Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6273 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6273 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4213/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO(NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE NOME RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in META INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 5803/2022 depositata il 08/08/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.L’RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso l’Avviso di accertamento n. NA 0180076/2019 emesso in seguito alla procedura DOCFA presentata in data 04.07.2018.
Con riferimento al cespite oggetto di controllo – immobile adibito a struttura alberghiera, ubicato in Sorrento, INDIRIZZO la società, nel dichiarare la diversa distribuzione degli spazi interni, aveva proposto la riduzione della rendita da € 19.806,00 a € 18.936,50. L’ufficio, diversamente, aveva accertato un maggior valore del cespite, rideterminando la rendita catastale in € 41.900,00. La società impugnava l’avviso per insufficienza motivazionale e sul piano tecnico, deduceva l’errore di calcolo delle superfici e, quindi, l’errata rideterminazione ed attribuzione della rendita catastale.
La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 1387/2021, accoglieva il ricorso proposto dalla ricorrente
Sull’appello dell’Agenzia, la CTR, con sentenza n. 5803/20/2022, accoglieva parzialmente il gravame stabilendo che ‘ L’appello è solo parzialmente fondato… nel caso di specie, mancano gli elementi per pervenire ad una valutazione circa la congruità del valore indicato dall’Agenzia delle Entrate Territorio nell’atto impugnato. Ed infatti, nella motivazione dell’atto si legge che il valore finale ‘è scaturito attraverso il procedimento di stima riferito al costo di produzione deprezzato del cespite’ e che i dati relativi al costo di costruzione sono ‘desunti da analisi riportate da riviste specializzate per tipologie edilizia destinate od assimilabili ad alberghi in funzione delle caratteristiche costruttive, grado di rifinitura, dotazione impiantistica e consistenza del complesso oltre che da elaborazioni relative a strutture campione e dati agli atti
dell’Ufficio’. A conferma dell’attendibilità del calcolo, poi, vengono richiamati i valori unitari determinati dall’Ufficio per gli Hotel Residence Miramare (quattro stelle) e Villa Gerardo (tre stelle). Orbene, nessuno degli elementi sui quali si fonda la stima (dati relativi al costo di costruzione, stime e caratteristiche degli altri hotel presi quali elementi di comparazione), è stato prodotto nel presente giudizio, sicché, in assenza degli stessi non è possibile riconoscere, nel merito, l’attendibilità della stima operata dall’A.F. Deve però osservarsi che, anche sulla base della documentazione in atti, è possibile ritenere che neppure sia corretta la rendita catastale indicata nella docfa depositata dalla società appellata. Ed infatti, dalla sola redistribuzione della volumetria interna non è possibile far derivare la riduzione della rendita catastale. Non è un caso, del resto, che la stessa appellata nella propria comparsa di costituzione dichiari che, a seguito delle modifiche cha hanno determinato la docfa ‘la consistenza è rimasta immutata’, così che anche la rendita deve ritenersi pari a quella precedentemente attribuita all’immobile. Pertanto, la rendita dell’immobile va correttamente determinata in Euro 19.806. All’accoglimento solo parziale dell’appello (e comunque all’opinabilità delle stime relative al settore in esame) consegue la compensazione integrale delle spese di entrambi i gradi di giudizio.’
Ricorre l’Ufficio per la cassazione della citata sentenza, svolgendo un unico articolato motivo, illustrato nella memoria difensiva depositata in prossimità dell’udienza.
La contribuente ha replicato con controricorso.
MOTIVI DI DIRITTO
1.Con un unico articolato motivo, l’amministrazione finanziaria denuncia
L’ente ricorrente assume che la sentenza appare viziata per per non aver tratto dalla documentazione agli atti, anche di natura tecnica, le motivazioni addotte dall’Amministrazione a sostegno della legittimità dell’atto impositivo.
In particolare, si osserva che è mancato il riscontro espresso di quanto argomentato e di quanto prodotto in atti documentalmente, laddove, il giudice del gravame ha ritenuto che mancassero gli elementi .
Si deduce l’illogicità del ragionamento seguito dal decidente laddove si afferma che l’Agenzia non avrebbe prodotto elementi da cui inferire l’aumento della rendita catastale del cespite, senza considerare invece gli elementi confluiti nella relazione di stima, prodotta in giudizio.
Si evidenzia, altresì, che i lavori che si eseguono su una struttura alberghiera per quanto non importino un aumento di volumetria ovviamente sono di per sé soli funzionalmente destinati al ripristino di ammaloramenti strutturali e/ o a migliorie dello stesso, il che avviene anche attraverso una diversa distribuzione degli spazi interni evidentemente finalizzati ad un diverso soddisfo della sottesa esigenza reddituale. La posizione, l’affaccio su strada o sul golfo, la vicinanza al centro abitato o alla parte dell’entroterra sono tutti elementi circostanziali che, al di là del rilievo oggettivistico confluibile in documentazioni a firma di tecnici incaricati, certamente non sono suscettivi di ulteriore prova. Si obietta che l’attività amministrativa si è fondata proprio sulla relazione di stima che unitamente alla visura storica avrebbe dovuto diversamente orientare il giudice in una valutazione complessiva della fattispecie
anche e soprattutto circostanziandone la portata effettuale all’intera ‘vicenda strutturale’ risultabile dalla visura storica.
Si soggiunge che la C.T.R. aveva tutti gli strumenti a sua disposizione per poter comprendere il criterio utilizzato dall’Ufficio per il calcolo della rendita, mentre si è limitata a ritenere non specificati gli elementi su cui la stessa è stata determinata. Oltretutto, la sentenza d’appello si pone in contrasto con il costante orientamento (ormai consolidato) della Corte di Cassazione la quale, in numerosissime pronunce, tra cui la sentenza n. 22027/2020, ha sancito che: << … è costante l'insegnamento giurisprudenziale di questa Corte secondo il quale in tema di classamento di immobili, qualora l'attribuzione della rendita catastale avvenga a seguito della cd. procedura DOCFA, l'obbligo di motivazione del relativo avviso è soddisfatto con la mera indicazione dei dati oggettivi e della classe attribuita solo se gli elementi di fatto indicati dal contribuente non siano stati disattesi dall'Ufficio e l'eventuale discrasia tra rendita proposta e rendita attribuita derivi da una valutazione tecnica sul valore economico dei beni. Orbene, la CTR affermando che l'Amministrazione si sarebbe limitata , ha dimenticato che tale “mera enunciazione”, secondo la richiamata giurisprudenza della Suprema Corte, costituisce una motivazione sufficiente, purché gli elementi di fatto considerati dall’Amministrazione ai fini del classamento siano gli stessi di quelli rappresentati dal contribuente.
Si deduce, infine, che la sentenza impugnata è, altresì, nulla per insufficienza di motivazione per aver deciso sulla rendita catastale disattendendo sia le richieste dell’ufficio sia quelle del contribuente
e ripristinando semplicemente la rendita originaria senza fornire una congrua motivazione.
Il motivo non supera il vaglio di ammissibilità, in quanto ha struttura c.d. ‘mista’ deducendosi sia il vizio motivazionale della decisione sia la violazione o falsa applicazione di legge -con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 4), cod.proc.civ. (Cass. n. 26874 del 23/10/2018; Cass. n. 7009 del 17/03/2017; Cass. Sentenza n. 21611 del 20/09/2013; Cass. n. 19443 del 23/09/2011).
2.1.Secondo la giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c. deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (Cass. sez. un., n. 17931 del 2013; Cass. n. 24553 del 2013; conf. Cass. n. 24849 del 2015). In termini generali va, dunque, rilevato che, nel ricorso per cassazione, non è consentita la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione tra loro eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, c.p.c., non essendo permessa la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. La lettura dell’intero corpo del mezzo d’impugnazione evidenzia una sostanziale
mescolanza e sovrapposizione di censure, che comporta l’inammissibile prospettazione della medesima questione sotto profili incompatibili (Cass. 23/10/2018, n. 26874; Cass. 23/09/2011, n. 19443; Cass. 11/04/2008, n. 9470), non risultando specificamente separati la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 11/04/2018, n. 8915; Cass. 23/04/2013, n. 9793). L’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa, palesemente mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. n. 7009/2017; Cass. n. 26874 e n. 26790 del 2018; Cass. n. Cass. nn.39169 e 36881 del 2021; Cass. n. 3397/2024). 3. Inoltre, laddove nella illustrazione del motivo, si trascrive la relazione di stima proponendo il vizio cassatorio di cui al n. 3) dell’art. 360, primo comma c.p.c. si intende, in sostanza, sollecitare una nuova valutazione di risultanze di fatto rientrante nel sovrano apprezzamento del giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità, atteso che la Corte non è legittimata a compiere una rivalutazione degli atti processuali, dei fatti o delle prove, potendo soltanto controllare che la motivazione della sentenza impugnata sia lineare e scevra da vizi logico -giuridici (Cass. n. 8758/2017; S.U. n. 34476/2019; Cass. n. n.20753/2021, in motiv.; Cass. n. 20068/2023; Cass. n. 23347/2024, in motiv.). 3.1.Così operando, l’Ufficio mostra in realtà di voler ridiscutere gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò
solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018, in motiv.). Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece limitarsi a controllare se il decidente abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare. (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
3.2. D’altra parte neppure coglie nel segno la censura concernente la statuizione relativa alla carenza contenutistica dell’avviso opposto, atteso che il Collegio d’appello non ha affermato il deficit motivazione dell’atto impositivo, ma ha accertato che l’Agenzia pur indicando in esso gli elementi sulla scorta dei quali aveva determinato la nuova rendita, non li aveva prodotti in giudizio sì da impedirgli di valutare l’incidenza della mera ridistribuzione degli spazi sull’aumento del valore in comune commercio dell’Hotel.
3.3. Inoltre, pur a voler ritenere che la formulazione del motivo permetta di cogliere con chiarezza quanto meno la doglianza prospettata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., vale a dire il vizio di motivazione, occorre osservare che la motivazione meramente apparente – che la giurisprudenza parifica, quanto alle conseguenze giuridiche, alla motivazione in tutto o in parte mancante – sussiste allorquando pur non mancando un testo della motivazione in senso materiale, lo stesso non contenga una
effettiva esposizione delle ragioni alla base della decisione, nel senso che le argomentazioni sviluppate non consentono di ricostruire il percorso logico -giuridico alla base del decisum. E’ stato, in particolare, precisato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. Un. n. 22232 del 2016), oppure allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento (Cass. n. 9105 del 2017) oppure, ancora, nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (Cass. 18/09/2009 n. 20112). Tali carenze non sono in alcun modo riscontrabili nella sentenza impugnata della quale è agevole ricostruire il percorso logico- giuridico che ha condotto al rigetto dell’appello, percorso fondato essenzialmente sull’assenza di adeguata allegazione e produzione degli elementi probatori indicati nell’atto impositivo a sostegno della rettifica della rendita catastale. 3.4.E’, infatti, da escludere che nell’ambito della verifica demandata con il motivo in esame possa assumere rilievo, come sembra prospettare parte ricorrente, il contrasto tra quanto accertato dal giudice di appello in punto di carenza probatoria e la diversa valutazione in merito alla rilevanza degli elementi probatori offerti, atteso che, secondo quanto chiarito dalla condivisibile giurisprudenza di legittimità, la violazione dell’obbligo di
motivazione di cui all’art. 132, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., sussiste solo quando le ragioni poste a fondamento della decisione risultino tra loro incompatibili e sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata (Cass 09/02/2004 n. 2427), non rilevando, al riguardo, eventuali contrasti – pur denunziabili sotto altri profili – tra le affermazioni della stessa sentenza ed il contenuto di prove e documenti (Cass. 24/05/2000 n. 6787; Cass. 14/02/2000 n. 1605; Cass. 17/08/2020, n. 17196).
Segue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono il criterio della soccombenza.
La soccombenza di una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, determina che non si applichi l’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna l’amministrazione finanziaria alla refusione delle spese sostenute dalla controparte che liquida in euro 2.500,00, oltre 200,00 euro per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria della