Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 13918 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 13918 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3079/2018 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME E COGNOME, COGNOME, COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE UFFICIO RAGIONE_SOCIALE COSENZA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CATANZARO n. 1773/2017 depositata il 19/06/2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/03/2025
dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
A seguito di verifiche e contraddittorio in sede amministrativa, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. TD3020200784, relativo all’anno di imposta 2007, nonché ai soci COGNOME NOME e COGNOME NOME, rispettivamente, gli avvisi nn. TD3010200785 e TD3010200787, che venivano tutti impugnati dai contribuenti avanti alla CTP di Cosenza.
I ricorsi dei contribuenti erano respinti dalla sentenza n. 25328/2015 della CTP di Cosenza.
Anche l’appello proposto dai medesimi contribuenti è stato respinto dalla decisione della CTR di Catanzaro n. 1773/2017.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione i contribuenti sulla scorta di plurime contestazioni.
Resiste l’ufficio con controricorso , con il quale ha eccepito l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso avversario.
E’stata, quindi, fissata udienza camerale per il 06.03.2025.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso proposto dai contribuenti avverso la sentenza della C.T.R. di Catanzaro, n. 1773/2017 si fonda su plurimi rilievi, così sintetizzati dagli stessi ricorrenti nella parte finale del ricorso: ‘si chiede alla Ecc.ma Corte, pertanto, di cassare la sentenza impugnata, in quanto basata su motivazione apparente, ai sensi e per gli effetti dell’art. 360 c.p.c. comma 3 per la violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, nonché dell’art. 132 c.p.c. comma 4 (e dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/92 per le sentenze tributarie), relativi al contenuto della sentenza, nonché degli articoli 111 Cost. e 6 della CEDU, inerenti il giusto processo, nonché dell’art. 3 della Costituzione, violato in relazione al mancato esame della documentazione prodotta dalla odierna parte ricorrente.
2. I motivi di contestazione proposti, in quanto fra loro collegati, debbono essere trattati congiuntamente ed appaiono, invero, inammissibili in quanto formulati in modo del tutto generico, con una eccessiva ed inestricabile mescolanza di questioni e doglianze a volte neppure riconducibili alla tipizzazione dei motivi di ricorso di legittimità prevista dall’art. 360 c.p.c. e, comunque, altresì formulati in violazione del principio di specificità ed autosufficienza. Come si è correttamente affermato, nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla SRAGIONE_SOCIALE. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. (Sez. 3, ord. n. 20870 del 26/07/2024).
Inoltre, si è pure rettamente stabilito che in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile il motivo che contiene la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge e di contratto collettivo, oltre alla doglianza di una erronea valutazione dei fatti di causa, con riferimento alle diverse ipotesi contemplate
dall’art. 360, comma 1, c.p.c., senza adeguata indicazione di quale errore, tra quelli dedotti, sia riferibile ai singoli vizi tra quelli tipicamente indicati, in quanto la sovrapposizione di censure di diritto, sostanziali e processuali, non consente alla Corte di cogliere con certezza le singole doglianze prospettate, dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità (Sez. 6 – L, ord. n. 36881 del 26/11/2021; in precedenza anche Sez. 1, ord. n. 26874 del 23/10/2018, secondo cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei).
Nel caso di specie il ricorso è proposto, sostanzialmente, diviso in paragrafi ed a ‘forma libera’, sovrapponendo contestazioni ora di legittimità, ora di motivazione, nonché affrontando -in parti neppure nettamente distinte -ora argomentazioni riferibili alla società ricorrente, ora relative alla posizione dei suoi soci.
Vengono sì, in alcuni punti, riportati alcuni passi della sentenza impugnata, ma solo per sottoporli ad una censura che -non riportando neppure una precisa ricostruzione degli avvisi di accertamento impugnato -rende praticamente impossibile ricostruire, sulla scorta del medesimo ricorso, le specifiche pretese tributarie contestate ed i vizi che affliggerebbero la sentenza impugnata. La formula riassuntiva finale del ricorso, che dianzi si è riportata in termini letterali, evidenzia detta mescolanza.
Peraltro, anche ove non volesse condividersi il predetto giudizio riassuntivo -secondo un’analisi complessiva ed unitaria del ricorso -a diverse conclusioni neppure può pervenirsi attraverso un’analisi atomistica del medesimo.
Nel par. 1 dello stesso, infatti, si ravvisa una indubbia mescolanza e sovrapposizione di motivi di censura diversi, in cui al più è dato cogliere una contestazione della sentenza impugnata sotto il profilo della violazione dell’art. 342 c.p.c. in rapporto all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., per poi contestare -in sostanza -una presunta
omissione nell’esaminare le prove fornite. Tuttavia, nessun documento o atto processuale specifico viene puntualmente richiamato o trascritto, sì che il motivo di contestazione risulta anche deficitario rispetto al paradigma dell’autosufficienza.
A tal riguardo deve ricordarsi che il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. in caso di deduzione di errores in procedendo, impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Sez. 3 – , Ordinanza n. 21346 del 30/07/2024).
E’ ben vero che, talora, il principio in questione è stato riletto in modo meno formalistico, attraverso una interpretazione adeguatrice alla luce della norme CEDU, come si evince da Sez. 1, sent. n. 12481 del 19/04/2022: il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati.
Tuttavia, da un lato, tale decisione ha comunque, in concreto, ritenuto inammissibile il motivo che censurava l’error in procedendo
del giudice del merito, per non essere stato trascritto neanche in estratto il contenuto del verbale di udienza, individuato con la sola indicazione della data, né indicati i dati necessari per il suo reperimento nel fascicolo, oltre a non essere stato indicato se e quando fosse stata depositata una lista testimoniale sui capitoli di prova trascritti in ricorso.) Dall’altro, il rispetto di tale principio è stato anche successivamente ribadito dal S.C. quale onere che contempera il diritto di accesso al grado di legittimità della parte ed il razionale esplicarsi della nomofilachia di ultimo grado, così da non ammettere l’ordinamento indagini integrative da parte del giudice di legittimità, salvaguardando il rispetto delle forme un’esigenza non fine a se stessa, bensì connaturata e funzionale alla certezza del diritto ed all’ordinato esercizio della giurisdizione di ultimo grado (vds. ad esempio, Sez. 3, ord. n. 15058 del 29/05/2024; Sez. 2, ord. n. 12835 del 10/05/2024; Sez. 3, ord. n. 34395 del 11/12/2023; Sez. 1, ord. n. 33353 del 30/11/2023).
La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la compatibilità del requisito della cd. autosufficienza del ricorso con il principio di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, a norma del quale ‘Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…)’ -purché, secondo il criterio di proporzionalità, non si trasmodi in un ‘formalismo eccessivo’ anche alla luce della sua pregressa giurisprudenza in tema di ‘limitazioni del diritto di accesso a una giurisdizione superiore’, e in particolare alla Corte di cassazione, in ragione delle peculiarità del relativo procedimento (v. sentenze 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia; 27 giugno 2017, Sturm c. Lussemburgo; 18 ottobre 2016, Miessen c. Belgio; 15 settembre 2016, COGNOME c. Italia; 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia). Con la successiva sentenza 28 ottobre 2021 (COGNOME ed altri c. Italia) la Corte di Strasburgo ha concluso che le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione -e in particolare l’applicazione del principio di
autosufficienza -perseguono uno scopo legittimo e, in particolare, quello di ‘agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e permettere alla Corte di Cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione, che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia)’ e dunque, in ultima analisi, ‘la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia’ (vds. § 73 -75). La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo ha così fornito una giustificazione di sistema del principio di autosufficienza, in quanto funzionale al ruolo che deve assolvere una corte suprema, affermando altresì che le condizioni di ammissibilità di un ricorso per cassazione possono essere anche più rigorose di quelle di un appello (vds. § 79). Appare pertanto comunque fuori luogo il richiamo del ricorrente all’art. 6 CEDU o ai principi del giusto processo.
Analoghe conclusioni valgono per le contestazioni mosse dai ricorrenti al par. 2, nel quale si ravvisano inammissibilmente ricomprese doglianze circa un presunto deficit motivazionale (in particolare dove si farebbe riferimento ad un ‘fantomatico contratto d’appalto’ senza spiegazioni ulteriori), con il richiamo astratto a giurisprudenza in tema di travisamento della prova.
Nel par. 3 del ricorso si evidenzia invece -in termini estremamente generici -una violazione dell’art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c. relativo all’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, pur se -in sostanza -quello che si contesta è solo una possibile diversa lettura e valutazione delle prove dedotte in giudizio. Occorre infatti rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto un ambito restrittivo di impugnazione del difetto motivazionale sotto il profilo consentito dal ‘nuovo’ art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.
Ed infatti, la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 ha ridimensionato la possibile censura motivazione del provvedimento di merito, circoscrivendola alla necessità che ‘venga individuato un preciso fatto storico, sottoposto al contraddittorio delle parti, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di considerare’ (Sez. 5, ord. n. 18886 del 04/07/2023). Si è infatti correttamente sostenuto che ‘L’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal d.l. n. 83 del 2012, conv. dalla l. n. 143 del 2012, prevede l'”omesso esame” come riferito ad “un fatto decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate’ (Sez. 6 – 1, ord. n. 2268 del 26/01/2022; in precedenza cfr. Sez. U, sent. n. 8053 del 07/04/2014, secondo cui ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione’.
Peraltro, come già inizialmente avvertito, nel corso di questo paragrafo vengono altresì inserite censure che riguardano ora la posizione della società, ora quella dei suoi soci per i quali, in ogni caso, si avanzano contestazioni di carattere meritale, circa il valore probatorio dei documenti forniti e la valutazione della capacità di spesa di ciascuno se rapportati ai redditi dichiarati. E questo a prescindere dalla circostanza che, fra l’altro, quanto al socio COGNOME si afferma la ‘regolarità’ dell’acquisto di un’autovettura mediante versamento della somma di Euro 12.000 in contanti, provenienti da non meglio specificati risparmi accumulati entro il 2006; mentre per il socio COGNOME si contesta (come ‘già a tempo debito’) la proprietà di taluni immobili, di poi provvedendo ad una sommatoria non meglio giustificata di presunti costi di gestione degli stessi per dimostrarne la compatibilità con i redditi dichiarati.
Si è qui, di nuovo, di fronte alla inammissibile sollecitazione ad una riedizione del giudizio di merito che non è in questa sede consentita, così come da ultimo precisato -sulla scorta di una giurisprudenza assolutamente costante -da Sez. 2, ord. n. 10927 del 23/04/2024 (Rv. 670888 -01), per la quale ‘deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme’; in precedenza anche Sez. U, sent. n. 34476 del 27/12/2019 (Rv. 656492 – 03) ha affermato esplicitamente che ‘È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’.
Il paragrafo 4 del ricorso, infine, mescola nuovamente doglianze relative ad una presunta motivazione apparente della sentenza di merito impugnata (che per il vero avrebbe dovuto essere censurata ex art. 360 comma 1, n. 4 c.p.c. e non attraverso il n. 3 della stessa disposizione), per poi riproporre -in modo inammissibile per quanto sopra si è appena osservato -una diversa ricostruzione storica a partire dai documenti asseritamente depositati in giudizio (che tuttavia non vengono puntualmente e specificamente indicati e richiamati, neppure in modo riassuntivo).
In definitiva, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna alle spese, secondo il principio di soccombenza, con liquidazione in dispositivo.
Occorre, infine, dare atto dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato, se ed in quanto dovuto per legge, a carico della parte ricorrente.
P.Q.M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese processuali, che liquida in euro 4.100#, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. 115/2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura prevista per il ricorso, se ed in quanto dovuto per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione