Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 4551 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 4551 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3354 -20 24 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, alla INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, avv.
NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in atti , dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAILordineavvocaticataniaEMAIL);
– controricorrente –
Oggetto:
TRIBUTI –
avverso la sentenza n. 1978/05/2023 della Commissione tributaria regionale della SICILIA, depositata in data 28/02/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
1. RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE e prima ancora RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base del processo verbale di constatazione redatto dalla G.d.F. in data 10/08/2000 all’esito di una verifica fiscale eseguita ai fini IVA, IRPEG ed IRAP per gli anni dal 1998 al 2000, ritenuta l’inefficacia dell’istanza di condono presentata dalla società contribuente ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289/2002 per errata determinazione dell ‘ imposta dovuta, contestava alla predetta società ai fini IVA ed IRAP l’ omessa dichiarazione e registrazione, per l’anno di imposta 2000, di ricavi per un imponibile di lire 85.200.000, corrispondente all’importo contabilizzato dalla ricorrente come finanziamento dei soci , che invece l’amministrazione finanziaria riteneva essere stati eseguiti a mera copertura di ammanchi di cassa conseguenti a cessione di beni effettuate ‘in nero’, ovvero senza emissione del relativo documento contabile.
2. La CTR della Sicilia, Sezione staccata di Catania, con sentenza n. 224 del 4 ottobre 2012 accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente avverso la sfavorevole sentenza di primo grado e questa Corte con ordinanza n. 19795 del 2020 accoglieva i l ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia delle entrate ritenendo fondato il primo motivo di ricorso incentrato sulla violazione e falsa applicazione dell’art. 15, comma 4, lett. b), e comma 3-bis, nonché 16, comma 9, della legge 289/2002. Pertanto, cassava la sentenza impugnata e rinviava al giudice di merito per nuovo esame.
Riassunto il giudizio dinanzi alla CTR (ora Corte di giustizia tributaria di secondo grado) della Sicilia, questa con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva nuovamente l’appello della società contribuente.
Dopo aver rilevato la definitività della pronuncia sull’invalidità del condono presentato dalla società contribuente ai sensi dell’art. 15 della legge n. 289/2002, i giudici di appello sostenevano che «dall risultanze processuali non emerge la sussistenza di elementi sufficienti a giustificare il recupero ai fini iva relativamente alla omessa dichiarazione e registrazione di ricavi per un imponibile di lire 85.200.000, effettuato dall’Ufficio sul presupposto che gli importi contabilizzati dalla società quali finanziamenti dei soci per l’ammontare suindicato fossero in realtà confluiti in cassa a seguito della cessione di beni senza emissione di alcun documento contabile», emergendo, di contro, dalle risultanze del p.v.c. «che le operazioni di finanziamento state contabilizzate correttamente ed in linea con la situazione finanziaria della società contribuente, la quale negli anni considerati aveva una notevole esposizione debitoria nei confronti di diverse banche, per come comprovato dai rilevanti importi iscritti nel conto economico di tali periodi d’imposta a titolo di oneri finanziari ed anche dalle relazioni periodiche inviate dalla società agli istituti di credito: in particolare dal conto economico fiscale relativo all’esercizio 1998 emergevano oneri finanziari per un totale di lire 362.994.408 e da quello relativo al 1999 per un totale di lire 361.720.754».
Precisano i giudici di appello che dalla documentazione prodotta agli atti del giudizio emergeva che i finanziamenti dei soci COGNOME NOME e COGNOME NOME erano stati effettuati utilizzando «disponibilità liquide personali degli stessi rivenienti dalla vendita di immobili personali e da rapporti di locazione di tali immobili
mediante versamento nelle casse sociali di assegni bancari o circolari e denaro contante, per come peraltro riscontrato dai verbalizzanti a pag. 21 del p.v.c., in cui si legge ‘dalle distinte di versamento si rileva che, il piu’ delle volte l’importo evidenziato risulta versato quasi globalmente mediante titoli di credito (assegni bancari e/o circolari su piazza e fuori piazza) e, per una modestissima parte, in contanti’ . E precisamente con riferimento ai periodi d’imposta 1998/2000 i suindicati i soci COGNOME NOME e COGNOME NOME disponevano di oltre 800 milioni di lire derivanti dalla vendita di immobili personali nonché di lire 25.687.000 riscosse e dichiarate dagli stessi a titolo di canoni di locazione percepiti in quegli anni, per come risulta chiaramente dalla cospicua ed ingente documentazione ritualmente versata in atti da parte appellante nei vari gradi del giudizio, pienamente giustificativa di ogni specifica risorsa finanziaria utilizzata dai soci per assicurare la provvista dei finanziamenti in questione effettuati negli anni dal 1998 al 2000 per complessive lire 678.851.000 (di cui lire 285.651.000 per il 1998, lire 308.000.000 per l’anno 1999 e lire 85.200.000 per l’anno 2000), senza che sul punto sia stata formulata alcuna specifica contest azione da parte dell’Agenzia delle Entrate. E’ stata pure prodotta la documentazione bancaria comprovante l’effettiva destinazione delle disponibilità finanziare dei soci per effettuare i contestati finanziamenti alla società e quindi – per gran parte degli stessi – emerge anche il requisito della tracciabilità delle movimentazioni».
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, cui replicava l’ intimata con controricorso.
Formulata proposta di definizione anticipata del ricorso, ex art. 380-bis c.p.c., in data 13/08/2024, in considerazione della rilevata inammissibilità del motivo proposto dalla ricorrente,
quest’ultima tempestivamente, con atto del 12/09/2024, ha chiesto la decisione del ricorso e, quindi, ai sensi degli artt. 380-bis e 380bis.1. c.p.c., è stata disposta la trattazione della causa per l’odierna camera di consiglio.
La difesa erariale, contestualmente all’istanza di decisione della causa ha depositato anche due note alla stessa trasmesse dalla Direzione Provinciale e da quella Regionale dell’Agenzia delle entrate .
Considerato che:
Con il motivo di ricorso viene dedotta la « Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 54, comma 2 del D.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 39, co. 2 DPR 600/73, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 c.p.c. -Violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n.4 e (ove occorer possa), n.5 c.p.c. ».
1.1. Sostiene la ricorrente che i giudici di appello avevano fondato la decisione sul mero riscontro delle giustificazioni e della documentazione prodotta dalla parte contribuente a prova dei versamenti eseguiti dai soci della stessa nei conti correnti della società senza valutare l’effettiva contestazione mossa dall’Agenzia , che, invece, atteneva a ll’esistenza di una cassa negativa, espressione di vendite ‘in nero’, posto che i versamenti dei soci avevano rappresentato soltanto un espediente per evitare uno sbilanciamento della cassa contanti. In pratica, secondo la ricorrente, poiché la società contribuente aveva effettuato versamenti nei propri conti correnti bancari per importi superiori alle effettive disponibilità contabili, aveva poi dovuto effettuare degli appostamenti mediante rilevazioni con la causale ‘Soci C/finanziamenti infruttiferi’ al fine di evitare uno sbilanciamento della cassa contanti che, altrimenti, avrebbe riportato un saldo con valori negativi in avere anziché con valori positivi in dare.
1.2. Deduce, altresì, che «il Giudice tributario di merito in sede di riassunzione ha palmarmente omesso di esaminare gli elementi di giudizio proposti dall’Agenzia, i quali presentano un carattere decisivo rispetto all’esito del giudizio ».
Ritiene il Collegio che è infondata l’eccezione del controricorrente, di inammissibilità del motivo di ricorso per commistione delle censure, essendo state le stesse separatamente trattate nel corpo del ricorso, e comunque i motivi non si sottraggono al vizio di inammissibilità di cui alla proposta di definizione opposta, le cui argomentazioni questo Collegio condivide.
2.1. Invero, il motivo in esame è inammissibile perché la ricorrente, sotto lo schermo del vizio di violazione di legge intende rimettere in discussione l’accertamento in fatto e, quindi, la valutazione delle prove operate dai giudici di appello, richiedendo al giudice di legittimità un nuovo giudizio meritale a questa Corte precluso (arg. da Cass., Sez. U, n. 34476 del 27/12/2019, Rv. 656492 – 03).
2.2. Al riguardo va ricordato il principio giurisprudenziale in base al quale «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (Cass. n. 26110 del 2015; conf., ex multis , Cass. n. 9097 del 2017, n. 24155 del 2017, n. 29404 del 2017), che nella specie è stato pure dedotto ma anche questo inammissibilmente, per come si dirà nel prosieguo.
2.3. D’altro canto è noto che «Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione,
contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. n. 9097 del 2017; conf., ex multis , Cass. n. 29404 del 2017).
2.4. Orbene, il motivo di ricorso in esame, così come prospettato, confligge apertamente con i suindicati principi in quanto la ricorrente non deduce l’erronea interpretazione e applicazione da parte della CTR delle disposizioni censurate, ma l’erronea valutazi one operata dai giudici di appello del compendio probatorio, risolvendosi, in buona sostanza, in una non consentita richiesta alla Corte di rivalutazione di quanto esaminato dal giudice di merito (cfr., ex multis , Cass., Sez. U, n. 24148 del 2013; Cass. n. 91 del 2014).
Inammissibile, come sopra anticipato, è anche la censura formulata ai sensi di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
3.1. Questa Corte ha chiarito come detta disposizione abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso
esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n.7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133). Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152 Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 2268 del 26/01/2022).
3.2. Orbene, nella specie, la censura formulata dalla ricorrente non riguarda l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ma la valutazione di deduzioni difensive svolte nel giudizio di merito (nel ricorso, a pag. 19, si legge testualmente che il giudi ce d’appello non aveva preso in considerazione «le deduzioni dell’Agenzia»; che aveva «omesso di esaminare gli elementi di giudizio proposti dall’Agenzia»), sicché essa esula dal dedotto vizio di motivazione.
3.3. Quanto alla violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., pure dedotta nella rubrica del mezzo cassatorio, la ricorrente non spiega nel ricorso in cosa sarebbe consistita tale violazione, quali sarebbero state le domande non esaminate dal giudice di merito, con conseguente inammissibilità della stessa perché generica.
In estrema sintesi, il ricorso va rigettato e la ricorrente, rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità nonché, ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. (disposizione immediatamente applicabile anche ai giudizi in corso alla data del 1° gennaio 2023 per i quali a tale data non era stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio, come nella specie: cfr. Cass., Sez. U, ord. n. 27195 del 22/09/2023; Sez. U, ord. n. 27433 del 27/09/2023; Cass. n. 28318 del 2023), delle somme di cui ai commi terzo e quarto dell’art. 96 cod. proc. civ., nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali che liquida in euro 4.300,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario nella misura del 15 per cento dei compensi e agli accessori di legge.
Condanna la ricorrente a pagare l’ulteriore importo di euro 2.200,00 in favore della controricorrente nonché l’ importo di euro 1.100,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 13 febbraio 2025