Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 31385 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 31385 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3885/2016 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’Avvocato NOME COGNOME e domiciliata ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, INDIRIZZO Roma.
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , con sede in Roma, INDIRIZZO C/D, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato.
-controricorrente –
Avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. LOMBARDIA n. 2786/2015, depositata in data 23 giugno 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 novembre 2024 dal Consigliere dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME riceveva notifica di avviso di accertamento ai fini IRPEF relativo all’anno 2007, con il quale l’Agenzia delle Entrate direzione provinciale di Pavia – rideterminava induttivamente, ex
Avv. Acc. IRPEF 2007
art. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i ricavi in € 137.487,00, rispetto a quelli dichiarati di € 105.648,00, e ciò sulla base dell’applicazione degli studi di settore.
Avverso l’avviso di accertamento la contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.t.p. di Pavia; si costituiva in giudizio anche l’Ufficio, chiedendo la conferma del proprio operato.
La C.t.p., con sentenza n. 176/03/2014, accoglieva il ricorso della contribuente.
Contro tale decisione proponeva appello l’Agenzia delle Entrate dinanzi la C.t.r. della Lombardia; si costituiva in giudizio anche la contribuente, chiedendo la conferma di quanto statuito in primo grado.
Con sentenza n. 2786/28/2015, depositata in data 23 giugno 2015, la C.t.r. adita accoglieva il gravame dell’Ufficio.
Avverso la sentenza della C.t.r. della Lombardia, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi mentre l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 15 novembre 2024.
Considerato che:
Con il primo motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione e violazione combinato disposto art. 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e art. 132 cod. proc. civ.» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. ha pressoché fatto ricorso alle argomentazioni dell’Ufficio, senza dare contezza delle argomentazioni svolte dall’odierna ricorrente.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 D.Lgs. n. 546/1992» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha tenuto conto degli studi di settore evoluti prodotti dalla contribuente fin dal primo grado di giudizio.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 58 D.Lgs. n. 546/1992» la contribuente lamenta l’ error in procedendo nella parte in cui, nella sentenza impugnata, la C.t.r. non ha ritenuto di valutare la produzione documentale su cui, invece, la C.t.p. aveva fondato la propria decisione di accoglimento del ricorso.
1.4. Con il quarto motivo di ricorso, così rubricato: «Violazione e falsa applicazione art. 2043 cod. civ. e art. 53 Cost.» la contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r. non ha ritenuto che l’Ufficio doveva agire in autotutela per annullare il proprio avviso di accertamento che si poneva in contrasto con gli studi di settore evoluti in materia.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso, così rubricato: «Nullità accertamento» la contribuente lamenta l’ error in iudicando nella parte in cui, nella sentenza impugnata , la C.t.r., contravvenendo al principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, non si è espressa sugli specifici approfondimenti richiesti dalla contribuente.
Preliminarmente va rilevato che costituisce principio consolidato di questa Corte quello secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore concreta un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo
di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, nel qual caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli “standards”, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (Cass. 18/08/2022, n. 24931). Ancora, in tema di accertamento tributario mediante studi di settore, ai fini del riparto degli oneri probatori, grava sul contribuente l’onere di allegare, ed anche di provare ancorché senza limitazioni di mezzi e di contenuto – la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre sull’ente impositore quello di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (Cass. 21/12/2021, n. 40936).
3. Tanto premesso, il primo, il secondo, il terzo ed quinto motivo di ricorso, che possono esaminarsi congiuntamente stante la stretta
connessione e l’affinità delle critiche sollevate, sono infondati; con essi, in particolare, parte ricorrente censura le decisione della C.t.r. nella parte in cui non avrebbe considerato gli studi di settore evoluti prodotti dallo stesso fin dal primo grado di giudizio, in questo modo emettendo sentenza priva di adeguata motivazione e, comunque, non rispondente effettivamente a quanto eccepito dalla contribuente.
3.1. Questa Corte ha avuto modo di affermare che «i motivi di impugnazione, nel giudizio tributario, devono essere dedotti nel ricorso introduttivo; e l’art. 24, 2 co., del d.lgs. n. 546 del 1992 ne ammette l’integrazione solo allorché sia resa necessaria dal deposito, a opera delle altre parti, di documenti non conosciuti. Nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma della impugnazione dell’atto tributario (per vizi formali o sostanziali), l’indagine sul rapporto sostanziale è cioè limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’amministrazione che il contribuente abbia specificamente dedotto nel ricorso introduttivo di primo grado. Ne consegue che, ove il contribuente deduca specifici vizi di invalidità dell’atto impugnato, il giudice deve attenersi all’esame di essi e non può, ex officio , annullare il provvedimento impositivo per vizi diversi da quelli dedotti, anche se risultanti dagli stessi elementi acquisiti al giudizio, in quanto tali ulteriori profili di illegittimità debbono ritenersi estranei al tema controverso come definito dalle scelte del ricorrente. L’oggetto del giudizio, circoscritto dai motivi di ricorso, può essere modificato solo nei limiti consentiti dalla disciplina processuale e, cioè, con la presentazione di motivi aggiunti, consentita però, ex art. 24 d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nel solo caso di ‘deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione’ (v. tra le tante Cass. n. 19337-11; n. 21779-12)» (Cass. n. 24802/2014).
3.2. Ora, nella sentenza qui impugnata il Giudice di seconde cure ha statuito che: «Risulta agli atti che la contribuente ha proposto con l’atto introduttivo del giudizio due precise doglianze, entrambe relative alla regolarità formale del procedimento di emissione dell’atto impugnato, senza mai entrare nel merito della pretesa fatta valere dall’Ufficio e che soltanto con la memoria difensiva depositata prima dell’udienza di discussione ha contestato l’efficacia degli accertamenti effettuati in base agli studi di settore e le modalità applicative di questi ultimi da parte dell’Ufficio. Poiché l’art. 18 D.Lgs 546/92 non consente l’introduzione di motivi nuovi successivamente alla proposizione del ricorso, attraverso il quale viene definito il thema decidendi , proprio per il rispetto del principio del contraddittorio (salva l’integrazione dei motivi già svolti, ai sensi dell’art. 24 D.Lgs 546/92, in presenza dello specifico presupposto di nuove acquisizioni documentali, e comunque sempre nei limiti temporali previsti dalla predetta norma), erroneamente i giudici di prime cure hanno posto a fondamento della loro decisione le circostanze prospettate dalla contribuente per la prima volta nella memoria illustrativa».
Orbene, ciò che la C.t.r spiega nella sua decisione è proprio lo sconfinamento, rispetto al thema decidendum già delineatosi, della questione della non conformità rispetto agli studi di settore evoluti dell’accertamento in oggetto, introdotta dalla contribuente solo con le memorie, senza che se ne facesse rilevare l’impossibilità della previa allegazione con il ricorso introduttivo. La tardiva introduzione della questione deve quindi intendersi non consentita alla luce della giurisprudenza citata; da qui la correttezza della soluzione prospettata dalla C.t.r.
Dal rigetto dei motivi di ricorso appena esaminati discende l’assorbimento del quarto motivo.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese processuali che si liquidano in 2.400,00. oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis del medesimo art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma il 15 novembre 2024.