Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32184 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32184 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19264/2023 R.G. proposto da:
COMUNE DI COMO, in persona del Sindaco p.t., elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 1906/2023 depositata il 09/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.I contribuenti indicati in epigrafe impugnavano gli avvisi di accertamento, nn. 8152 e 8149, del 9 marzo 2021 per il recupero dell’Imu relativa all’annualità di imposta 2015, eccependo la decadenza dal potere impositivo e la non debenza dell’imposta per l’immobile per il quale era stata presentato nell’anno 2012 dichiarazione per la riduzione dell’imposta a causa dell’inagibilità dell’immobile ubicato in INDIRIZZO
Con la sentenza n. 104/2022, la Commissione Tributaria Provinciale di Como rigettava il ricorso proposto dai contribuenti, affermando che gli avvisi di accertamento impugnati erano stati notificati in data 24 marzo 2021, entro il termine di decadenza prorogato per ottantacinque giorni ( sospensione Covid) e rilevando che, secondo il disposto dell’art.13 comma 3, d.l. n 201/2011, la base imponibile dell’imposta municipale è ridotta del 50 per cento per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono dette condizioni.
Sull’appello dei contribuenti, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia, con la sentenza n. 1906/2023, depositata il 9 giugno 2023, accoglieva l’appello proposto e per l’effetto, annullava gli avvisi di accertamento IMU 2015 emessi dal Comune di Como, sul rilievo che .
Ricorre, svolgendo tre censure, il Comune di Como.
Replicano con controricorso e memorie illustrative i contribuenti.
MOTIVI DI DIRITTO
1.La prima censura prospetta . Si assume che la Corte di Giustizia Tributaria della
Lombardia ha confermato lo stato di inagibilità dell’immobile per cui è causa, trascurando di verificare un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, consistente nella documentazione fotografica allegata alla richiamata DIA e nelle Comunicazioni di Eseguita Attività (CEA) del 19 aprile 2013, e del 7 maggio 2015, da cui emerge la rappresentazione di uno stabile in buone condizioni di manutenzione, relativamente al quale i lavori eseguiti dai ricorrenti non risultavano finalizzati a porre rimedio ad una preesistente situazione di inagibilità, bensì a rendere l’immobile confacente alle loro esigenze. Dalla DIA del 10 dicembre 2012, nonché dai documenti progettuali per eseguire opere in variante alla SCIA PG 35570 prodotti dall’ente locale nel giudizio di primo grado emerge che il progetto prevedeva ‘un limitato ampliamento dell’unità al piano terreno, la realizzazione di un ascensore, l’ampliamento dell’autorimessa al piano interrato e la sistemazione complessiva dell’intero immobile con particolare attenzione alla riqualificazione energetica’. Vengono infatti descritti ampliamenti (cucina e due camere) e riduzioni delle dimensioni di alcuni locali (ripostigli e disimpegni); modifiche di destinazione d’uso di certi vani (un ripostiglio viene variato in sala da bagno, una camera adibita a lavanderia); apertura di nuove finestre e chiusura di alcune finestre preesistenti; abbattimento e ricostruzione di alcuni muri interni di delimitazione di talune stanze. L’omessa analisi, da parte del Giudice di secondo grado, della documentazione prodotta dall’Amministrazione comunale nel corso del primo grado di giudizio ha comportato, ad avviso dell’amministrazione comunale, un difetto di motivazione della sentenza impugnata.
Il Comune di Como ricorrente censura, di poi, sotto il profilo della violazione di legge, la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria della Lombardia, nella parte in cui ha erroneamente applicato le norme legislative e regolamentari disciplinanti la materia, atteso
che secondo il previgente Regolamento comunale IMU, richiamando il dettato normativo di cui all’art. 13, d.l. n. 201/2011: ‘ L’imposta è ridotta del 50 per cento per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati, limitatamente al periodo dell’anno durante il quale sussistono tali condizioni. L’inagibilità o inabitabilità deve consistere in un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria. Hanno tali caratteristiche i fabbricati e le unità immobiliari che necessitino di interventi di restauro e risanamento conservativo e/o di ristrutturazione edilizia, ai sensi dell’art . 31 comma 1, lett.c), d) ed e), della legge 5 agosto 1978, n. 457 e successive modificazioni per i quali è necessario ottenere dal Comune il ‘permesso di costruire’ di cui all’art. 10 del DPR 380/2001, ovvero, la ‘dichiarazione di inizio attività’ (DIA) di cui all’art. 22 e 23 del DPR 380/2001, se prevista dalla vigente normativa per i predetti interventi>. Alla stregua della normativa citata l’inagibilità o l’inabitabilità devono consistere in un degrado fisico sopravvenuto (fabbricato diroccato, pericolante, fatiscente) non superabile con interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria e che non possono essere considerati inagibili o inabitabili i fabbricati per i quali sono in corso, come nel caso che ci occupa, interventi edilizi di costruzione, di demolizione, di ristrutturazione o, comunque, quei fabbricati il cui mancato utilizzo sia dovuto a lavori finalizzati alla conservazione, ammodernamento o miglioramento. Al contrario, l’immobile in questione, come accertato dai giudici di primo grado, non si trovava in uno stato di fatiscenza strutturale ma, semplicemente, in uno stato di cattiva conservazione e risultava bisognevole di interventi manutentivi da parte dei proprietari.
Aggiunge l’ente ricorrente che i contribuenti, con atto depositato presso il Comune in data 11 settembre 2012, hanno presentato una domanda priva delle necessarie dichiarazioni circa la
sussistenza delle condizioni di inagibilità dell’immobile, così come disciplinate dall’art. 6 bis del Regolamento comunale IMU ed hanno omesso di presentare la ‘dichiarazione sostitutiva di atto notorio’ inerente le condizioni di presunta inagibilità ed inabitabilità dell’immobile così come disciplinate, puntualmente, dall’art. 6 bis del Regolamento comunale IMU.
2. Con il secondo mezzo di ricorso si deduce . Si censura la sentenza di appello nella parte in cui, in difformità della vigente normativa in epigrafe, sulla base di erronee qualificazioni della fattispecie giuridica in esame, ha statuito apoditticamente che l’immobile di proprietà dei contribuenti sarebbe stato inutilizzabile se non dopo un radicale intervento di restauro, ristrutturazione e di risanamento costruttivo. In realtà, nella fattispecie oggetto di causa, la ristrutturazione edilizia effettuata sul fabbricato, non risulta essere stata finalizzata al recupero della condizione di inagibilità dell’immobile, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 6 bis del Regolamento comunale IMU, quanto a consentire una migliore fruibilità dello stesso; in altri termini, gli interventi effettuati non risultavano necessari per sopperire al degrado strutturale del fabbricato – che è stato edificato nel 1966 e i cui elementi strutturali risultavano integri -ma erano finalizzati a modificarne la struttura interna ed a regolarizzare le porzioni che risultavano abusive. Il Comune di Como richiama l’elaborato peritale del Tribunale da cui risulterebbe che i fabbricati di cui trattasi non vengono descritti come ‘diroccati, pericolanti e fatiscenti’, tanto che in base ai parametri edilizi, l’elaborato peritale qualifica le condizioni dell’edificio come ‘buone’ ovvero ‘sufficiente’. In
definitiva, la Corte di Giustizia Tributaria della Lombardia ha erroneamente omesso di considerare che la condizione di inagibilità di un immobile, ai fini IMU, che può legittimare la riduzione del 50% della base imponibile, non è una condizione generica, riconducibile a qualsiasi difetto o mancanza, ma una condizione specifica di degrado strutturale, descritta in modo analitico nell’art. 6-bis del Regolamento IMU (allegato 8, all’atto di costituzione in giudizio, fascicolo di primo grado) e nell’art. 11 del Regolamento IUC, (allegato 9, all’atto di costituzione in giudizio, fascicolo di primo grado), ai quali occorre fare riferimento, ai sensi e per gli effetti di quanto previsto dall’art. 4, comma 5, lett. b), del DL 16/2012, convertito dalla legge n. 44/2012 che ha integrato quanto previsto dall’art. 13, comma 3, secondo periodo, lettera b), del d.l.201/2011, in merito alla potestà dei Comuni di disciplinare le caratteristiche di fatiscenza sopravvenuta del fabbricato, necessarie per poter beneficiare della riduzione IMU per immobile inagibile.
3. Il terzo strumento di ricorso espone il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ex art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5) c.p.c., in relazione all’art. 47 del d.p.r. 28/12/2000; per avere i giudici regionali attribuito efficacia determinante alla documentazione prodotta dai contribuenti, in sede di dichiarazione sostitutiva di atto notorio, ancorchè contestata dall’Amministrazione comunale. Si afferma che gli odierni ricorrenti non potevano chiedere al Comune di Como quale fosse la ‘base imponibile’, in quanto era loro onere presentare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi del d.P.R. n. 445/2000 ovvero, ai sensi dell’art. 13, comma 3, secondo periodo, lettera b) del d.l. 201/2011, chiedere all’Ufficio tecnico comunale di accertare la sua inagibilità o inabitabilità, con perizia a carico del proprietario. Al contrario, l’atto depositato in data 11 settembre 2012 non contiene alcuna affermazione circa la sussistenza delle condizioni di inagibilità degli immobili, così come disciplinate dall’art. 6 bis del
Regolamento IMU, reiterando prolissamente le difese già svolte con i precedenti motivi di ricorso.
Tutte le censure non superano il vaglio di ammissibilità.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c. deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. sez. un., n. 17931 del 2013; Cass. n. 24553 del 2013; conf. Cass. n. 24849 del 2015). In termini generali va, dunque, rilevato che, nel ricorso per cassazione, non è consentita la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione tra loro eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c., non essendo permessa la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. La lettura dell’intero corpo dei relativi mezzi d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che comporta l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). L’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti
l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, palesemente mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 7009/2017; Cass. n. 26874 e n. 26790 del 2018; Cass. n. Cass. nn.39169 e 36881 del 2021; Cass. n. 3397/2024).
I mezzi del ricorso per cassazione poi, laddove propongono il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. si risolvono, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto rientrante nel sovrano apprezzamento del giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità. La Corte di cassazione, invero, non è legittimata a compiere una rivalutazione degli atti processuali, dei fatti o delle prove, potendo soltanto controllare che la motivazione della sentenza impugnata sia lineare e scevra da vizi logico -giuridici ( Cass. n. 8758/2017; S.U. n. 34476/2019; Cass. n. n.20753/2021, in motiv.; Cass. n. 20068/2023; Cass. n. 23347/2024, in motiv.)
Ed invero, il ricorrente mostra in realtà di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018, in motiv.). E peraltro, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non
condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare. (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
Pur a voler ritenere che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza quanto meno la doglianza prospettata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esso fosse stato articolato in motivi diversi, singolarmente numerati, deve pervenirsi comunque alla statuizione di inammissibilità, in quanto il vizio cassatorio dedotto può ritenersi sussistente soltanto nel caso di totale obliterazione del documento o di elementi deducibili dal documento che si palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che la Corte di cassazione esprime sul piano astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice di merito( Cass. n. 13625 del 21/05/2019; Cass. n. 15733 del 17/05/2022). In particolare, il “fatto” di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame deve possedere i due necessari caratteri dell’essere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti. Ai sensi della norma, non sono fatti le argomentazioni o deduzioni difensive, gli elementi istruttori, il vario insieme dei materiali di causa, di istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità
della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (Cass., sez. III, 07/09/2022, n.26364). Orbene, con le censure in rassegna, non è stato chiarito in che senso l’esame dei documenti indicati avrebbe carattere di “decisività” posto che la sentenza impugnata si fonda sull’esame della documentazione, ance fotografica, allegata dalle parti da cui ha inferito .
Sotto altro profilo, il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione impone al ricorrente di indicare tutte le circostanze e tutti gli elementi con incidenza causale sulla controversia, il cui controllo deve avvenire sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative. In proposito va ribadito l’orientamento di questa Corte secondo il quale «Qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove documentali, per il principio di autosufficienza ha l’onere non solo di trascrivere il testo integrale, o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l’irrilevanza giuridica della sola produzione o trascrizione documentale che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione»(Cass. n.
13625 del 21/05/2019; Cass. n. 15733 del 17/05/2022; Cass. n. 18506 del 25.08.2006).
Nel caso di specie il Comune ricorrente si è limitato a indicare i documenti non considerati dal giudice del merito, senza alcuna specifica trascrizione delle allegazioni sottoposte al giudice d’appello; in tal modo la censura si risolve in un’affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, in violazione del principio di autosufficienza, che mira ad assicurare che il ricorso per Cassazione consenta, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere.
Non va sottaciuto, di poi, che la valutazione delle prove, il giudizio sull’attendibilità dei testi e la scelta, tra le varie risultanze istruttorie, di quelle più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di formare il suo convincimento utilizzando gli elementi che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti, essendo limitato il controllo del giudice della legittimità alla sola congruenza della decisione dal punto di vista dei principi di diritto che regolano la prova (Cfr. Cass., Sez. 1, sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448; Cass., Sez. L, sentenza n. 42 del 7 gennaio 2009, Rv. 606413; Cass., Sez. L., sentenza n. 2404 del 3 marzo 2000, Rv. 534557).
Segue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono il criterio della soccombenza.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alle refusione delle spese di lite sostenute dai contribuenti che liquida in euro 2.000,00, per compensi, oltre 200,00 euro per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’udienza camerale della Sezione