre i termini di legge e non sussistono, alla luce delle summenzionate considerazioni, i presupposti per la rimessione in termini, tenuto conto della inerzia del Comune; l’inammissibilità del controricorso tardivo rende inammissibili sia le ulteriori eccezioni dedotte (eccezione di giudicato) sia le memorie depositate dalla parte intimata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., in quanto, divenuta la regola la trattazione camerale e quella in udienza pubblica l’eccezione, deve trovare comunque applicazione la preclusione dell’art. 370 c.p.c., di cui la parte inosservante delle regole del rito non può che subire le conseguenze pregiudizievoli, salvo il parziale recupero delle difese orali nel caso in cui sia fissata udienza di discussione, con la conseguenza che venuta a mancare tale udienza alcuna attività difensiva è più consentita( Cass. n. 23921/2020; Cass. n . 4428/2022).
6. Discostandosi dall’ordine dei motivi, appare opportuno in via preliminare esaminare l’ultima censura che attinge la decisione d’appello per aver ritenuto adeguatamente motivato l’atto impositivo. Essa va disattesa.
In materia di esenzioni, questa Corte ha precisato che: l’art. 11, comma 2-bis, del d.lgs. n. 504 del 1992, in materia di Ici, disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta un obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile (cfr. Cass. n. 14094 del 11/06/2010; Cass. n. 26431/2017 1694 /2018; Cass. n. 29968 del 19/11/2019; Cass. n. 8592/2021).
Inoltre, l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta. In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto, le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass. n. 21571 del 2004).
Nel caso sub iudice, il Comune, con l’avviso di accertamento impugnato, come motivato dalla C.T.R., ha indicato i dati identificativi dell’immobile, il soggetto tenuto al pagamento, l’ammontare dell’imposta, le aliquote applicate di cui alle deliberazioni comunali, i dati catastali del cespite: elementi tutti che rendono soddisfatto l’obbligo motivazione dell’avviso opposto.
7.Le prime due censure possono essere scrutinate congiuntamente, involgendo profili strettamente correlatiti; esse sono infondate.
Va premesso che l’art. 13 del d.l. n. 201/2011 prevede, per quanto qui di interesse, quanto segue: «3. La base imponibile dell’imposta municipale propria è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 5, commi 1, 3, 5 e 6 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e dei commi 4 e 5 del presente articolo. La base imponibile è ridotta del 50 per cento: … b) per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati , limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni. L’inagibilità o inabitabilità è accertata dall’ufficio tecnico comunale con perizia a carico del proprietario, che allega idonea documentazione alla dichiarazione. In alternativa, il contribuente ha facoltà di presentare una dichiarazione sostitutiva ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, rispetto a quanto previsto dal periodo precedente. Agli effetti dell’applicazione della riduzione alla metà della base imponibile, i comuni possono disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, non superabile con interventi di manutenzione». Come già affermato, anche recentemente, da questa Corte (cfr. Cass. n. 5804 del 24/02/2023; Cass. n. 29966 del 19/11/2019 in motiv. anche se con riferimento all’ICI) ai fini dell’applicazione della riduzione de qua devono considerarsi inagibili o inabitabili, e di fatto non utilizzati, i fabbricati per i quali vengano a mancare i requisiti di cui all’articolo 24, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) e quindi nello specifico gli immobili che presentino un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) o un’obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica (cfr. in tal senso, Cass. n. 29966/2019 cit. in motiv., che definisce condizione di inagibilità e inabitabilità in cui versi l’immobile l’«obiettiva
inidoneità alla sua utilizzazione a causa dell’obsolescenza o cattiva manutenzione dello stesso o della presenza di carenze intrinseche»), non superabile con interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria.
Tale interpretazione della norma non solo risulta aderente alla lettera della norma ma trova conferma nel costante indirizzo giurisprudenziale (cfr. Cass. nn. 15407/2017, 4333/2016, 2925/2013, 5933/2013) in materia fiscale secondo il quale le norme che stabiliscono esenzioni o agevolazioni sono di stretta interpretazione ai sensi dell’art 14 preleggi, sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati. Va peraltro evidenziato, con riguardo alla lamentata mancanza del certificato di conformità – agibilità degli immobili, che l’ufficio comunale delle attività edilizie, con l’ultimo provvedimento del 21 ottobre 2010, trascritto nel ricorso per cassazione, ha ritenuto che le giustificazioni offerte dal proprietario con riferimento alle difformità edilizie riscontate rispetto alla licenza edilizia concessa non erano idonee al rilascio della attestazione di agibilità, disponendo così l’archiviazione della pratica edilizia; pertanto, l’omesso rilascio del certificato di agibilità è dipeso esclusivamente dalle difformità edilizie poste in essere dal proprietario, il che non incide, però, sulla idoneità alla sua utilizzazione (in particolare, ai fini fiscali).
Pertanto, da una parte, l’iscrizione nel catasto edilizio dell’unità immobiliare – come emerge dalle premesse in fatto della sentenza di appello – costituisce di per sé presupposto sufficiente perché l’unità sia considerata fabbricato e, di conseguenza, assoggettabile all’imposta prevista, (cfr. Cass. n. 24924/2008), mentre, d’altra parte, l’inagibilità (che consente la riduzione d’imposta) è correlata alla temporanea impossibilità di utilizzo dell’immobile, intesa come
situazione intrinseca di degrado dello stesso, superabile con interventi di manutenzione straordinaria, e non come qualità giuridica superabile con il rilascio del certificato di abitabilità (secondo Cass. n. 5372/2009 «…il rilascio del certificato di abitabilità/agibilità non costituisce presupposto per l’applicazione dell’imposta, non potendosi desumere il contrario dal tenore dell’art. 8, comma 1, del citato decreto, che si riferisce esclusivamente all’ipotesi di fabbricati dichiarati inagibili e inabitabili a seguito di perizia dell’ufficio tecnico comunale, e di fatto non utilizzati»; conf. Cass. n. 12936/2019; Cass. n. 1955/2024). In altri termini, l’inagibilità o l’inabitabilità dell’immobile deve essere intesa come obiettiva inidoneità ad essere utilizzato per eventi dovuti ad obsolescenza o cattiva manutenzione (cedimenti, crepe, pericoli di crollo) o per carenze intrinseche (assenza di adeguati impianti e servizi); in particolare, per inagibilità deve intendersi il mancato rispetto dei requisiti di sicurezza statica dell’immobile ovvero la presenza di elementi che ne rendono pericoloso o inopportuno l’utilizzo. La nozione di inabitabilità si correla alla mancanza di rispetto dei requisiti minimi igienico-sanitari, che devono necessariamente sussistere per far sì che il fabbricato possa essere utilizzato all’uso cui è destinato; il criterio interpretativo che ricollega la nozione di inagibilità e inabitabilità dell’immobile al degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente e simile) o di una obsolescenza funzionale, strutturale e tecnologica, non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria, bensì con interventi di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione edilizia risulta aderente alla lettera della norma e trova conferma nel costante indirizzo giurisprudenziale in materia fiscale (tra le tante: Cass., Sez. 5^, 25 marzo 2011, n. 6925; Cass., Sez. Un., 3 giugno 2015, n. 11373; Cass. Sez. Un., 22 settembre 2016, n. 18574; Cass., Sez. 6^-5, 9 aprile 2018, n.
8618; Cass., Sez. 5^, 27 aprile 2018, n. 10213; Cass. n. 1623/2021; Cass. n. 18005/2023, in motiv.), sicché non vi è spazio per ricorrere al criterio analogico o all’interpretazione estensiva della norma oltre i casi e le condizioni dalle stesse espressamente considerati.
Non è quindi praticabile una operazione ermeneutica che ne estenda la portata non sussistendo alcun automatismo tra ‘inagibilità’ e agevolazione fiscale, come invece erroneamente affermato dalla società ricorrente, dal momento che l’inagibilità o l’inabitabilità presupposte per il riconoscimento della riduzione di imposta sono circoscritte alla sopravvenienza (fisiologica o eccezionale) di situazioni oggettivamente idonee a pregiudicare o compromettere l’uso conforme alla destinazione abitativa o commerciale del fabbricato, del quale esse vulnerano la stabilità strutturale o l’idoneità funzionale, esponendo a rischio la sicurezza e l’incolumità degli occupanti; pertanto, esulano da tale ambito gli eventi imputabili o riconducibili a condotte contra legem del proprietario o del titolare di un diritto reale di godimento, che abbia distorto, alterato o snaturato la vocazione originaria del fabbricato ovvero realizzato la costruzione in difformità rispetto al progetto inziale, non essendo compatibile con la ratio legis che possa beneficiarne non solo chi abbia determinato o concorso a determinare lo stato di inagibilità o inabitabilità( che non ricorrono nel caso i esame), ma anche chi abbia concorso al mancato rilascio del certificato di inagibilità, del tutto irrilevante, come chiarito, ai fini della riduzione IMU, ed utilizzato invece erroneamente ai fini fiscali( Cass. n.16222/2024, in motiv.).
Va dunque affermato il principio di diritto secondo cui .
La Commissione tributaria regionale, nell’affermare che non era «applicabile la invocata disposizione di cui alla normativa rubricata poiché, in mancanza di accertamenti tecnici che comprovino lo stato di fatiscenza e in mancanza di dichiarazione da parte del contribuente> non si è discostata dai principi affermati da questa Corte, avendo chiarito che , così correttamente escludendo l’applicazione al caso concreto della disciplina agevolatrice prevista dalle norme citate.
9. D’altra parte, l’agevolazione scatta dalla data di presentazione della dichiarazione sostitutiva, di guisa che, in mancanza di detta dichiarazione, risulta irrilevante la documentazione relativa alle difformità edilizie, in quanto inidonea a dimostrare l’impossibilità di utilizzo dell’edificio o l’intrinseco stato di degrado superabile con opere di manutenzione straordinaria; attestando essa solo una qualità giuridica del fabbricato superabile con il rilascio del certificato di agibilità, previa eliminazione delle difformità ( ovvero previo condono se possibile). E, in ogni caso, l’archiviazione della pratica edilizia in merito alle difformità riscontrate non consente di ritenere che il Comune fosse a conoscenza di uno stato di degrado del fabbricato, proprio perché questo non presentava alcun degrado e impossibilità di utilizzo, come chiarito in precedenza; la
conoscenza dell’ente impositore deve riguardare, difatti, la sopravvenuta e protratta inutilizzabilità dell’immobile, circostanze queste nemmeno dedotte ai fini dell’applicabilità della disciplina agevolativa rivendicata. Da ultimo, si osserva che il verbale di apertura indicata dalla società concerne l’annualità 2013 e non evidenzia in alcun modo lo stato di degrado dell’immobile, ma presumibilmente l’occupazione dell’immobile da parte di terzi che, tuttavia, non risulta posta a fondamento della riduzione Imu né discussa nel giudizio di merito.
10. Segue il rigetto del ricorso.
Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, tenuto conto che il Comune intimato non si è difeso con rituale controricorso.
A carico della ricorrente, stante la declaratoria di rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza camerale della Sezione