Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21926 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21926 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
Oggetto: processo tributario -revocazione straordinaria -richiesta sospensione processo – condizioni
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30924/2019 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (PEC: EMAIL, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME in Roma, INDIRIZZO (PEC: EMAIL);
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, RAGIONE_SOCIALE in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentate e difese dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliate in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1135/3/2019, depositata il 12.3.2019 e non notificata. Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 29 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Con sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 1135/3/2019, depositata il 12.3.2019 veniva rigettato l’ appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 7167/16/2016 che aveva rigettato il ricorso introduttivo, avente ad oggetto l’ intimazione di pagamento notificata alla società dall’agente della riscossione, in relazione ad un credito tributario dell’Agenzia delle entrate portato da 10 cartelle di pagamento.
Nella sentenza impugnata si legge che il ricorso introduttivo lamentava, tra l’altro, la nullità della notifica dell’atto effettuata a mezzo PEC, la mancata indicazione del responsabile del procedimento e la prescrizione dei crediti portati dalle dieci cartelle di pagamento sottese. La decisione del giudice di prime cure veniva integralmente confermata dal giudice di secondo grado.
Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente deducendo tre motivi, che illustra con memoria ex art.380-bis.1. cod. proc. civ., cui replicano l’Agenzia delle entrate e l’agente della riscossione con un unico controricorso.
Considerato che:
In via pregiudiziale, il Collegio osserva che la ricorrente rende noto di aver proposto alla CTR domanda di revocazione della sentenza
impugnata e chiede a questa Corte la sospensione del processo relativo al ricorso per cassazione.
1.1. Nel diritto tributario, la materia della revocazione è disciplinata essenzialmente dal d.lgs. 31.12.1992, n. 546, il quale all’art. 64, rubricato “sentenze revocabili e motivi di revocazione” il cui primo comma è stato sostituito dall’art. 9 comma 1 lett. cc) del d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 10 gennaio 2016, per effetto dell’art. 12 comma 1 del citato d.lgs. n. 156 del 2015 e, dalla data indicata, prevede ora: «1. Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate ai sensi dell’articolo 395 del codice di procedura civile».
1.2. La revocazione straordinaria avverso le sentenze del giudice tributario è regolata dall’art. 64 del d.lgs. 31.12.1992 n. 546 ai commi 2 e 3 il quale dispone: «2. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate per i motivi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile purché la scoperta del dolo o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al numero 6 dell’art. 395 del codice di procedura civile siano posteriori alla scadenza del termine suddetto. 3. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il termine per l’appello il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere i sessanta giorni da esso.».
Questa formulazione non è stata interessata dalla riforma del comma 1 di detto art. 64 – disposta dall’art. 9, comma 1, lett. cc), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016 – che, a sua volta, riproduce nel processo tributario esattamente quanto previsto dal codice di rito ordinario nei due commi dell’art. 396 cod. proc. civ., a conferma della perfetta simmetria sul punto dei due sistemi processuali.
Infatti, la disciplina della revocazione dettata dal codice di rito prevede, per i “casi di revocazione” all’art. 395 cod. proc. civ., che: «Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: 1. se sono l’effetto del dolo di una delle parti in danno dell’altra; 2. se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 4. se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6. se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato».
1.3. Orbene, sussiste una pregiudizialità non tecnica bensì meramente logica tra i due processi, pendenti in due gradi di giudizio diversi, perché se il ricorso per revocazione fosse accolto dal giudice del merito, la pronuncia sarebbe suscettibile di incidere sulla sentenza oggetto del presente ricorso per Cassazione e, dunque, sull’esito del presente giudizio.
Tuttavia, l’art. 398, comma 4, cod. proc. civ. sancisce la tendenziale non interferenza tra giudizio di revocazione in sede di merito e processo per Cassazione, principio temperato dalla previsione che il solo giudice davanti a cui è proposta la revocazione, su istanza di parte, possa sospendere o il ricorso per Cassazione o il procedimento per revocazione relativo, entro un limite temporale preciso, costituito
dalla comunicazione della sentenza che abbia pronunciato sulla revocazione, e sempre che ritenga non manifestamente infondata la revocazione proposta (cfr. Cass. n.21169 del 2022).
La previsione del codice ordinario di rito è applicabile, a norma dell’art. 1 del d.lgs. n. 546 del 1992, il quale al comma 2 detta: «I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile.».
Sulla base della cornice normativa sopra ricostruita, il Collegio osserva che il ricorso sotto un primo profilo erra a richiedere la sospensione processuale in questione alla Corte di cassazione anziché al giudice che ha emesso la sentenza oggetto di domanda revocazione; sotto un secondo profilo, il ricorso non fa neppure menzione di aver indirizzato la richiesta di sospensiva al giudice della revocazione. Alla luce di quanto precede, la richiesta di sospensione del processo per Cassazione è priva di giustificazione.
1.4. Oltretutto, nella memoria illustrativa da ultimo depositata, la contribuente rende anche noto che la domanda di revocazione sarebbe stata rigettata con sentenza della CTR n.3185/22/2021, seppure senza produrre copia del provvedimento, e non precisa neppure se ha impugnato tale decisione o se sia divenuta definitiva.
1.5. Per tutte le ragioni sopra esposte, la richiesta di sospensione del processo non può essere accolta e si deve provvedere ad esaminare le censure.
Con il primo motivo la ricorrente censura, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 e n. 5 cod. proc. civ., la «nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione e/o motivazione apparente su un fatto decisivo del giudizio in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. letto assieme all’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 36 comma 2 n. 4 del d.lgs. n. 546/1992, con riferimento ai puntuali e specifici motivi d’impugnazione sulla non provata regolare notifica
delle cartelle sottostanti all’intimazione, sia per la notifica cartacea, sia per quella con pec» (cfr. p. 9 del ricorso).
La doglianza è affetta da concorrenti profili di inammissibilità e infondatezza.
3.1. Il motivo è, anzitutto, inammissibile quanto alla tecnica di formulazione, poiché la censura è onnicomprensiva e compendia un coacervo di paradigmi processuali che spaziano dalla violazione di legge, all’omessa pronuncia e alla motivazione apparente. Va ribadito al proposito che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa. Ne consegue che la parte non può limitarsi a censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendovi la propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti (Cass. 28 novembre 2014 n. 25332).
3.2. Infatti, il giudizio di cassazione è delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito (Cass. 22 settembre 2014 n. 19959).
3.3. Il mezzo di impugnazione in disamina è inestricabilmente contraddittorio sul piano logico fin dalla sua formulazione, perché se vi è motivazione apparente non vi è omessa pronuncia e se la censura è declinata come vizio motivazionale non può logicamente e utilmente contenere anche una deduzione di violazione di legge.
Si deve ribadire, altresì, che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo , quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
4.1. La motivazione del giudice di seconde cure, lungi dall’essere tamquam non esset , rispetta il minimo costituzionale, esponendo chiaramente una duplice ratio decidendi , individuata in primo luogo
nella statuizione di regolarità delle notifiche delle cartelle sottese all’impugnata intimazione essendo facoltà dell’agente della riscossione ricorrere alla notifica diretta postale ex art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 (v. p. 4 della sentenza impugnata. La statuizione è in linea con la giurisprudenza della Corte (cfr. ad es. Cass. Ordinanza n. 9866 del 11/04/2024), per la quale in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella di pagamento, eseguita ai sensi dell’art. 26, comma 1, seconda parte, del d.P.R. n. 602 del 1973, mediante invio diretto da parte dell’agente di una raccomandata con avviso di ricevimento, è regolata dalle norme concernenti il servizio postale ordinario e non da quelle della l. n. 890 del 1982, in quanto tale forma “semplificata” di notificazione si giustifica in relazione alla funzione pubblicistica svolta dall’agente per la riscossione, volta ad assicurare la pronta realizzazione del credito fiscale a garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.
4.2. In secondo luogo, a p.3 della sentenza il giudice ha anche accertato che nella fattispecie la notificazione ha raggiunto lo scopo. Secondo il giudice opera perciò, nella fattispecie, l’insegnamento, condiviso e consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. e giurisprudenza ivi citata), secondo cui il principio, sancito in via generale dall’articolo 156 del codice di rito, secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, in relazione alle quali – pertanto – la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario. Infatti, la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme di rito non tutela l’interesse all’astratta regolarità del processo, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione. Ne consegue che è inammissibile l’eccezione con la quale si lamenti un mero vizio procedimentale, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la
parte, una lesione del diritto di difesa o possa comportare altro pregiudizio per la decisione finale della Corte.
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, in rapporto all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115, 140, 143, 145 cod. proc. civ., 1 comma 2 e 36 comma 2 n. 4 del d.lgs. n. 546/1992 e 26 del d.P.R. n. 602/1973, per avere la CTR considerato valida la notifica di cinque cartelle (nn. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA) anche se effettuata presso la sede legale della società contribuente.
Con il terzo motivo la ricorrente prospetta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 cod. proc. civ., la violazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 cod. proc. civ., 1, comma 2, e 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546/1992, 26 del d.P.R. n. 602/1973 e 6 del d.P.R. n. 68/2005, per avere il Giudice di seconde cure ritenuto valida la notifica di due cartelle (nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA) nonostante l’agente della riscossione non abbia prodotto le copie delle cartelle, ma solo le relative ricevute di consegna.
I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono anch’essi affetti da duplici profili di inammissibilità.
7.1. Entrambi i motivi sono, anzitutto, inammissibili quanto alla tecnica di formulazione, poiché le censure sono onnicomprensive e compendiano un coacervo di paradigmi processuali tra loro logicamente incompatibili: si richiamano al riguardo le considerazioni in diritto già svolte con riferimento al primo motivo e da ritenersi qui trascritte per brevità (cfr. Cass. n. 25332/2014 e n. 19959/2014 cit.). Le doglianze in disamina sono inestricabilmente contraddittorie sul piano logico fin dalla loro formulazione, perché se le censure sono
declinate come vizio motivazionale non possono logicamente e utilmente contenere anche una deduzione di violazione di legge.
Entrambe le censure sono, inoltre, inammissibili per difetto di specificità. Le argomentazioni del dissenso che la parte intende sollevare nei riguardi della decisione impugnata debbono essere formulate in termini tali da soddisfare esigenze di specificità, di completezza e di riferibilità a quanto pronunciato. Il motivo che non rispetti tale requisito deve considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ. n. 4 (cfr. a riguardo Cass. n. 359/2005).
Orbene, la critica avanzata nei due motivi non è orientata alla contestazione della pronuncia impugnata e, quindi, alla prospettazione della chiara e specifica indicazione delle ragioni per cui essa sarebbe errata, non venendo censurate le due concorrenti rationes decidendi espresse del giudice di seconde cure sulla questione delle notificazioni delle cartelle, né la ricorrente, sebbene onerata, ha riprodotto né allegato al ricorso le relative relazioni di notifica.
In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato e le spese di lite tengono conto del fatto che le controricorrenti sono costituite con un unico controricorso, e sono liquidate come da dispositivo seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in favore delle controricorrenti in solido in euro 5.900 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Si dà atto del fatto che, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, sussistono i presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29.5.2025