Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5935 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5935 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/03/2025
Oggetto: Estratto di ruolo Impugnazione – Inammissibilità per sovrapposizione di motivi eterogenei.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11884/2022 R.G. proposto da
COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO in virtù di procura speciale in calce al ricorso.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro-tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato , presso i cui uffici è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della C.T.R. del Lazio, n. 4905/2021, depositata il 2.11.2021 e non notificata.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.2.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Roma, COGNOME NOME impugnava l’estratto di ruolo relativo a sette cartelle di pagamento, di cui contestava la valida e regolare notificazione.
In primo grado, la C.t.p. dichiarava inammissibile l’impugnazione, ritenendo non autonomamente impugnabile l’estratto di ruolo, attesa la rituale notifica delle cartelle, non opposte nei termini di legge.
Tale decisione veniva parzialmente riformata in appello, in quanto la C.t.r. riteneva fondate le contestazioni della contribuente con riferimento alla invalidità della notificazione di tre cartelle di pagamento. Con riferimento alle restanti quattro, veniva confermata la sentenza impugnata.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione la contribuente, sulla base di un motivo. Resisteva con controricorso l’A der – Agenzia delle entrate riscossione, cui replicava con memoria la contribuente.
CONSIDERATO CHE:
Con l’ unico motivo di doglianza, COGNOME NOME deduce la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 26, comma 1, prima parte, del d.P.R. n. 602 del 1973, da leggersi coerentemente con gli artt. 140, 148, 149 c.p.c., 48 disp. att. c.p.c., avuto specifico riguardo agli artt. 5, 7, 8, 14 e 15 della l. n. 890 del 1982, ovvero per l ‘ omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere valida la notificazione per compiuta giacenza di quattro cartelle di pagamento, in quanto il concessionario non aveva dimostrato l’espletamento di concrete ricerc he del destinatario successivamente al primo tentativo di notifica, né l’effettivo inoltro della c.a.d. a mezzo raccomandata a.r., considerato che la copia fotostatica dell’avviso di ricevimento, depositata in atti, risultava del tutto carente dell’indicazione del numero d ella cartella
cui si riferiva , non essendovi certezza in ordine all’attività di riscossione intrapresa ; dell’espletamento degli adempimenti prescritti dall’art. 140 c.p.c.; delle ragioni del mancato recapito; della firma del messo postale e del destinatario, nonché il modello di c.a.d. utilizzato non corrispondeva a quello prescritto per legge, ovvero indicato nell’accordo quadro sottoscritto dal concessionario e Poste italiane.
Nel controricorso, l’Ader contesta le doglianze della ricorrente, evidenziando che le cartelle di pagamento in questione erano state notificate ai sensi dell’art. 140 c.p.c. ed il messo notificatore, non avendo reperito il destinatario presso l’indirizzo di residenza, né altro soggetto abilitato a riceverla, aveva depositato l’atto presso la casa comunale, aveva affisso l’avviso di deposito alla porta dell’abitazione ed aveva inviato al destinatario la prescritta raccomandata informativa, ritualmente ricevuta.
Con la memoria difensiva, la ricorrente ha eccepito la formazione del giudicato interno sull’ammissibilità del ricorso, oggetto di esplicita statuizione da parte della C.t.r.
Orbene, quand’anche dovesse ritenersi formato il giudicato interno eccepito dalla contribuente sull’originaria ammissibilità del ricorso, l’unico motivo di doglianza sollevato nella presente sede non potrebbe trovare accoglimento, in quanto a sua volta inammissibile.
Giova premettere che le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, comma 1, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non
è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (Cass. SU n. 17931/2013; Cass. n. 10862/2018; più rigorosa ancora è Cass. n. 11603/2018, Rv. 64853301, secondo cui il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito).
Recentemente è stato, inoltre, affermato che, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di legge e dell’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, in quanto una tale formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del
ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 3397/2024, Rv. 670129-01).
Inoltre, la Suprema Corte ha affermato che il ricorso per cassazione che si limita a reiterare acriticamente i motivi dell’appello, chiedendo una rivisitazione del fatto e una riqualificazione della domanda, è inammissibile, poiché consiste in una mera contrapposizione della valutazione del ricorrente al giudizio espresso nella sentenza impugnata e si risolve sostanzialmente nella proposizione di un “non motivo” (Cass. n. 31447/2024, Rv. 673166 -01).
Nel caso di specie, la ricorrente, con un unico motivo, ha dedotto sia il vizio di violazione di legge sostanziale, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., lamentando la violazione delle norme afferenti al procedimento notificatorio delle cartelle esattoriali sottese all’estratto di ruolo impugnato, sia l’omesso esame di un fatto decisivo, con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Tuttavia, il ricorso non si confronta adeguatamente con la sentenza impugnata. Ed invero, quanto al primo profilo, la ricorrente non considera in alcun modo che la sentenza impugnata, dopo aver riscontrato l’invalidità di tre cartelle di pagamento sottese all’estratto di ruolo impugnato, non contiene alcuna pronuncia espressa con riferimento alle restanti quattro. La C.t.r., infatti, si limita a fornire una generica descrizione del procedimento notificatorio relativo a ciascuna delle sette cartelle in questione, omettendo tuttavia di esaminare gli specifici profili di contestazione sollevati dalla contribuente con riferimento a quattro di esse.
Ciò nonostante, in nessuna parte del ricorso viene lamentato un eventuale vizio di omessa pronuncia, ovvero di rigetto implicito, mentre si insiste sul profilo della violazione di legge sostanziale, mediante la mera riproposizione delle contestazioni già sollevate nei gradi di merito, senza criticare in maniera specifica la decisione impugnata.
Analoghe considerazioni possono farsi con riferimento alla doglianza afferente l’omesso esame di un fatto decisivo.
Ed invero, l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 17005/2024, Rv. 67170601).
Nel caso in esame, la contribuente, pur lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo, non indica neanche quale sarebbe tale fatto decisivo, di cui la C.t.r. non avrebbe tenuto conto.
Entrambi i motivi, pertanto, risultano inammissibili, in quanto non sufficientemente specifici, non essendo compito del giudice di legittimità dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. Sicché, in difetto di ricorso incidentale da parte dell’Ader, solo evocato ma non proposto per la parte di soccombenza, trova conferma la sentenza di appello impugnata, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese relative al presente giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico della ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. SU n. 4315/2020, Rv. 657198-03).
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore d ell’ADER -Agenzia delle entrate riscossione, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 2.400,00, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione