Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32182 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32182 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17477/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COMUNE DI COMO
-intimato- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 43/2022 depositata il 11/01/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.I ricorrenti acquistavano, a fine anno 2011, all’asta indetta dal Tribunale di Como un’immobile, di cui divenivano gli effettivi proprietari solo il 6 settembre 2012, a seguito della sanatoria delle difformità urbanistiche, secondo le indicazioni del Giudice dell’esecuzione. In seguito all’acquisto, i proprietari provvedendo alla integrale ristrutturazione del cespite, deducendo che i lavori si svolsero dal 2012 al 2015, come descritto nella relazione tecnica del geom. NOME COGNOME al fine di recuperarne l’agibilità e la conformità urbanistico-edilizia e catastale,. E aggiungono i ricorrenti di aver rappresentato le condizioni dell’immobile con dichiarazione sostitutiva di notorietà del 07.09.2012, su modello predisposto dallo stesso Comune, chiedendo la riduzione della base imponibile IMU al valore dell’area edificabile o, in subordine, al 50% del riferimento catastale. Il Comune di Como notificava l’avviso di accertamento per l’annualità di imposta 2013 (Imu) che veniva impugnato dai contribuenti.
Il Giudice di primo grado affermava che: ‘la questione qui in esame è già stata affrontata e decisa con sentenza n. 149 del 15 aprile 2019, depositata in atti…Questo Collegio condivide integralmente le considerazioni e le conclusioni di fatto e diritto di quella sentenza’.
Aggiungeva, inoltre, sulla dichiarazione presentata nel 2012: ‘essa, oltre distinguersi per struttura e ratio non contiene alcuna autodichiarazione sullo stato di inagibilità o similare…’
Sull’appello dei proprietari, la Commissione Tributaria Regionale statuiva che: .
Ricorrono per la cassazione della predetta sentenza, i contribuenti svolgendo quattro motivi illustrati con memorie difensive.
Il Comune è rimasto intimato.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con il primo motivo si deduce <nullità della sentenza di primo grado ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 4) c.p.c. per avere la Commissione Regionale, in relazione al primo motivo di ricorso in
appello escluso la obbligatorietà della trattazione in pubblica udienza potendo svolgersi allo stato degli atti, alla luce della normativa vigente per l'emergenza covid (art. 27, n. 2 D.L. 28 ottobre 2020 n. 137), precisando che l'esplicita richiesta della pubblica udienza .
Secondo l’assunto dei ricorrenti, l’udienza risultava fissata dal settembre 2020, prima dell’entrata in vigore della norma emergenziale citata (29 ottobre 2020), e che la data dell’udienza (4 novembre 2020, considerando sabato 31 ottobre e domenica 1 novembre) era comunque incompatibile con il rispetto dei termini previsti (notifica alla controparte e deposito 2 giorni liberi prima dell’udienza), con la conseguenza che la Commissione avrebbe dovuto rinviare la controversia a nuovo ruolo, disponendo la trattazione scritta.
Si osserva che la Corte Europea riconosce che il diritto al contraddittorio in qualsiasi procedimento è attualmente sancito, non solo negli articoli 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che garantiscono il rispetto dei diritti della difesa nonché il diritto ad un processo equo in qualsiasi procedimento giurisdizionale, ma anche nell’articolo 41 di quest’ultima, il quale assicura il diritto ad una buona amministrazione. Il paragrafo 2 del citato articolo 41 prevede che il diritto a una buona amministrazione comporta, in particolare, il diritto di ogni individuo ad essere ascoltato, prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale lesivo. Si deduce che nel nostro ordinamento il contraddittorio nei
procedimenti giurisdizionali è espressamente sancito dall’art. 111 della Costituzione tra i principi del giusto processo.
La censura è inammissibile per carenza di interesse, atteso che il ricorso per cassazione diretto ad ottenere, riproponendo censure già svolte in sede di appello, la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado, comporterebbe null’altro che la trattazione nel merito della causa da parte del giudice di appello. (Cass. n. 21943 del 12/10/2020). posto che il giudizio d’appello è un giudizio di merito e non di legittimità e la Corte d’Appello ha l’onere di motivare a sua volta sulla domanda dell’appellante e non può certo annullare la sentenza per mancanza di motivazione cassandola. Dunque, nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello non può dedursi l’erroneità della decisione della Corte d’Appello sul motivo di gravame con il quale si censurava il vizio di motivazione della sentenza di primo grado. (Sez. L, Sent. n. 12642 del 2014). In proposito, deve anche richiamarsi il seguente principio di diritto: «In virtù dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità della sentenza soggetta ad appello si convertono in motivi di impugnazione, non può essere denunciato in cassazione il vizio della sentenza di primo grado – per la quale si deduce la mancanza di motivazione- non rilevato dal giudice di appello» (Sez. L, Sent. n. 17072 del 2007).
2.1. Sotto altro profilo, la censura non attinge la seconda ratio decidendi che fonda la sentenza di appello, laddove i giudici regionali hanno statuito che .
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta ; per avere il decidente trascurato di esaminare il secondo motivo di gravame concernente la nullità della sentenza di primo grado per la mancanza degli elementi essenziali indicati dalla norma in epigrafe che prevede, tra gli altri l’esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa e le ragioni giuridiche poste a fondamento del decisum. La Commissione Tributaria Provinciale, nel caso in esame, si sarebbe limitata a rinviare genericamente a quanto accertato in altro giudizio simile, senza dare conto dell’esame degli specifici motivi di impugnazione e senza dimostrare di avere esaminato le circostanze specifiche del caso concreto.
La censura non supera il vaglio di ammissibilità per difetto di specificità.
Il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. in caso di deduzione di errores in procedendo , impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, nel caso in esame della sentenza di primo grado e dei motivi di gravame, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza. Con la conseguenza che, in tale ipotesi, il ricorrente medesimo è tenuto ad allegare al ricorso gli
atti del processo idonei ad attestare, in relazione al rivendicato diritto, la sussistenza delle circostanze affermate, non potendo limitarsi alla parziale e arbitraria riproduzione di singoli periodi estrapolati dagli atti processuali propri o della controparte; è appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr., per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto della citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317). Il ricorrente ha trascritto solo stralci della decisione di primo grado che neppure risulta allegata, non consentendo, così,
alla Corte di riscontrare la fondatezza della censura in rassegna. (cfr. Cass. n. 28184/2020; Cass. n. 5102/2024; Cass. n. 21346/2024).
4. Con il terzo strumento di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in riferimento alla violazione dell’art. 13, comma 3 d.l. 201/2011, conv. in legge 214/11 s.m.; violazione dell’art. 6 bis del Reg. Comune di Como per l’applicazione dell’IMU; per avere il giudicante ritenuta indispensabile la presentazione della dichiarazione sostitutiva (…) da allegare alla dichiarazione di variazione IMU relativa all’anno in cui si è verificata la condizione di inagibilità o inabitabilità. Secondo la Commissione manca, in relazione al 2014, la dichiarazione sostitutiva, pur avendola presentata nel 2012 ed ottenuto la riduzione per tale annualità. Assumono i contribuenti che, nel caso di specie, come allegato alla dichiarazione sostitutiva, essi avevano dichiarato: 1) l’abbandono dell’immobile da oltre 10 anni con la necessità di importanti opere di risanamento, manutenzione straordinaria e ristrutturazione; 2) impianto elettrico non funzionante e mancanza della messa a terra; 3) impossibilità di alimentare l’impianto idrico; 4) impossibilità di utilizzare i servizi igienici; deterioramento della pavimentazione dell’intonaco esterno ed interno con infiltrazioni di acqua e muffe; 5) mancanza dell’impianto di riscaldamento; 6) inutilizzabilità dell’impianto a gas ad uso cucina.
Il Giudice di seconde cure ha invece affermato che la dichiarazione sostitutiva relativa al 2012 valeva per quella sola annualità, pur avendo il Comune riconosciuto e ritenuto accertata l’inagibilità dell’immobile per il 2012 e dunque anche per le successive annualità d’imposta, fino all’ultimazione dei lavori.
Si obietta di aver fornito, oltre alla dichiarazione sostitutiva, in sé già sufficiente per ottenere la riduzione (sia invocando il provvedimento legislativo che il regolamento), un ulteriore quadro probatorio a dimostrazione dell’inagibilità dell’immobile, costituito dalla relazione del progettista e direttore dei lavori geom. COGNOME che ha analiticamente indicato, con dovizia di particolari, come peraltro già aveva operato il perito del Tribunale nella procedura esecutiva anni prima, non solo gli interventi eseguiti, ma anche i titoli edilizi che legittimavano l’intervento ai fini non della migliore fruibilità, ma per conseguire l’agibilità dell’immobile.
Infine, si lamenta, con il quarto mezzo di ricorso, la nullità della sentenza di appello ai sensi dell’art. 360, n. 4). Violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione ai motivi di appello dichiarati assorbiti.
Si deduce che con il quarto motivo d’appello si era censurata l’omesso o comunque carente esame dei motivi di ricorso in riferimento all’eccesso di potere; alla contraddittorietà ed illogicità dell’azione della P.A. Con dette censure si affermava che per l’esercizio 2012 l’Amministrazione ha consentito il pagamento dell’imposta ridotta del 50%, mentre per l’anno 2013, in cui sussistevano le condizioni di inagibilità, illogicamente e in contraddittorietà rispetto al precedente operato, ha notificato l’avviso di accertamento per parziale versamento dell’imposta asseritamente dovuta. Il modus operandi posto in essere dall’Amministrazione sarebbe viziato da eccesso di potere per contraddittorietà, avendo . La contraddittorietà sussisterebbe nel caso in cui si ravvisi tra più atti successivi un contrasto inconciliabile. Con il quinto motivo di appello si era censurato il difetto di istruttoria processuale e travisamento dei fatti; con il sesto motivo di appello si era censurata l’omessa pronuncia del Giudice di primo grado, sotto
l’enunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sui singoli ulteriori motivi di ricorso, vale a dire la violazione della legge 241/1990 in riferimento ai principi di partecipazione al procedimento, istruttoria, preavviso di diniego e all’annullamento d’ufficio (art. 2, 5, 10 bis, 21 nonies) in riferimento al provvedimento di rigetto a conclusione del procedimento amministrativo in autotutela e agli avvisi di accertamento. Violazione dello Statuto del contribuente (l. 27 luglio 2000 n. 212), con riferimento agli artt. 7 e ss. Violazione del principio del legittimo affidamento. Si afferma che il procedimento amministrativo volto ad accertare l’inabitabilità è risultato concluso oltre i termini procedimentali (art. 2, L. 241/1990), privo di istruttoria e, comunque, non assistito dal rispetto del principio del contraddittorio e di idonea motivazione, né preceduto da avviso di diniego. Tale provvedimento risulta inammissibile essendosi consolidato il provvedimento di silenzio-assenso nel 2012, con effetti che si estendono a tutto il periodo di inabitabilità/inagibilità e cioè dal 2012 al 2015. Con il settimo motivo d’appello, in relazione alla sentenza di primo grado si era censurata la violazione dell’art. 3, 6 e ss, L. 241/1990. Difetto di istruttoria ed eccesso di potere per irragionevolezza e illogicità del provvedimento. Travisamento dei presupposti di fatto e di diritto. Violazione art. 7, L. 212/2000 (c.d. Statuto del contribuente). Omessa o insufficiente motivazione dell’avviso di accertamento e del rigetto dell’istanza in autotutela. Violazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 445/2000. L’obbligo di cui all’art. 3, L. 241/1990, costituisce applicazione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa e di democraticità della stessa, in quanto solo la motivazione permette di accertare la correttezza dell’operato della P.A. L’avviso di accertamento deve essere motivato con riferimento ai presupposti di fatto e di diritto dell’imposizione. Al contrario, la motivazione degli avvisi di accertamento impugnati non contiene alcun riferimento allo stato
degli immobili, nonostante si dia atto della dichiarazione sostitutiva di inabitabilità o inagibilità operata nel 2012 dai contribuenti.
6.Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Secondo l’orientamento di questa Corte, in tema di IMU (e, già prima, di ICI), nell’ipotesi di immobile inagibile, l’imposta va ridotta, ai sensi dell’art. 13, comma 3, lett. b, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nel testo novellato dall’art. 4, comma 5, lett. b, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 44 (e, ai fini dell’ICI, ai sensi dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504), nella misura del 50% anche in assenza di richiesta del contribuente quando lo stato di inagibilità è perfettamente noto al Comune, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente (art. 10, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212), di cui è espressione anche la regola secondo cui a quest’ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune (art. 6, comma 4, della legge 27 luglio 2000, n. 212) (con all’ICI: Cass., Sez. 5^, 10 giugno 2015, n. 12015; Cass., Sez. 5^, 21 settembre 2016, n. 18453; Cass., Sez. 6^-5, 29 maggio 2020, n. 10314; Cass., Sez. 5^, 11 dicembre 2020, n.28251; Cass., Sez. 6^-5, 22 aprile 2021, n. 10724; -con riguardo all’IMU: Cass., Sez. 5^, 30 dicembre 2020, n. 29901; Cass., Sez. 6^- 5, 26 marzo 2021, n. 8592; Cass., Sez. 6^-5, 22 aprile 2021, n. 10724; Cass., Sez. 5^, 18 novembre 2021, n. 35474; Cass., Sez. 6^-5, 16 gennaio 2023, n. 1016; Cass., Sez. 5^, 2 marzo 2023, n. 6270; Cass., Sez. 5^, 8 maggio 2023, n. 12226; n. 19665/2023); analogo principio è stato ultimamente ribadito anche per l’esenzione da IMU per i fabbricati colpiti dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e
Rovigo il 20 e il 29 maggio 2012, ai sensi dell’art. 8, comma 3, del d.l. 6 giugno 2012, n. 74, convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 2012, n. 122 (Cass., Sez. 5^, 14 febbraio 2023, nn. 4555 e 4562).
Su tale premessa, la perduranza ultrannuale dello stato di inagibilità o inabitabilità dell’immobile non necessita della reiterazione per il futuro di una specifica richiesta da parte del contribuente per usufruire della riduzione dell’ICI nella misura del 50% per ciascun anno di imposta, essendo sufficiente che l’ente impositore abbia conoscenza (attraverso l’acquisizione di documenti o l’assunzione di informazioni, anche se per finalità extratributarie) della sopravvenuta e protratta inutilizzabilità dell’immobile.
Sennonchè, la sentenza d’appello ha respinto il gravame dei contribuenti affermando l’irrilevanza giuridica della dichiarazione presentata dai proprietari in quanto priva di contenuto univoco. Per contrastare detta ratio decidendi, i ricorrenti sostengono che le condizioni di inabitabilità dell’immobile sono chiaramente descritte nella dichiarazione sostitutiva di notorietà ricevuta dall’ufficio del protocollo del Comune in data 07.09.2012 ( sub doc. 6, fasc. primo grado), nonché dall’elaborato peritale redatto nell’ambito della procedura esecutiva del Tribunale di Como allegata all’autodichiarazione ( sub doc. 4, fasc. primo grado) e, da ultimo, nella relazione del direttore lavori, geom. COGNOME ( sub doc. 3, fasc. primo grado) così come da ultimo aggiornata ( sub doc. 3, fasc. secondo grado); che, pur tuttavia, la sentenza impugnata non ha tenuto in alcuna considerazione la presenza della dichiarazione sostitutiva, oltre alle ulteriori prove fornite, appalesandosi in totale contrasto con le norme in tema di riduzione.
In realtà, il Collegio d’appello non ha trascurato di esaminare la documentazione prodotta ed in particolare la dichiarazione sostitutiva dei contribuenti, alla quale ha invece attribuito significato non univoco. Le critiche articolate dalla difesa del ricorrente non hanno il tono proprio di una censura di legittimità; esse, sotto l’apparente deduzione del vizio di cui al n. 3 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. degradano in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata la vicenda (cfr. Cass., Sez. Un., 17 dicembre 2019, n. 33373), insindacabile nel giudizio di legittimità e la denunzia di violazione di legge non determina, per ciò stesso, nel presente giudizio lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’erroneo accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. nn. 11775/2019, 68062/2019; S.U. /2020; Cass.n. del 25/11/2021).
In realtà, i contribuenti denunciano, con il canone censorio di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., un travisamento della prova; il travisamento della prova in senso proprio, è un travisamento ancipite, al quale possono ricondursi sia il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività, sia il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio, considerato nella sua oggettività, possono per inferenza logica desumersi. Ebbene, per un verso, il momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è per sua natura destinato ad essere controllato attraverso lo strumento della revocazione; per altro verso il momento dell’individuazione delle informazioni probatorie che dal dato probatorio possono desumersi appartiene al sindacato del giudice di merito, ed è per questo sottratto al giudizio
di legittimità, a condizione, beninteso, che il giudice di merito si sia in proposito speso in una motivazione eccedente la soglia del «minimo costituzionale. Come recentemente chiarito dalle S.U. 5 marzo 2024, n. 5792 <<il controllo dell'attività del giudice di merito, nel momento percettivo del dato probatorio nella sua oggettività è, come si diceva, affidato alla revocazione. Secondo l'articolo 395, n. 4, cod.proc.civ.: «Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: … se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare».
Ebbene, nel caso sub iudice , la predicata idoneità della preventiva dichiarazione ha costituito senza dubbio oggetto di discussione tra le parti; è quindi esclusa la rilevanza dell'errore, che per ciò stesso cessa di essere un errore revocatorio ed assume i caratteri dell'errore di giudizio, atteso che sul fatto il giudice si è pronunciato – affermando che la dichiarazione prodotta dai proprietari non presentava un contenuto univoco e chiaro, giacché l'errore percettivo è intrinsecamente incompatibile con il giudizio. In detta ipotesi, la deducibilità in Cassazione del vizio di c.d. «travisamento della prova», laddove, come nella concreta fattispecie, la decisione non risulta a che vedere con la predicata dispercezione – in quanto il travisamento riflette la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – è consentita in presenza del dedotto errore valutativo della documentazione prodotta «in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell'articolo 360, nn. 4) e 5), cod.proc.civ., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale» ( S.U. cit.)
Occorre allora limitarsi a constatare, ai fini della declaratoria di inammissibilità del motivo in rassegna, che questo non risulta proposto né ai sensi del n. 4) né ai sensi del n.5) dell'art. 360, primo comma, cod.proc.civ., bensì ex art. 360, primo comma, n. 3), cod.pro.civ., prospettando sotto il profilo della violazione di legge una richiesta di rivisitazione degli accertamenti fattuali operati dal Collegio d'appello, laddove ha constatato che la dichiarazione presentata non solo non poteva essere ultrattiva, ma neppure aveva i requisiti della preventiva dichiarazione per ottenere le agevolazioni di legge.
Con riferimento all'altra argomentazione con la quale la CTR ha deciso per il rigetto dell'appello secondo la quale dall'elaborato peritale disposto dal Tribunale di Como, nell'ambito della procedura di esecuzione forzata, non è inferibile lo stato di inagibilità del fabbricato de quo , si osserva che il ricorrente si limita a contrapporre le proprie allegazioni difensive in merito allo stato del cespite, sottoponendo a questa Corte una rivisitazione dei fatti come accertati dai giudici di merito.
Parimenti inammissibile è l’ultima doglianza per le medesime ragioni esposte con l’esame del secondo strumento di ricorso per cassazione.
I ricorrenti si sono limitati ad enunciare per punti i motivi di appello pretermessi dai giudici regionali. Nondimeno, questa Corte osserva brevemente che anche il motivo in esame non corrisponde ai requisiti di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quanto la deduzione del vizio di omessa pronuncia, nel caso in esame, non rispetta il principio consolidato di questa Corte, secondo cui «è
inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano ‘nuove’ e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte» (principio consolidato: Cass. 20/08/2015, n.17049).
Orbene, da pagina 25 e ss, i ricorrenti trascrivono sinteticamente i motivi di appello sottoposti alla CTR in modo confuso e non correlato allo svolgimento del processo, tano da non consentire a questa Corte di cogliere in primo luogo il senso di molte delle censure trascritte e soprattutto la loro decisività; né risulta -se non in parte- se detti motivi siano stati formulati in primo grado.
In ogni caso, il quarto motivo di appello non considera affatto la valutazione del giudice di merito al contenuto della dichiarazione sostitutiva, né appare dirimente l’inerzia del Comune per talune annualità prima di emettere l’avviso opposto, inerzia che non rappresenta -come assume parte ricorrente -un comportamento equiparabile al silenzio assenso. La quinta censura d’appello lamenta l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie già ritenuta inammissibile sub secondo motivo del ricorso per cassazione.
Il sesto motivo -nella sua confusa formulazione -lamenta il difetto del contraddittorio endoprocedimentale, in merito al quale questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di
enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Cass SU 24823/15;Cass. n.11560/18; Cass 27421/18; Cass. n. 9978/2021; Cass. n. 14357/2022; Cass. n.7966/2024). Nel caso di specie poiché il tributo IMU non risulta essere armonizzato a livello della UE, l’obbligo di contraddittorio non sussiste. Sotto altro profilo, deve evidenziarsi come il contribuente abbia ricevuto l’avviso di sopralluogo, trascurando di parteciparvi, come dal medesimo asserito in ricorso.
Ed ancora del tutto inconferenti appaiono le allegazioni relative ad una ipotetico consolidamento del silenzio assenso, sul presupposto che presentata la dichiarazione per l’agevolazione nel 2012, il Comune avrebbe recuperato l’IMU solo tempo dopo, avendo l’ente locale attivato il recupero per l’annualità 2014 e dunque nei termini di legge, così come inammissibile per difetto di specificità la denuncia relativa al deficit motivazionale dell’avviso, forse formulato per la prima volta in sede di appello e comunque non corredato dall’avviso opposto.
In ogni caso, pur volendo sottacere i profili di inammissibilità di una modalità di deduzione del tutto generica, priva di riferimenti normativi, che si sostanzia nella prospettazione di un elenco di argomentazioni, risulta già affermato da questa Corte che ‘In base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo dell’omesso esame in merito alla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti
testualmente i passi della motivazione di detto avviso, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso. (Vedi Cass. n. 16147 del 2017 e n. 9536 del 2013, nonché Cass. n. 28570 del 2019; Cass. n.382/2022).
Segue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nulla va disposto in relazione alle spese del presente giudizio di legittimità, essendo rimasto solo intimato il Comune di Como.
A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza camerale della Sezione tributaria della Corte di Cassazione, svoltasi in data 13.11.2024.
IL PRESIDENTE
NOME COGNOME PISA