Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8502 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 8502 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21433/2017 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentata e difesa dal prof. avv. NOME COGNOMEcontroricorrente- avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA n. 663/01/17 depositata il 24 febbraio 2017
udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 20 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Direzione Provinciale di Palermo dell’Agenzia delle Entrate
emetteva nei confronti della RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE, esercente l’attività di commercio all’ingrosso di fotografia cinematografica e ottica, un avviso di accertamento con il quale, sulla scorta delle risultanze della verifica fiscale condotta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza del capoluogo siciliano, compendiate in tre distinti processi verbali di constatazione redatti il 5 ottobre 2007, l’11 novembre 2008 e il 31 marzo 2011, rettificava la dichiarazione dei redditi presentata dalla suddetta società per l’anno 2006, procedendo alle conseguenti riprese a tassazione ai fini dell’IRES, dell’IRAP e dell’IVA.
A sostegno dell’avanzata pretesa tributaria l’Ufficio contestava: (a)l’omessa contabilizzazione di ricavi per un ammontare di 105.820 euro; (b)l’indebita deduzione di costi non documentati per un importo di 6.105,36 euro; (c)l’indebita deduzione ai fini delle imposte dirette e l’illegittima detrazione ai fini dell’IVA di costi relativi a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti emesse nei confronti della prefata RAGIONE_SOCIALE, ritenuta dagli accertatori società .
La contribuente impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, la quale, accogliendo per quanto di ragione il suo ricorso, annullava l’atto impositivo, tranne che nella parte relativa al recupero a tassazione di ricavi non dichiarati per un ammontare di 105.820 euro e di un maggior imponibile IVA di 92.465,28 euro.
La decisione veniva successivamente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, che con sentenza n. 663/01/17 del 24 febbraio 2017 rigettava l’appello erariale.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai
sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c..
Nel termine di cui al comma 1, terzo periodo, dello stesso articolo la controricorrente ha depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., sono denunciate la violazione e la falsa applicazione degli artt. 19, 21, comma 7, 26, 39, comma 1, lettera d), e 54 del D.P.R. n. 633 del 1972, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c..
1.1 Viene rimproverato alla CTR di aver fatto mal governo delle norme sul riparto dell’onere della prova e sull’utilizzo delle presunzioni semplici.
1.2 Si sostiene, in proposito, che l’Agenzia delle Entrate aveva offerto una serie di elementi obiettivi dai quali era possibile desumere la prova del meccanismo fraudolento volto ad evadere l’IVA (cd. ) attuato, con la consapevole partecipazione della contribuente, mediante l’interposizione fittizia di una società .
1.3 Nel descritto contesto, spettava alla RAGIONE_SOCIALE dimostrare non solo che l’operazione avesse realmente avuto luogo, ma anche che la cedente non fosse un mero soggetto interposto.
1.4 Il motivo è inammissibile, in quanto prospetta una questione che non risulta trattata nella sentenza ora al vaglio della Corte e che la ricorrente non dimostra, all’uopo fornendo le necessarie indicazioni, di aver ritualmente veicolato in secondo grado mediante la proposizione di uno specifico mezzo di gravame.
1.5 Va al riguardo notato che, in base alla ricostruzione operata dalla CTR, con l’atto di appello l’Agenzia delle Entrate aveva «contesta (to) la sentenza dei primi giudici per aver ritenuto non motivato l’accertamento e per non aver riconosciuto l’indeducibilità dei costi per schede carburanti, omaggi e spese viaggi e trasferte» .
1.6 Coerentemente con tale premessa, il collegio regionale si è a stenuto dall’affrontare la questione, ritenuta estranea al «devolutum» , attinente alla detraibilità ai fini dell’IVA dei costi relativi alle fatture emesse nei confronti della RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE
1.7 Nell’odierno ricorso per cassazione l’Amministrazione Finanziaria si è genericamente limitata a riferire (pag. 7, paragrafo IV, quinto rigo) di aver spiegato appello contro la sentenza di primo grado, senza indicare, anche solo sinteticamente, le doglianze poste a fondamento dell’esperito gravame, né tantomeno esporre le richieste formulate ai giudici di seconde cure.
1.8 Ciò impedisce alla Corte di verificare se la cennata questione possa ancora ritenersi «sub iudice» , e quindi utilmente deducibile nella presente sede di legittimità, siccome non preclusa dal giudicato interno.
1.9 Fermo quanto precede, poiché nella sentenza in scrutinio non sono contenute eventuali affermazioni in diritto contrastanti con le norme giuridiche invocate dalla ricorrente, la sollevata censura si appalesa comunque inammissibile, alla stregua dello stabile indirizzo nomofilattico sintetizzato nella massima che segue: « Nel ricorso per cassazione, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione»
(cfr. Cass. n. 20870/2024; nello stesso senso, ex multis , Cass. n. 15120/2021, Cass. n. 17570/2020, Cass. n. 9128/2018).
1.10 Né, peraltro, è stato fatto valere, ai sensi degli artt. 112 e 360, comma 1, n. 4) c.p.c., il vizio di nullità della sentenza per omessa pronuncia su un motivo di appello.
Con il secondo mezzo, inquadrato nello schema dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., è dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso.
2.1 Si contesta alla Commissione regionale di non aver tenuto conto delle seguenti circostanze che, ove debitamente valutate, l’avrebbero condotta a una diversa decisione:
.
2.2 Anche tale mezzo di gravame è inammissibile, giacchè, a fronte di una duplice conforme pronuncia di merito (cd. ‘doppia conforme’), il ricorso per cassazione poteva essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) dell’art. 360, comma 1, c.p.c., in base al combinato disposto dei commi 4 e 5 dell’art. 348 -ter del medesimo codice; né l’impugnante ha assolto
l’onere di dimostrare la diversità delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello (cfr. Cass. n. 26934/2023, Cass. n. 5947/2023, Cass. n. 26774/2016).
2.3 Oltretutto, secondo il consolidato insegnamento di questo Supremo Collegio, l’omesso esame di cui all’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c. deve riguardare un vero e proprio ‘fatto’ in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante.
Non costituiscono, invece, ‘fatti’, nell’accezione indicata, le argomentazioni o deduzioni difensive, gli elementi istruttori, una moltitudine di circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (cfr. Cass. n. 5616/2023, Cass. n. 976/2021, Cass. n. 17536/2020, Cass. 22397/2019).
Il fatto così propriamente inteso deve risultare dal contenuto della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), aver costituito oggetto di discussione e rivestire carattere decisivo, nel senso che, ove fosse stato preso in esame, avrebbe determinato un esito sicuramente diverso della controversia (cfr. Cass. n. 27282/2022, Cass. n. 19362/2022, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. n. 15860/2019). 2.4 Ne consegue che, in rigorosa osservanza delle previsioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6) e 369, comma 2, n. 4) c.p.c., il ricorrente è tenuto a indicare il ‘fatto storico’ non esaminato, il ‘dato’, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il ‘come’ e il ‘quando’ tale fatto abbia formato oggetto di discussione processuale fra le parti e la sua ‘decisività’ (cfr. Cass. n. 9986/2022, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. n. 15784/2021, Cass. n. 20625/2020).
2.5 Ora, a prescindere dal rilievo che il suaccennato onere deduttivo non è stato adeguatamente assolto dall’Agenzia delle
Entrate, va osservato che la censura da essa sollevata esorbita dal perimetro applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c., non sostanziandosi nella denuncia della mancata disamina di un fatto storico, principale o secondario, oggetto di discussione e di carattere decisivo, nei termini innanzi chiariti, ma risolvendosi in una complessiva critica all’apprezzamento delle risultanze di causa compiuto dal giudice di appello.
2.6 Sotto l’apparente deduzione del vizio di omesso esame, il motivo tende, dunque, a sollecitare una nuova e diversa valutazione del compendio istruttorio acquisito al processo (cfr. Cass. n. 4247/2023, Cass. Sez. Un. n. 21973/2021, Cass. Sez. Un. n. 34476/2019, Cass. Sez. Un. n. 19229/2019), andando così inevitabilmente incontro, anche per questa diversa ragione, a una declaratoria di inammissibilità.
In definitiva, il ricorso non può trovare ingresso.
Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Non si fa luogo all’attestazione di cui all’art. 13, comma 1 -quater , del D.P.R. n. 115 del 2002, essendo applicabile all’Agenzia fiscale delle Entrate in virtù del rinvio contenuto nell’art. 12, comma 5, del D.L. n. 16 del 2012, convertito in L. n. 44 del 2012la disposizione recata dall’art. 158, comma 1, lettera a), dello stesso D.P.R., prevedente la prenotazione a debito del contributo unificato in favore delle amministrazioni pubbliche.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi 13.400 euro (di cui 200 per esborsi), oltre al rimborso forfettario nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione