Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4425 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 4425 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: CORTESI NOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7264/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE a socio unico in liquidazione , in persona del liquidatore NOME COGNOME NOME e COGNOME rappresentati e difesi, per procura in calce alla comparsa di costituzione di nuovo procuratore del 4 novembre 2020, dall ‘ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso l ‘ indirizzo di posta elettronica certificata di quest ‘ ultimo
-ricorrenti – contro
IRAP IRPEF IVA ACCERTAMENTO
RAGIONE_SOCIALE , in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente -avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 8248/51/15, depositata il 18 settembre 2015; udita la relazione svolta dal consigliere dott. NOME COGNOME nella pubblica udienza del 24 gennaio 2025; sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME il quale ha chiesto il rigetto del ricorso; Avvocato dello sentiti l ‘ Avvocato NOME COGNOME per i ricorrenti e l ‘ Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
L ‘ Agenzia delle Entrate notificò a RAGIONE_SOCIALE (che in seguito mutò denominazione in RAGIONE_SOCIALE a socio unico RAGIONE_SOCIALE, successivamente posta in liquidazione) un avviso di accertamento con il quale riprendeva a tassazione un maggior reddito, ai fini Irpef e Iva, per l ‘ anno d ‘ imposta 2005.
L ‘ atto impositivo faceva seguito a una verifica fiscale che aveva condotto al rilievo dell ‘ inattendibilità delle scritture contabili, dell ‘ indebita deduzione di costi e dell ‘ omessa contabilizzazione di ricavi, appostati come finanziamento soci; il maggior reddito della società era stato stimato in base agli studi di settore.
Poiché si trattava di società di capitali a ristretta base partecipativa, l ‘ Amministrazione notificò due atti impositivi dal contenuto analogo ai soci NOME e NOME COGNOME ciascuno dei quali era titolare della metà delle quote.
La società e i soci impugnarono gli atti impositivi con distinti ricorsi innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale, riunite le impugnazioni, le accolse.
L ‘ Agenzia delle Entrate appellò la sentenza negli esclusivi confronti della società.
La Commissione tributaria regionale della Campania, investita del gravame, lo accolse, rilevando:
che la mancata estensione del giudizio d ‘ appello ai soci non spiegava alcun effetto in punto alla procedibilità del gravame, non vertendosi in ipotesi di litisconsorzio necessario;
che l ‘ appello erariale doveva ritenersi ammissibile, ancorché articolato con la riproposizione delle deduzioni svolte in primo grado, poiché dette ultime erano state adeguatamente riferite ai punti contestati della sentenza oggetto di impugnazione;
che era fondato l ‘ addebito erariale di inattendibilità delle scritture contabili, poiché nel registro dell ‘ inventario mancava l ‘ indicazione delle rimanenze iniziali e finali delle lavorazioni in corso, risultando riportato il solo valore globale; né tale irregolarità poteva ritenersi sanata dalla tenuta del bilancio, scrittura contabile distinta dall ‘ inventario;
che, del pari, risultava un ‘ indebita deduzione di costi per più voci, corrispondenti a tipologie di fattura generiche, rispetto alle quali le deduzioni della società contribuente non avevano consentito di superare i dubbi di competenza e inerenza;
che, ancora, andavano riletti in contabilità gli importi imputati alla voce ‘finanziamento soci’, rispetto ai quali operava la presunzione di ricavi non contabilizzati, non superata dai rilievi difensivi della società;
-che, infine, la rideterminazione dei redditi ad opera dell ‘ Ufficio appariva corretta in base agli studi di settore.
La sentenza d ‘ appello è stata impugnata, con unico ricorso per cassazione affidato a nove motivi, da RAGIONE_SOCIALE a socio unico in liquidazione, nonché da NOME e NOME COGNOME.
L ‘ amministrazione finanziaria ha depositato controricorso.
I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell ‘ udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, denunziando «errata interpretazione dell ‘ art. 332 cod. proc. civ. in riferimento all ‘ art. 324 cod. proc. civ.», nonché «omissione e contraddittorietà della decisione», i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha omesso di dichiarare il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti dei soci, in dipendenza del fatto che l ‘ Amministrazione finanziaria non aveva notificato loro l ‘ atto introduttivo del giudizio d ‘ appello.
Il secondo motivo (indicato con la numerazione ‘2A’, dal che segue la numerazione dei successivi in progressione come 2B, 2C, ecc… fino al settimo mezzo d ‘ impugnazione) è rubricato «errata interpretazione e/o mancata applicazione dell ‘ art. 53, comma 2, d.lg.vo 546/92 in violazione dell ‘ art. 360 n. 3 e n. 5».
I ricorrenti si dolgono del fatto che i giudici d ‘ appello abbiano omesso di dichiarare il gravame inammissibile, in quanto non proposto nei confronti di tutte le parti del giudizio di primo grado.
Con il terzo mezzo, rubricato «errata interpretazione degli artt. 1, comma 2, d.l.vo 546/92 in riferimento all ‘ art. 342 cod. proc. civ. e violazione dell ‘ art. 360 cod. proc. civ. 3 per omessa, insufficiente specifica esplicitazione nell ‘ atto d ‘ appello dei motivi di gravame», i ricorrenti assumono che la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il gravame erariale in quanto non articolato in motivi specifici.
Il quarto motivo denunzia vizio di ultrapetizione.
La C.T.R. avrebbe infatti errato nell ‘ accogliere l ‘ appello, in presenza di una mera richiesta di «totale riforma» della sentenza di primo grado, in ruolo della rituale indicazione «di quali fossero i termini della riforma da effettuarsi».
Il quinto motivo, rubricato «errata interpretazione ed erronea applicazione dell ‘ art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 in tema di accertamento induttivo, anche in riferimento all ‘ art. 2697 c.c. in tema di distribuzione dell ‘ onere della prova ed in relazione agli artt. 360 n. 3 e n. 5», concerne il capo della sentenza impugnata che ha ritenuto fondato il rilievo di inattendibilità delle scritture contabili.
I ricorrenti assumono che, sul punto, i giudici d ‘ appello avrebbero «omesso la motivazione» e reso una «decisione contraddittoria», trascurando di valutare «la documentazione prodotta come da foliario al fine della confutazione dell ‘ assunto» dell ‘ Agenzia delle Entrate; avrebbero, inoltre, omesso di indicare «le circostanze gravi, precise e concordanti per ritenere l ‘ inattendibilità delle scritture» e «il ragionamento logico per l ‘ individuazione della percentuale di ricarico», che, in quanto corrispondente al 130% dell ‘ ammontare dei ricavi non contabilizzati, sarebbe determinata da «mancanza dei presupposti e falsa applicazione delle norme di diritto».
Il sesto motivo concerne la specifica statuizione sulle scritture contabili; i ricorrenti, denunziando «errata interpretazione degli artt. 2214 ss. c.c. per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio», sostengono che il libro inventari deve recare annotate le sole ‘risultanze finali’ derivanti dalle altre scritture, poiché i dati analitici sulle operazioni afferiscono al registro
vendite e a quello acquisti; di qui il rilievo di erroneità della sentenza impugnata, che, sul punto, aveva condiviso i rilievi erariali.
Il settimo motivo è rubricato «errata interpretazione e violazione dell ‘ art. 112 c.p.c. per omessa analitica indicazione nella sentenza dei motivi posti a sostegno della decisione in relazione all ‘ art. 360 c.p.c. n. 3 e n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio».
Secondo i ricorrenti, la sentenza d ‘ appello sarebbe totalmente priva di motivazione in relazione alla statuizione concernente la non deducibilità dei costi.
L ‘ottavo mezzo (indicato in ricorso con la lettera ‘G’) concerne il capo della decisione relativo all ‘ omessa contabilizzazione di ricavi, imputati dalla contribuente a finanziamento soci.
In proposito i ricorrenti, deducendo «violazione di legge in riferimento all ‘ art. 2467 c.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, assumono che la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare «tutta una serie di documenti, documentazione non impugnata e/o altrimenti superata, agli atti cui si rimanda», prodotta da NOME COGNOME idonea a dimostrare l ‘ effettiva sussistenza di un finanziamento da parte dei soci.
Infine, con il nono motivo (indicato con la lettera ‘H’), rubricato «errata interpretazione dell ‘ art. 109 del TUIR per errata omessa interpretazione della norma sulla deducibilità e detraibilità delle spese in riferimento all ‘ art. 1599 c.c. in tema di locazione ed agli artt. 2697 e ss. c.c. in tema di assolvimento dell ‘ onere della prova», i ricorrenti censurano nuovamente la
statuizione concernente i costi, dei quali, partitamente e analiticamente, rappresentano invece il possesso dei requisiti di certezza ed inerenza.
10. Preliminarmente allo scrutinio dei motivi, occorre ribadire che, all ‘ esito della sentenza di primo grado, l ‘ Amministrazione propose appello nei soli confronti della società contribuente.
I motivi di appello, infatti, concernevano esclusivamente la decisione resa nei confronti della società e il merito della pretesa erariale riferito al reddito di questa; tant ‘ è che l ‘ atto introduttivo del giudizio non fu notificato ai soci, che, conseguentemente, non presero parte al successivo giudizio.
Di tale circostanza, del resto, ha dato chiaramente atto la sentenza impugnata, traendone, come si è detto, le dovute conseguenze in punto all ‘ eccezione di inammissibilità del gravame erariale sollevata dalla società contribuente.
La stessa circostanza, per le ragioni che fra breve si esporranno, assume rilievo in merito ai primi due motivi di ricorso; fin d ‘ ora, tuttavia, essa funge da argomento indefettibile per rilevare l ‘ inammissibilità del ricorso proposto dai soci in relazione al loro reddito di partecipazione, proprio in quanto gli stessi non erano parti nel giudizio d ‘ appello.
Su tale base si può passare all ‘ esame del primo motivo di ricorso -che appare formulato nell ‘ interesse esclusivo dei soci, in quanto volto a censurare il mancato rilievo, da parte della C.T.R., del giudicato formatosi nei loro confronti -e che manifesta un ulteriore profilo di inammissibilità.
I ricorrenti, infatti, veicolano con il ricorso per cassazione, anziché una critica al provvedimento impugnato, una domanda di accertamento sull ‘ esistenza o meno del giudicato nei confronti di alcuni di loro; richiesta che non risultano aver formulato in sede
d ‘ appello (e sulla quale, quindi, la sentenza impugnata non poteva statuire) e che avrebbe invece dovuto rivestire, se del caso, la forma dell ‘ istanza ex art. 124 disp. att. cod. proc. civ. innanzi al cancelliere competente.
12. Il secondo motivo è anzitutto inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi .
Ad avviso dei ricorrenti, infatti, la C.T.R. avrebbe dovuto dichiarare l ‘ inammissibilità dell ‘ appello in quanto non proposto «nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio» di primo grado; ma una tale statuizione avrebbe presupposto il rilievo della sussistenza di una fattispecie di litisconsorzio necessario, che invece la sentenza appellata ha espressamente escluso.
I giudici regionali, in particolare, hanno rilevato che la riunione dei ricorsi in primo grado ne aveva comportato unicamente la trattazione simultanea, facendo «conservare ai procedimenti la loro individualità», tant ‘ è che «legittimamente l ‘ Agenzia proposto appello nei confronti di una sola controparte».
In questo senso, peraltro, il motivo svela anche la sua radicale infondatezza; la decisione della C.T.R. si pone, infatti, in continuità con la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l ‘ impugnazione dell ‘ avviso di accertamento emesso nei confronti dei soci di una società di capitali, avente ad oggetto il maggior reddito da partecipazione derivante dalla presunzione di distribuzione dei maggiori utili accertati a carico della società partecipata, non determina un ‘ ipotesi di litisconsorzio necessario tra società e soci, sussistendo unicamente un nesso di pregiudizialità-dipendenza tra l ‘ accertamento sociale e quelli ulteriori ( ex plurimis , Cass. n. 31214/2023; Cass. n. 94/2022; Cass. n. 20507/2017).
13. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, meritevoli di scrutinio congiunto per la loro connessione, sono infondati.
La valutazione di ammissibilità del gravame da parte dei giudici d ‘ appello è stata resa, infatti, in conformità ai dettami di questa Corte, secondo la quale, in particolare, la mancanza o l ‘ assoluta incertezza dei motivi specifici dell ‘ impugnazione, che determinano l ‘ inammissibilità dell ‘ appello ai sensi dell ‘ art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546/1992, non sono ravvisabili qualora il gravame, benché formulato in modo sintetico, contenga una motivazione interpretabile in modo inequivoco.
Gli elementi di specificità dei motivi si possono infatti ricavare, anche per implicito, dall ‘ intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (così, fra le altre, Cass. n. 15519/2020; Cass. n. 707/2019).
È noto, in proposito, che l ‘ art. 53 del d.lgs. n. 546/1992 dev ‘ essere interpretato restrittivamente, in conformità all ‘ art. 14 disp. prel. cod. civ., poiché costituisce disposizione eccezionale che limita l ‘ accesso alla giustizia; una tale interpretazione è volta, quindi, a consentire un effettivo sindacato sul merito dell ‘ impugnazione ogni qual volta nella stessa risulti sufficientemente espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado.
14. Il quinto motivo è inammissibile sotto diversi profili.
Innanzitutto, esso consiste in un coacervo di censure senza il rispetto del canone della specificità, ciò che determina, nella parte argomentativa, la difficoltà di scindere le ragioni poste a sostegno dell ‘ uno o dell ‘ altro vizio e, dunque, di effettuare puntualmente l ‘ operazione di interpretazione e di sussunzione delle censure
stesse (in tal senso, per la radicale inammissibilità, fra le numerose altre, Cass. n. 4616/2020; Cass. n. 21239/2015).
Esso, inoltre, finisce con il sollecitare un riesame nel merito degli apprezzamenti compiuti dai giudici d ‘ appello, laddove, in particolare, evoca il mancato esame «della documentazione come da foliario» che poi omette di indicare specificamente, in aperta violazione dell ‘ art. 366, num. 6), cod. proc. civ.
Infine, per la parte in cui denunzia una violazione dell ‘ art. 2697 cod. civ., la censura si risolve in una critica al fatto che i giudici d ‘ appello abbiano ritenuto maggiormente persuasive alcune prove anziché altre; con il che essa si disallinea dall ‘ unico modello di sindacato consentito in questa sede con riferimento alla disciplina dell ‘ onere della prova, che va limitato al caso in cui il giudice abbia fatto gravare tale onere su una parte diversa da quella alla quale spettava, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (in questo senso, da ultimo, Cass. n. 26739/2024).
15. Il sesto motivo è infondato.
La tesi esposta in ricorso, secondo la quale il libro inventari dovrebbe annotare le sole ‘risultanze finali’ , confligge con il criterio fiscale della corretta valutazione delle rimanenze, che nell ‘ inventario è imposto dall ‘ art. 59, primo comma, TUIR (oggi art. 92 TUIR); detta valutazione «deve in tal senso confluire nel conto dei profitti e delle perdite» e «l ‘ eventuale errore presente nella redazione dell ‘ inventario si deve ritenere corretto soltanto dall ‘ esposizione delle rimanenze nel conto dei profitti e delle perdite secondo le modalità indicate dalla detta norma» (così Cass. n. 8879/2007).
In altri termini, il libro degli inventari deve consentire la ricostruzione della valutazione delle rimanenze secondo i
richiamati criteri legali; va così esente da censure, sul punto, la sentenza impugnata, secondo la quale non era possibile addivenire ad alcuna ricostruzione poiché il libro inventari della società contribuente ometteva di indicare le rimanenze iniziali e finali.
Il settimo motivo non supera il vaglio di ammissibilità in ragione della sua formulazione; anche in questo caso, infatti, la censura -che contiene la denunzia di plurime violazioni di legge, difetto di motivazione e omesso esame di un fatto controverso -difetta radicalmente di specificità e non può essere ricondotta in modo chiaro e inequivocabile ad una delle ragioni tassative di impugnazione stabilite dall ‘ art. 360 cod. proc. civ.
Lo scrutinio dell ‘ ottavo mezzo di ricorso conduce alle medesime conclusioni.
Il motivo, inoltre, ha ad oggetto la statuizione inerente al rilievo per omessa contabilizzazione di ricavi, che assume errata perché i giudici d ‘ appello non avrebbero esaminato «tutta una serie di documenti, documentazione non impugnata e/o altrimenti superata, agli atti cui si rimanda»; anche in questo caso, pertanto, esso risulta redatto in violazione dell ‘ art. 366, num. 6, cod. proc. civ.
Infine, la sovrapposizione di censure non distinguibili designa l ‘ inammissibilità anche del nono ed ultimo motivo di ricorso; lo stesso motivo, inoltre, sollecita espressamente un riesame della documentazione relativa ai costi ritenuti non deducibili, e dunque una forma di sindacato estranea al perimetro del giudizio di legittimità.
In conclusione, il ricorso dei soci va dichiarato inammissibile; va rigettato il ricorso della società.
Le spese, poste a carico dei ricorrenti in solido, sono liquidate in dispositivo.
Sussistono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al pagamento di un importo pari al doppio del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE dichiara inammissibile il ricorso proposto da COGNOME NOME e COGNOME NOME; condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in € 5.800,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di