Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 14830 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 14830 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/06/2025
Oggetto:
Tributi
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 14068/2016 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso (PEC: EMAILordineavvocativastoEMAIL)
-ricorrente – contro
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell ‘Abruzzo -sezione staccata di Pescara n. 1291/06/2015, depositata il 24.11.2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale dell ‘Abruzzo sezione staccata di Pescara accoglieva parzialmente l’appello proposto da NOME Giuseppe avverso la
sentenza della CTP di Chieti che aveva rigettato il ricorso proposto dal predetto contribuente avverso l’ avviso di accertamento, per imposte dirette e IVA, in relazione a ll’anno 200 7, con il quale l’Ufficio determinava maggiori ricavi ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973;
i giudici di appello hanno osservato, per quanto ancora qui rileva, che:
il primo giudice aveva aderito alla ricostruzione reddituale operata dall’Ufficio, in base alla quale, non essendo state indicate le rimanenze finali, l’intero costo del venduto, dato dalla sommatoria di rimanenze iniziali e acquisti, doveva essere assoggettato al ricarico che era stato calcolato mediante l’applicazione di una percentuale media di settore, pari all’8 6%;
-sebbene la percentuale di ricarico, calcolata dall’Ufficio , si discostasse notevolmente da quella applicata dal contribuente (e tale sproporzionalità giustificava l’applicazione del criterio basato sulle medie di settore), andavano considerate anche l’entità dell’attività svolta, la sua ubicazione e la presenza di strutture similari particolarmente attrezzate, per cui l’attività esercitata dal contribuente doveva ritenersi ‘marginale e/o min im ale’ e la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio risultava eccessiva;
ciò viene confermato dallo stesso Ufficio che, in sede di mediazione tributaria relativa all’anno d’imposta 2008, aveva accettato l’applicazione della percentuale di ricarico pari al 50% , proprio in considerazione dell’ubicazione dell’esercizio e della marginalità dell’attività svolta e successiva cessazione della stessa, sicchè la medesima percentuale andava adottata anche per l’anno 2007, in mancanza di evidenti elementi di variazione;
-un ulteriore elemento decisivo era dato dal fatto che l’Ufficio aveva riconosciuto, sempre in sede di mediazione per l’anno 2008,
rimanenze finali per l’anno 2007 per l’importo di euro 7 .187,00 (che rappresentavano anche le rimanenze iniziali per l’anno 2008), per cui il costo del venduto per l’anno 2007, applicata anche la percentuale di ricarico del 50%, era inferiore a quello accertato e il reddito d’impresa andava ridotto ad euro 23.495,00;
il contribuente impugnava la sentenza con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
l ‘Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
– Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 42, comma 2, 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 54 e 56, comma 5, del d.P.R. n. 633 del 1972, 7 della l. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., omesso esame di atti e documenti decisivi, con omessa pronuncia di causa e sulla nullità dell’accertamento iniziato con metodo ‘analitico -induttivo’ e poi mutato in metodo ‘induttivo puro’, con violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso di pronunciarsi sui motivi di appello, con i quali il contribuente aveva censurato l’illegittimità dell’accertamento che da analitico -induttivo si era tramutato in accertamento induttivo puro; – con il secondo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., omesso esame ed erronea valutazione di atti e documenti decisivi, per avere la CTR ricostruito i ricavi, costi e reddito d’impresa per l’anno 2007 sulla base di dati difformi rispetto a quelli certi indicati dalla contribuente;
con il terzo motivo, deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, 2083 cod. civ., 112, 113, 115, 116 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3, 4 e
5, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n n. 3 e 5, cod. proc. civ., omesso esame di atti e documenti decisivi, con omessa pronuncia sull’esenzione IRAP, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., per avere la CTR omesso l’esame e, quindi, la pronuncia sulla censura relativa alla richiesta di esenzione IRAP, proposta dal contribuente nell’atto di appello, in quanto ‘piccolo imprenditore’, esercente una ‘modesta attività di piccolo bar’, da sempre privo di dipendenti;
con il quarto motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 cod. proc. civ., 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, cod. proc. civ., omesso esame di atti e documenti decisivi ed omessa pronuncia, in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., erronea valutazione dei dati relativi all’anno d’imposta 2007 per l’IVA, per avere la CTR omesso di esaminare punti decisivi relativi alla dichiarazione IVA 2007, al credito IVA scaturente dai dati certi e pacifici promananti dall’elenco fornitori per l’anno d’imposta 2007, alla Comunicazione annuale dati IVA per l’anno 2007 e ai dati connessi e conseguenziali;
i predetti motivi, che vanno esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili sotto molteplici profili;
tutti i motivi, infatti, sono formulati mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio motivazione e/o di omesso esame di fatto decisivo che quegli elementi di fatto intende
precisamente rimettere in discussione (Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto;
-i medesimi motivi sono inammissibili anche per difetto di autosufficienza e specificità, non avendo il ricorrente riportato, nel testo del ricorso per cassazione, né il contenuto dell’avviso impugnato né gli atti difensivi e processuali necessari per comprendere le censure proposte;
come è stato già precisato da questa Corte, infatti, anche a seguito della sentenza della Corte EDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME altri c/Italia), il motivo di censura deve essere pur sempre modulato secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. 4.2.2022, n. 3612);
le stesse Sezioni Unite (n. 8550 del 2022) hanno fatto applicazione di un orientamento di questa Corte ( ex multis , Cass. 7.3.2018, n. 5478), consolidatosi già anteriormente alla decisione della Corte EDU del 28 ottobre 2021, dalla cui motivazione (cfr. § 110), peraltro, si trae conferma della necessità che la Corte di legittimità, leggendo il ricorso nella sua globalità, debba poter “comprendere l’oggetto della
contro
versia, così come il contenuto delle critiche che dovrebbero giustificare la cassazione della decisione impugnata “, senza, dunque, fare riferimento ad elementi esterni, quali gli allegati al ricorso (Cass. n. 26007 del 2022 cit.);
i predetti motivi sono anche inammissibili perché denunciano solo apparentemente una violazione di norme di legge, ma in realtà mirano alla rivalutazione dei fatti, operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass. n. 8758 del 4/07/2017), prospettando nel ricorso non l’analisi e l’applicazione delle norme, bensì l’apprezzamento delle prove, rimesso alla esclusiva valutazione del giudice di merito ( ex multis , Cass. n. 3340 del 5/02/2019; Cass. n. 640 del 14/01/2019; Cass. n. 24155 del 13/10/2017);
rileva, poi, un ulteriore profilo di inammissibilità delle censure, laddove formulate ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., in quanto esulano dal limitato perimetro entro il quale può denunciarsi il vizio di motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge n. 134 del 2012, poiché con esso deve farsi riferimento all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, e che, se esaminato, avrebbe potuto determinare un esito diverso della controversia (cfr. Cass., Sez. U., 7 aprile 2014 n. 8053), nel cui paradigma non è, all’evidenza, inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass., 18 ottobre 2018, n. 26305; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802);
infine , per quanto riguarda l’asserito vizio di omessa pronuncia, comune a tutti i motivi, occorre ribadire che, nel caso in cui si deduca
la violazione per omessa pronuncia, dell’art.112 cod. proc. civ., l’onere di specificità ed autosufficienza del motivo di cassazione presuppone che il ricorrente illustri l’avvenuta tempestiva e rituale introduzione in giudizio della domanda ovvero eccezione pretermessa;
– come è stato più volte affermato da questa Corte, infatti, ‘Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi ‘ (Cass. n. 28072 del 14/10/2021; n. 21926 del 2015; n. 15367 del 2014);
– nel caso in esame, a prescindere dalla inammissibile commistione tra il vizio di omessa pronuncia e omesso esame, il ricorrente richiama, con riferimento alle varie censure prospettate, solo il motivo di appello e non riporta la rituale deduzione delle medesime
censure nel ricorso introduttivo, non essendovi traccia di ciò neppure nella sentenza impugnata;
– in mancanza della comprovata deduzione della censura fin dal ricorso introduttivo, negli esatti termini in cui è stata prospettata nel essere addebitata al giudice di appello, stante il sistema di preclusioni
ricorso per cassazione, nessuna omessa pronuncia può previsto nel processo tributario ex art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992;
in conclusione, il ricorso va rigettato e la parte ricorrente va condannata al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che si liquidano in euro 4.300,00, oltre alle spese prenotate a debito; dà atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 12 febbraio 2025