Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7557 Anno 2025
Oggetto: Tributi
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7557 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 3027 del ruolo generale dell’anno 2016, proposto
Da
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.to
NOME COGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO (sig.ra NOME COGNOME);
-controricorrente – per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 1553/14/2015, depositata in data 30 giugno 2015.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal Relatore Cons. NOME COGNOME di Nocera.
RILEVATO CHE
1.L’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione tributaria regionale della Puglia aveva rigettato l’appello proposto nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 38/15/2013 della Commissione Tributaria Provinciale di Bari che, previa riunione, aveva accolto i ricorsi proposti dalla suddetta società avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Amministrazione, previa p.v.c. della G.d.F. di Bari, aveva recuperato nei confronti di quest’ultima, per il 2006 e il 2007, l’Iva all’importazione – oltre interessi e sanzioni- per avere utilizzato, in violazione dell’art. 50 -bis del d.l. n. 331/93, conv. nella legge n. 427/93, il deposito fiscale gestito virtualmente dalla società RAGIONE_SOCIALE. In punto di diritto, la CTR ha confermato l’illegittimità degli avvisi di accertamento in questione stante il difetto di legittimazione dell’Agenzia delle entrate per carenza di competenza funzionale ‘in materia di accertamento e riscossione dell’iva all’importazione’ e, altresì, avuto riguardo alla decadenza dal potere di accertamento dell’Amministrazione per decorso del termine triennale dalla data di registrazione delle bollette doganali.
Resiste la società contribuente con controricorso, illustrato con successiva memoria.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 50-bis, comma 5, del d.l. n. 331 del 1993 conv. nella legge n. 427 del 1993 e 70 del d.P.R. n. 633 del 1972 per avere la CTR ritenuto illegittimo il recupero dell’Iva non versata al momento della importazione, non rientrando tale accertamento nella competenza funzionale dell’Agenzia delle entrate bensì in quello dell’Agenzia delle Dogane sebbene, nella specie, si trattasse non già di un recupero di Iva all’importazione ma di Iva interna (e relative sanzioni) a seguito della indebita fruizione del regime di sospensione d’imposta per utilizzo del deposito fiscale ‘virtuale’ con detrazione di Iva da parte della società contribuente mediante emissione di autofattura al momento della immissione della merce nel mercato interno.
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso del giudizio per avere la CTR omesso di considerare quanto dedotto nella motivazione degli avvisi in questione circa il recupero dell’Iva interna per illegittimo utilizzo da parte della società contribuente del regime agevolativo del deposito fiscale, gestito virtualmente, e indebita detrazione dell’imposta con emissione dell’autofattura al momento dell’estrazione delle me rci dal deposito.
Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 11 del d.lgs. n. 374/1990, 57 del d.P.R. n. 633/72 per avere la CTR ritenuto decaduto l’Ufficio dal potere impositivo essendo stati gli avvisi emessi oltre il termine triennale di cui all’art. 11 cit. sebbene gli atti impositivi relativi al recupero dell’Iva indebitamente detratta andassero notificati, ex art. 57 cit., entro il termine quadriennale dalla presentazione della dichiarazione dei redditi.
4.Va premesso che, nella sentenza impugnata, la CTR ha fondato la conferma della illegittimità degli avvisi in questione su due autonome rationes decidendi : 1) il rilevato difetto di legittimazione dell’Agenzia delle entrate per carenza di competenza funzionale essendo riservata all’Agenzia delle Dogane la materia dell’accertamento e riscossione dell’Iva all’importazione (prima ratio ); 2)
l’avvenuta decorrenza del termine triennale di decadenza dell’Ufficio dal potere impositivo ai sensi dell’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990 ( seconda ratio ).
I motivi primo e secondo -che aggrediscono la prima ratio decidendi – si profilano inammissibili per difetto di autosufficienza e specificità.
4.1. La questione di fondo oggetto della presente controversia involge la verifica della natura della contestazione effettuata nei confronti della società contribuente se in termini di omesso versamento dell’Iva all’importazione ovvero di indebita detrazione dell’imposta al momento della estrazione della merce importata dal deposito Iva mediante l’emissione di autofatture. Dal che deriva anche il diverso regime in tema di decadenza dal potere impositivo (nel primo caso, in forza del rinvio contenuto nell’art. 70 del d.P.R. n. 633/72, ex artt. 84 TU dogane, 221, par. 4 CDC; nel secondo caso ex art. 57 del d.PR n. 633/72).
4.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione» (così Cass. n. 14784 del 15/07/2015; conf. Cass. n. 18679 del 27/07/2017; cfr., altresì, Cass. n. 16147 del 28/06/2017; Cass. n. 11482 del 03/06/2016; Sez. 5, Ordinanza n. 31468 del 2019); il che implica che modulando il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, cod. proc. civ. (alla cui stregua il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa)
in conformità alle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo ( sentenza C.E.D.U. del 28 ottobre 2021 , causa COGNOME ed altri c/Italia) e, dunque, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, occorre pur sempre che all’interno del ricorso siano richiamati, sia pure in termini essenziali e per la parte d’interesse, gli atti ed i documenti sottesi alle censure svolte (Cass, Sez. 3, 14.3.2022, n. 81:17, Rv. 664252-01), non essendo sufficiente a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione (fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione), il rinvio – in assenza di (trascrizione integrale o parziale ovvero, quantomeno, di tale) sintesi contenutistica – agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte (Cass., Sez. 1, 1.3.2022, n. 6769, Rv. 66410301; Cass 26007/2022). Nella specie, l’Agenzia non ha trascritto nelle parti rilevanti (ad eccezione di un insufficiente stralcio riportato a pag. 8) il contenuto degli impugnati avvisi ovvero allegato gli stessi al ricorso, così impedendo a questa Corte di verificare la fondatezza dei motivi di censura e, in particolare, se effettivamente la contestazione attenesse a violazioni effettuate fino al momento della estrazione delle merci dai ‘depositi Iva’ (con competenza dell’Agenzia delle dogane) o all’atto dell’estrazione delle merci ‘dai depositi Iva’ sotto il profilo di indebite detrazioni operate con il sistema dell’autofatturazione (con competenza dell’Agenzia delle entrate) (v. Cass. n. 24445/2018; Cass. n. 24446/2018; 24276/2018).
4.3. Sotto altro, ma concorrente aspetto, i suddetti motivi risultano altresì inammissibili, in quanto mirano ad una valutazione dei fatti operata dal giudice di appello avendo quest’ultimo affermato con un accertamento in punto di fatto non sindacabile in sede di legittimità – che, con riguardo agli avvisi in questione con i quali era stata ripresa ‘ per l’anno 2006, l’Iva all’importazione pari a euro 4.848,25, oltre interessi e sanzioni; per l’anno 2007, l’Iva all’importazione di euro 14.315,00 oltre interessi e sanzioni ‘ l’Agenzia delle entrate ‘ recependo pedissequamente i rilievi formulati dalla Guardia di Finanza, concludeva che la società RAGIONE_SOCIALE, al pari di tutte le imprese nazionali che si erano avvalse del deposito Iva gestito dalla RAGIONE_SOCIALE, avesse effettuato operazioni di immissione in libera pratica di beni comunitari. Secondo l’Agenzia delle entrate,
l’attività di indagine espletata, avrebbe consentito di accertare che la RAGIONE_SOCIALE non era mai stata autorizzata alla gestione del deposito franco e del deposito Iva; la gestione del deposito fiscale Iva avveniva in maniera virtuale ‘ ; pertanto la CTR ha accertato, con un apprezzamento di merito, che la ripresa in oggetto ineriva violazioni che si assumevano commesse (per indebito/irregolare utilizzo del deposito per mancanza di autorizzazione da parte di RAGIONE_SOCIALE ) nella fase precedente all’estrazione delle merci ‘dai depositi Iva’.
L’inammissibilità dei motivi primo e secondo comporta l’inammissibilità , per sopravvenuta carenza di interesse, del terzo motivo che aggredisce la seconda ratio decidendi . Ciò in applicazione del principio secondo cui quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi” ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite “rationes”, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta” (Cass. n. 11275/22; n. 4809 del 2017; n. 12372 del 24/05/2006; in termini: Cass. 16.8.06 n.18170; Cass.29.9.05 n.19161 ed altre).
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1-quater,
d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714);
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna l’Agenzia delle entrate in persona del Direttore pro tempore , al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 3.000,00 per compensi, euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma il 28 febbraio 2025