Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 111 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 111 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 296/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE DI COGNOME E RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO COGNOME e COGNOME, tutti rappresentati e difesi dall’Avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LAZIO n. 2994/21/2015, depositata in data 27 maggio 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
Avv. Acc. IVA, IRAP, IRES 2006
L’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Roma II notificava alla società NOME RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE l’avviso n. NUMERO_DOCUMENTO con il quale si accertava per l’esercizio 2006 in capo alla stessa: – un reddito d’impresa ai sensi dell’art. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, pari a € 252.477,00, ripartito tra i soci, ai sensi dell’art. 5 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, in proporzione alle rispettive quote di partecipazione; – ai fini IRAP, ai sensi dell’art. 32 del D.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, un valore della produzione netta di € 389.694,00; – ai fini IVA, ai sensi dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, un volume d’affari di € 857.767,00 ottenuto considerando il valore dichiarato aumentato dei soli versamenti non giustificati, rilevati dalle indagini finanziarie, procedendosi poi a considerare ai fini IVA i prelevamenti bancari non giustificati, pari a € 65.379,47, come acquisti senza fattura e pertanto si applicava la sanzione per l’omessa regolarizzazione. L’Ufficio, infine, notificava distinti avvisi di accertamento ai soci COGNOME NOME (n. TK5011408748/2010) e Serra Nazario (n. TK5011408794/2010), imputando loro in proporzione il maggior imponibile accertato nei confronti della società.
Avverso tali avvisi i contribuenti proponevano distinti ricorsi dinanzi la C.t.p. di Roma; si costituiva anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La RAGIONE_SOCIALE Roma, previa riunione dei ricorsi, con sentenza n. 358/37/2013, li accoglieva.
Contro tale sentenza proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. del Lazio; si costituivano anche i contribuenti, chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.
Con sentenza n. 2994/21/2015, depositata in data 27 maggio 2015, la C.t.r. adita accoglieva parzialmente il gravame dell’Ufficio, determinando i maggiori ricavi nella somma di € 137.291,47.
Avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio, i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi e l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 53 del D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 per genericità dei motivi d’appello. La motivazione inesistente e comunque meramente apparente, insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti; in relazione all’art. 62 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.» i contribuenti lamentano l’ error in ludicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha ritenuto ammissibile l’appello, nonostante la genericità dei motivi proposti dall’Ufficio.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 32 e 39 d.P.R. n. 600/73, 2729 cod. civ. e degli artt. 32, 36, n. 4, 49 e 62 D.Lgs. n. 546/92 in riferimento all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ. La motivazione della sentenza è inesistente o comunque meramente apparente, insufficiente e contraddittoria su un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti» i contribuenti lamentano l ‘error in iudicando e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. ha motivato in maniera soltanto apparente e contraddittoria la propria decisione, non tenendo conto di specifica documentazione prodotta dai contribuenti.
Va premesso che, con nota depositata in data 4 settembre 2024, la società e NOME COGNOME amministratore e socio, facevano presente che in data 12 febbraio 2022 decedeva il socio NOME COGNOME; che,
in data 5 maggio 2022, con atto per Notar NOME COGNOME i figli del socio NOME COGNOME, ossia NOME e NOME COGNOME, rinunciavano all’eredità del padre; che la sig.ra NOME COGNOME moglie del sig. NOME COGNOME ed unica erede rimasta, in data 18 luglio 2022, con atto ricevuto dal Notaio NOME COGNOME di Roma, rinunciava all’eredità; che in data 10 gennaio 2022, il Sig. NOME COGNOME n.q. di socio amministratore, nonché unico socio a seguito della rinuncia all’eredità degli eredi, presentava tramite PEC alla Agenzia delle Entrate domanda di definizione agevolata della controversia tributaria pendente in Cassazione, ai sensi dell’art. 5 l. 130 del 2022 e versava, in unica soluzione gli importi previsti per poter definire tanto la propria posizione personale quanto la posizione della Società. Allegava, all’uopo, l’istanza di estinzione del giudizio, il certificato di morte di NOME COGNOME la domanda di definizione agevolata a nome NOME del 10.01.2023; la ricevuta di versamento Banca Unicredit del 10.01.2023 di € 4.968,40; la domanda di definizione agevolata a nome della società del 10.01.2023; la ricevuta di versamento Banca Unicredit del 10.01.2023 di € 9.417.60; la ricevuta di accettazione a mezzo Pec della presentazione della domanda di COGNOME NOME; la ricevuta di avvenuta consegna a mezzo pec della presentazione della domanda di COGNOME NOME; la ricevuta di accettazione a mezzo Pec della presentazione della domanda da parte della società; la ricevuta di avvenuta consegna a mezzo pec della presentazione della domanda da parte della società.
2.1. Va rilevato che non risultano documentate le rinunce all’eredità degli eredi di NOME COGNOME i quali non si sono comunque costituiti in questo giudizio, e che il decesso del predetto contribuente non determina l’interruzione del giudizio di cassazione.
Va ritenuta, anche in ragione della mancanza di contestazione erariale, regolare la documentazione depositata per la società
NOME e NOME di NOME COGNOME e NOME RAGIONE_SOCIALE e per il socio NOME COGNOME e, quindi, perfezionata la procedura di definizione agevolata relativa a ciascuno di tali contribuenti.
Per questa parte del contenzioso, ossia limitatamente alla società NOME RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE ed al socio NOME COGNOME va dichiarata quindi cessata la materia del contendere, con spese a carico di chi le ha anticipate.
3. Deve invece procedersi alla disamina dei due motivi di ricorso per quanto riguarda la pretesa impositiva azionata nei confronti di NOME COGNOME atteso che è pacifico che, nel giudizio di cassazione, in considerazione della particolare struttura e della disciplina del procedimento di legittimità, non è applicabile l’istituto dell’interruzione del processo, con la conseguenza che la morte di una delle parti, intervenuta dopo la rituale instaurazione del giudizio, non assume alcun rilievo (Cass. 29/01/2016, n. 1757).
4. Il primo motivo è inammissibile.
In base all’art. 366, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata; ciò comporta l’esatta individuazione del capo di pronuncia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza non riguardante il decisum della sentenza gravata. (Cass. 21/07/2020, n. 15517). Infatti, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si traducano in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la
sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità (Cass. 20/10/2016, n. 21296).
In particolare, è inammissibile la contemporanea prospettazione delle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., atteso che la lettura dell’intero corpo del relativo mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale mescolanza e sovrapposizione di censure, che dà luogo all’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto ( Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793).
Pertanto, i distinti motivi di cui al n. 3 ed al n. 5 dell’art. 360, primo comma 1, cod. proc. civ., cumulati già nella rubrica del motivo di ricorso, risultano, anche nel contenuto di quest’ultimo, censure non ontologicamente distinte dallo stesso ricorrente e quindi non autonomamente individuabili, senza un inammissibile intervento di selezione e ricostruzione del mezzo d’impugnazione da parte di questa Corte.
Nella fattispecie in esame, con il motivo si espongono in modo indistinto doglianze ascritte a vizi diversi.
4.2. Il motivo è comunque anche infondato, poiché la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita
l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (Cass., 15/01/2019, n. 707). Ancora, la riproposizione a supporto dell’appello delle ragioni inizialmente poste a fondamento dell’impugnazione del provvedimento impositivo (per il contribuente) ovvero della dedotta legittimità dell’accertamento (per l’Amministrazione finanziaria), in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado, assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, quando il dissenso investa la decisione nella sua interezza e, comunque, ove dall’atto di gravame, interpretato nel suo complesso, le ragioni di censura siano ricavabili, seppur per implicito, in termini inequivoci (Cass., 20/12/2018, n. 32954).
4.3. L’atto di appello dell’Ufficio è immune dal vizio di genericità ascrittogli essendo state in esso puntualmente indicate le statuizioni della sentenza di prime cure impugnata e le ragioni per veniva richiesta una diversa decisione su tali punti; mentre nella sentenza impugnata non è ravvisabile alcuna lacuna dell’attività decisoria, avendo la C.t.r. pronunciato nel merito e respinto l’eccezione preliminare formulata dai contribuenti, con motivazione intelligibile.
Parimenti il secondo motivo è inammissibile.
Anche in questo caso, con il motivo si espongono in modo indistinto doglianze riferibili a vizi diversi, in violazione dell’onere di chiarezza e specificità dei motivi.
5.1. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del
ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ. (Cass. 14/05/2018, n. 11603). Si è, altresì, precisato che l’esposizione cumulativa delle questioni non è consentita ove rimetta al giudice di legittimità il compito dì isolare le singole censure teoricamente proponibili; viceversa, la formulazione del motivo deve permettere di cogliere con chiarezza le doglianze cumulate, sicché queste devono essere prospettate in maniera tale da consentirne l’esame separato, esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi (Cass. 23/10/2018, n. 26790).
5.2. Il mezzo è comunque anche infondato. Infatti, quanto alla censura di motivazione parvente, secondo costante giurisprudenza di questa Corte, dalle norme di cui agli artt. 132, comma secondo, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. stesso codice, è desumibile il principio secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto, determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del thema decidendum e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 03/01/2022, n. 6758). Questo principio, in forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (comprese le sue disposizioni di attuazione) contenuto nell’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 546/1992, è applicabile anche al rito tributario (Cass. n. 13990 del 2003; Cass. n. 9745 del 2017). Va osservato, inoltre, che a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non essendo più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, il sindacato di legittimità sulla
motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
5.3. La sentenza in esame, non solo presenta le indicazioni richieste, contenendo lo svolgimento del processo e i fatti essenziali di causa, ma ha comunque una ratio decidendi chiaramente intellegibile, sicché la sua motivazione si colloca ben sopra la soglia del minimo costituzionale ex art. 111 cost. comma 6.
5.4. Inoltre, nel processo tributario, caratterizzato dall’impugnazione di una pretesa fiscale fatta valere mediante l’emanazione dell’atto impositivo nel quale i fatti costitutivi della richiesta sono già stati allegati, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato nell’atto impugnato, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio (Cass. 14/06/2023, n. 16984; Cass. 23/07/2019, n. 19806).
Nella fattispecie in esame, su espressa contestazione dell’Ufficio in relazioni alle movimentazioni rilevate sui conti correnti intestati alla società e qualificati come distribuzione di utili occulti, la C.t.r., con una motivazione della quale è agevole scorgere l’iter logico -giuridico sottostante, ha ritenuto privi di giustificazione i versamenti per € 70.000,00 e ciò a prescindere che esse fossero
stati registrati nel mastrino, perché il dato significativo non era l’annotazione o meno , ma la non attendibilità della qualificazione di tale entrata come finanziamento da parte dei soci, atteso il versamento di tali importi in contanti e la conseguente non tracciabilità.
In conclusione, va dichiarata l’estinzione del giudizio per intervenuta definizione agevolata, con spese a carico di chi le ha anticipate, nei confronti della società NOME RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e del socio NOME COGNOME, con spese che restano a carico di chi le ha anticipate, ex lege..
Va dichiarato inammissibile il ricorso relativamente a Nazario Serra, e le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’estinzione del giudizio nei confronti della società Sergio RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e RAGIONE_SOCIALE e nei confronti di NOME COGNOME dichiara inammissibile il ricorso di NOME COGNOME.
Condanna NOME COGNOME a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali, che si liquidano in € 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto.
Così decisa in Roma in data 12 dicembre 2024.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME