Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32851 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
Cartella di pagamento -impugnazione – vizio di motivazione – omessa pronuncia della CTP appello -mancata proposizione come motivo di gravame – rinuncia all’eccezione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20088/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, da ll’ Avv. NOME COGNOME con la quale elettivamente domicilia in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ope legis ;
-controricorrente –
e
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, n. 766/52/2016, depositata in data 27 gennaio 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
In data 27 marzo 2009 la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione trasferiva alla RAGIONE_SOCIALE parte del suo patrimonio e della sua struttura ex artt. 2506 e ss. cod. civ..
In data 2 marzo 2010 l’Equitalia RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE notificava alla RAGIONE_SOCIALE quale responsabile in solido in virtù della detta scissione, la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA emessa a seguito di controllo automatizzato – ex artt. 36bis d.P.R. n. 600/1973 e 54bis d.P.R. n. 602/1973 – della dichiarazione dei redditi modello Unico 2009, per l’anno di imposta 2008.
La contribuente impugnava la cartella innanzi alla CTP di Napoli eccependo: 1) la nullità della cartella per mancanza di un ruolo autonomo e la notifica di una mera fotocopia recante dati errati, priva dell’indicazione del responsabile del procedimento; 2) la mancata notifica dell’avviso bonario; 3) la nullità della cartella per difetto di motivazione ex artt. 3 l. 241/1990 e 7 l. 212/2000; 4) la violazione degli artt. 2506 e ss. cod. civ. e dei principi in materia di solidarietà in caso di scissione parziale, solidarietà limitata al patrimonio netto ricevuto per effetto della scissione; 5) la mancata contabilizzazione dei versamenti per l’anno di imposta 2008, regolarmente eseguiti ma non decurtati dalle somme pretese.
La CTP partenopea rigettava il ricorso.
Interposto gravame dalla contribuente (tra l’altro, per omessa motivazione della sentenza sui motivi nn. 1 e 5), la Commissione tributaria regionale della Campania rigettava il gravame. In particolare, riteneva rinunciata l’eccezione di difetto di motivazione della cartella impugnata ( sub 3), in quanto non riproposta con il gravame; rilevava l’omessa pronuncia, da parte della CTP, sui motivi 1 e 5 del ricorso originario pervenendo al rigetto
delle relative doglianze; confermava, infine, la pronuncia di prime cure in relazione ai motivi nn. 2 e 4.
Avverso la decisione della Commissione Tributaria Regionale ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente, affidato a cinque motivi. L’agente della riscossione è rimasto intimato. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
È stata, quindi, fissata l’adunanza camerale per il 15 /11/2024. Considerato che:
Con il primo strumento di impugnazione la contribuente lamenta l ‘ «omesso esame su di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5)». Sostiene che la CTR avrebbe omesso di valutare ‘la mancata riproduzione nella cartella dei contenuti essenziali’, essendosi limitata a ritenere, erroneamente, la relativa doglianza spiegata con il numero 3 del ricorso introduttivo.
Il motivo è inammissibile per plurime ragioni, ciascuna idonea ex se a fondarne la relativa declaratoria.
1.1. In primo luogo, si è al di fuori del paradigma applicativo della norma indicata nella rubrica del motivo.
L’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dal legislatore nel 2012 (d.l. 83/2012) ed applicabile ratione temporis , prevede, per quanto qui rilevi, che le sentenze emesse in grado di appello possono essere impugnate con ricorso per cassazione:
…5) per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti .
Nonostante la ratio della riforma fosse chiara, ovvero, da un lato, evitare l’abuso dei ricorsi basati sul vizio di motivazione, dall’altro, limitare il sindacato sul fatto in Cassazione, la formulazione della norma, molto criticata in dottrina, ha generato numerose questioni interpretative e questa Corte è stata chiamata a delimitare l’ambito di applicazione del motivo de quo .
In termini generali, si è affermato che è denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U. 7/4/2014 n. 8053, Cass. Sez. U. 21/12/2022 n. 37406, Cass. n. 12111/2019).
Al di fuori di queste ipotesi, quindi, è censurabile ai sensi del n. 5) soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso , che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo ; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. n. 2474/2017).
Per fatto decisivo deve intendersi innanzitutto un fatto (inteso nella sua accezione storico-fenomenica e, quindi, non un punto o un profilo giuridico) principale o secondario, che sia processualmente esistente, in quanto allegato in sede di merito dalle parti ed oggetto di discussione tra le parti, che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e se preso in considerazione avrebbe determinato una decisione diversa (Cass. n. 9637/2017).
Pertanto, non costituiscono ‘fatti’ suscettibili di fondare il vizio ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., le argomentazioni o deduzioni difensive, il cui omesso esame non è dunque censurabile in Cassazione ai sensi del n. 5 dell’art. 360 (Cass. n. 9637/2021), né costituiscono ‘fatti storici’ le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso,
comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative (Cass. n. 10525/2022).
Pacifica, poi, l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U. n. 8053/2014 cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (Cass. 28/6/2016 n. 13366, in materia di idoneità delle dichiarazioni rese da un terzo a fondare la prova, da parte della contribuente, di fatture per operazioni inesistenti).
Alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata deve osservarsi che nella specie la circostanza di fatto asseritamente omessa integra piuttosto una argomentazione difensiva (posta a sostegno del motivo di nullità della cartella per difetto di motivazione) ; né, tra l’altro, l’odierna ricorrente specifica le ragioni della decisività della detta circostanza (al fine di determinare un diverso esito della controversia), limitandosi a riportare genericamente alcune decisioni di questa Corte in punto di motivazione degli atti tributari; né, infine, la ratio decidendi circa l’omessa riproposizione della questione in appello è specificamente censurata.
Inoltre, in presenza di una cd. doppia conforme era onere della ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse ( ex multis , Cass. n. 8515/2020). A tale onere non ha adempiuto la società ricorrente, per cui anche sotto tale profilo il motivo è inammissibile.
1.2. Piuttosto , l’omesso esame della doglianza sub n. 3) del ricorso originario più propriamente avrebbe potuto essere denunciato con il n. 4 ) dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., previa contestazione specifica della decisione della CTR in punto di rinuncia della stessa in
sede di gravame. Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte l’omessa pronuncia su un motivo di gravame integra la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e non già l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto il motivo di gravame (anche qualora sia limitato, come nella specie, secondo la prospettazione della ricorrente, alla riproposizione di una censura asseritamente omessa dalla CTP) non costituisce un fatto principale o secondario, bensì la specifica domanda sottesa alla proposiz ione dell’appello, sicché, ove il vizio sia dedotto come violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5) il motivo deve essere dichiarato inammissibile (Cass. 18/04/2023, n. 10226).
1.3. Il motivo è inammissibile anche per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6) cod. proc. civ.. Invero, il ricorrente non ha allegato al ricorso l’atto di appello, nel quale avrebbe ribadito l’eccezione di violazione degli artt. 3 l. 241/1990 e 7 l. 212/2000, né ha riportato il contenuto dello stesso nel ricorso.
1.3.1. Il sostrato normativo del ricorso per cassazione risiede nell’esposizione sommaria dei fatti di causa e nella specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali esso si fonda, che l’art. 366, c omma 1, cod. proc. civ., richiede a ‘pena di inammissibilità’, rispettivamente ai nn. 3) e 6) (in sinergia con il principio di specificità dei motivi veicolato dal n. 4), e il cui rispetto comporta che dalla sola lettura dell’atto, corredato da puntuali ri ferimenti normativi e documentali, il Giudice di legittimità deve essere posto in grado di comprendere le critiche rivolte alla pronuncia del Giudice di merito, per poterne poi valutare la fondatezza (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
1.3.2. Il formante normativo, giurisprudenziale e convenzionale segnala che il ricorso è ‘autosufficiente’, e quindi ammissibile, quando: i) i motivi rispondono ai criteri di specificità previsti dal codice di rito; ii) ogni motivo indica, se del caso, l’atto, il documento, il contratto o accordo collettivo su cui si fonda e i riferimenti topografici (pagine, paragrafi o righe) dei brani citati; iii)
ogni motivo indica la fase processuale in cui il documento o l’atto è stato creato o prodotto; iv) il ricorso è accompagnato da un fascicoletto che contiene, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ., gli atti, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi cui si fa riferimento nel ricorso.
1.3.3. La perimetrazione del concetto di ‘autosufficienza’ risale alla sentenza di questa Corte n. 5656 del 1986, ove si affermò che il controllo di legittimità dovesse essere effettuato esclusivamente sulla base degli argomenti contenuti nel ricorso e che il giudice di legittimità non potesse ritenersi obbligato a ricercare nei fascicoli di merito gli atti e i documenti rilevanti. Successivamente la nozione venne affinata, individuandosene la ratio nel consentire alla Suprema Corte di comprendere la portata delle censure con il ricorso, senza esaminare altri atti o documenti (Cass. n. 9712/2003 e Cass. n. 6225/2005) e, specularmente, di investirla del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti correttamente indicati (Cass. Sez. U., n. 8077/2012).
Il principio dell’autosufficienza, sorto con riferimento ai vizi motivazionali, fu esteso agli errores in iudicando e in procedendo (Cass. n. 8013/1998, Cass. n. 4717/2000, Cass. n. 6502/2001, Cass. n. 3158/2002, Cass. n. 9734/2004, Cass. n. 6225/2005 e Cass. n. 2560/2007) e venne mantenuto anche dopo la riforma di cui al d.lgs. n. 40/2006, specificandosi che l’«indicazione» dei documenti pertinenti potesse alternativamente avvenire riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, o, se necessario, trascrivendoli integralmente (Cass. n. 4823/2009, Cass. n. 16628/2009 e Cass. n. 1716/2012); con particolare riferimento all’onere di deposito ex art. 369, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., si ritenne sufficiente che il documento citato nel ricorso fosse accompagnato da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui esso era stato prodotto, ferma, in ogni caso, l’esigenza della specifica indicazione richiesta a pena di
inammissibilità dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. ( ex multis , Cass. Sez. U. n. 22726/2011).
1.3.4. Preme rilevare che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha confermato la compatibilità del requisito della cd. autosufficienza del ricorso con il principio di cui all’art. 6, § 1, della CEDU, a norma del quale « ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…)» – purché, secondo il criterio di proporzionalità, non si trasmodi in un ‘formalismo eccessivo’ – anche alla luce della sua pregressa giurisprudenza in materia di accesso in tema di ‘limitazioni del di ritto di accesso a una giurisdizione superiore’, e in particolare alla Corte di cassazione, in ragione delle peculiarità del relativo procedimento (v. sentenze 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia ; 27 giugno 2017, Sturm c. Lussemburgo ; 18 ottobre 2016, Miessen c. Belgio ; 15 settembre 2016, Trevisanato c. Italia ; 2 giugno 2016, Papaioannou c. Grecia ).
Invero, con la sentenza del 28 ottobre 2021 ( COGNOME RAGIONE_SOCIALE altri c. Italia ) la Corte di Strasburgo ha concluso che le condizioni imposte per la redazione del ricorso per cassazione -e in particolare l’applicazione del principio di autosufficienza perseguono uno scopo legittimo, segnatamente quello di « agevolare la comprensione della causa e delle questioni sollevate nel ricorso e permettere alla Corte di Cassazione di decidere senza doversi basare su altri documenti, affinché quest’ultima possa mantenere il suo ruolo e la sua funzione, che consistono nel garantire in ultimo grado l’applicazione uniforme e l’interpretazione corretta del diritto interno (nomofilachia) » e dunque, in ultima analisi, « la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia » (par. 73-75). I giudici europei hanno così fornito una giustificazione ‘sistematica’ del principio di autosufficienza, in quanto funzionale al ruolo che deve assolvere una corte suprema, avendo del resto più volte affermato che le condizioni di ammissibilità di un ricorso per cassazione possono essere anche più rigorose di quelle di un appello (par. 79).
Quanto alla ‘proporzionalità’ delle conseguenze delle restrizioni dell’accesso al giudice di legittimità, la Corte Edu, dopo aver ribadito che « il principio di autosufficienza permette alla Corte di cassazione di circoscrivere il contenuto delle doglianze formulate e la portata della valutazione che le viene richiesta alla sola lettura del ricorso, e garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili » (par. 78) ha proceduto allo scrutinio dei tre ricorsi (riuniti), che erano stati dichiarati inammissibili da questa Corte, portati al suo vaglio.
In particolare, per quanto rileva in questa sede, analizzando il ricorso n. 37781/13 (in cui si era osservato che « il ricorrente si era limitato a menzionare, nei suoi motivi di ricorso, i documenti del procedimento sul merito senza presentarne le parti pertinenti e senza indicare i riferimenti necessari per ritrovarli nel fascicolo allegato al ricorso per cassazione »), i Giudici europei hanno evidenziato che « il ricorso per cassazione del ricorrente ometteva anche, in varie parti, di indicare i riferimenti delle fonti scritte invocate o dei passaggi della sentenza della corte d’appello citati » (par. 102), osservando che, secondo la propria giurisprudenza, « i motivi di ricorso per cassazione che rinviano ad atti o a documenti del procedimento del merito devono indicare sia le parti del testo in contestazione che l’interessato ritiene pertinenti, che i riferimenti ai documenti originali inseriti nei fascicoli depositati, allo scopo di permettere al giudice di legittimità di verificarne tempestivamente la portata e il contenuto, salvaguardando le risorse disponibili » (par. 103).
Pertanto, « tenuto conto della particolarità del procedimento per cassazione, del processo complessivamente condotto e del ruolo che ha svolto la Corte di cassazione nell’ambito di quest’ultimo (sent. 5 aprile 2018, Zubac c. Croazia), nonché del contenuto dell’obbligo specifico che il difensore del ricorrente era tenuto a rispettare nel caso di specie (in particolare indicare, per ciascuna citazione di un’altra fonte scritta, il riferimento al documento depositato con il
ricorso per cassazione) », la Corte Edu ha concluso che la decisione di inammissibilità della Corte di Cassazione « non possa essere considerata un’interpretazione troppo formalistica che avrebbe impedito l’esame del ricorso per cassazione dell’interessato » (par. 105), con conseguente assenza di una violazione dell’art. 6, § 1, CEDU (par. 106).
1.3.5. In definitiva, l’onere previsto dalla norma in commento -tra l’altro ribadito ed aggravato dalla riforma Cartabia mediante l’inserimento della necessaria illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali e dei documenti (ex art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, applicabile tuttavia ai giudizi introdotti con ricorso notificato a partire dal 1° gennaio 2023) -interpretato anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU appena richiamata, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso non indichi specificamente i documenti o gli atti processuali sui quali si fondi, non ne riassuma il contenuto o ne trascriva i passaggi essenziali, o comunque non fornisca un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui essi siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. U., 18/03/2022, n. 8950; Cass. 14/04/2022, n. 12259; Cass. 19/04/2022, n. 12481; Cass. 02/05/2023, n. 11325).
1.3.6. Nella specie, la società contribuente fonda il motivo sulla asserita riproposizione nell’atto di appello (di cui ha cura di indicare le pagine) della nullità della cartella di pagamento per vizio di motivazione, nullità eccepita in primo grado. La mancata allegazione dell’atto di gravame al ricorso e la mancata trascrizione, nel ricorso, dei passaggi essenziali (e rilevanti in parte qua ) dell’appello, comportano l’inammissibilità del motivo anche sotto tale profilo.
Con il secondo motivo la contribuente lamenta la «violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge 27/7/2000 n. 212 e dell’art. 3 legge 241/90, in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c». Precisamente, afferma che la CTR non avrebbe censurato la sentenza di prime cure
‘nella parte in cui ha ritenuto legittimo la cartella impugnata, benché privo di motivazione’ (pag. 4 del ricorso).
Il motivo è assorbito nella declaratoria di inammissibilità del primo, in quanto ripropone una doglianza (la nullità della cartella per difetto di motivazione) sulla quale la CTR non si è pronunciata in quanto l’ ha ritenuta rinunciata in appello, con decisione in parte qua non correttamente censurata in questa sede e, pertanto, da ritenersi definitiva.
Con il terzo motivo la società lamenta l’«omesso esame su di un fatto decisivo della controversia in ordine alla violazione delle garanzie del contribuente in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 5». Ribadisce, in particolare, che la cartella debba ritenersi nulla per erronea indicazione della partita Iva della società scissa e per la mancanza del responsabile del procedimento; inoltre, l’Agenzia delle Entrate avrebbe errato nella determinazione dei pretesi importi, in quanto non ha decurtato le somme già versate dalla contribuente.
Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili ciascuno idoneo ex se a fondarne la relativa declaratoria.
3.1. In primo luogo, nemmeno viene dedotto il ‘fatto decisivo della controversia’ il cui esame sarebbe stato omesso dalla CTR, che costituisce il presupposto indispensabile del motivo previsto dal n. 5) dell’art. 360, comma primo, cod. proc. civ..
3.2. In secondo luogo, difetta completamente nel motivo in esame qualsiasi censura della ratio decidendi della CTR in ordine ai vizi riproposti. In particolare, il giudice del gravame ha affermato che: a) l’errore nell’indicazione della partita Iva della società scissa è irrilevante, integrando una mera irregolarità formale; b) i responsabili del procedimento sono indicati nella cartella; c) la ricorrente non ha dato prova del versamento di somme di cui chiede lo scomputo dall’importo indicato nella cartell a.
Con il quarto strumento di impugnazione la società lamenta la «violazione di norme di diritto in relazione al disposto di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c.».
Il motivo è assorbito nella declaratoria di inammissibilità del terzo e, comunque, inammissibile risolvendosi in un elenco di pronunce di questa Corte in materia di obbligo di motivazione della cartella di pagamento e nella seguente asserzione: ‘nella fattispecie, l’Ufficio si è limitato ad una motivazione incompleta non rispondente ai crismi dettati dal nostro ordinamento: motivazione, che anche i Giudici di primo grado, hanno erroneamente ritenuto sufficiente’ (pag. 7 del ricorso).
Nella fattispecie, deve essere ribadito che circa la motivazione della cartella la CTR ha ritenuto rinunciato il relativo motivo di ricorso originario con decisione non adeguatamente censurata in questa sede e, quindi, definitiva.
Con il quinto (ed ultimo) strumento di impugnazione la contribuente deduce la «insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c.». Lamenta, in particolare, che secondo l’articolo 2506quater, comma terzo, cod. civ., la responsabilità della ricorrente sarebbe solidale nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato. Di qui, la riferibilità solo alla società scissa (RAGIONE_SOCIALE in liquidazione) del debito di cui alla cartella impugnata.
Il motivo è inammissibile, oltre che infondato.
Premesso che la doglianza sconta una insanabile contraddizione nel momento in cui la contribuente dapprima richiama la norma sulla responsabilità intra vires e poi insiste sulla totale carenza di responsabilità (cioè, nemmeno nei limiti del valore del patrimonio netto assegnato), non sussiste il vizio motivazionale dedotto (tra l’altro solo nella rubrica del motivo).
Invero, la CTR ha compiutamente e condivisibilmente argomentato circa la mancata violazione degli artt. 2506 e ss. cod. civ. richiamando la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia.
Siamo, quindi, ben al di fuori dei limiti del vizio di motivazione denunciabile, ex art. 360, primo comma, n. 5), alla luce della giurisprudenza richiamata supra in sede di esame del primo motivo.
In base alle considerazioni svolte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese di lite, nel rapporto con l’Agenzia delle Entrate, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Nulla sulle spese in relazione all’Agente della Riscossione, rimasto intimato.
Sussistono, infine, i presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore , delle spese processuali che si liquidano in euro 2.800,00 oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 15 novembre