Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 8044 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 8044 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 26/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25121/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA-PALERMOSEZ.DIST. DI CATANIA n. 1620/2018 depositata il 13/04/2018. Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica della GdF di Ragusa, esitata in PVC addì 23 settembre 2009, erano emerse fatture per operazioni inesistenti tra la RAGIONE_SOCIALE ed alcuni fornitori (NOME; RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE).
In recepimento del PVC, la DP di Ragusa dell’Agenzia delle entrate emetteva avvisi di accertamento addì 30 gennaio 2012 per IVA in relazione, rispettivamente, agli aa.ii. 2008 e 2009, mediante i quali, ritenendo l’insussistenza delle operazioni fatturate, contestava indebite detrazioni dell’IVA, disconoscendo i relativi crediti, determinando maggiori somme dovute ed irrogando sanzioni.
COGNOME NOME impugnava entrambi gli avvisi mediante unico ricorso.
La CTP di Ragusa, con sentenza n. 787/01/12 del 25 settembre 2012, dep. il 18 ottobre successivo, accoglieva il ricorso e compensava le spese.
L’Agenzia delle entrate presentava appello, accolto dalla CTR della Sicilia, con la sentenza in epigrafe, sulla base della seguente letterale motivazione:
I primi giudicanti, respinte tutte le eccezioni preliminari, hanno accolto il ricorso originario del contribuente per la ritenuta poca congruenza delle argomentazioni portate avanti dai verificatori, prima, e dall’Agenzia delle entrate, dopo.
Premesso ciò, si rileva che, dall’esame degli atti, si evincono, invece, le ragioni dell’Ufficio nel sostenere la legittimità e fondatezza dell’accertamento che trae origine dal dettagliato p.v.c. da cui emerge, però, la fondatezza dei rilievi contestati basati sulle dichiarazioni degli
emittenti le fatture evidenziate e dai riscontri sui movimenti finanziari e tali elementi rivestono i requisiti di gravità, precisione concordanza richiesti dalla specifica normativa nel caso di fatturazioni per operazioni inesistenti.
I verbalizzanti hanno puntualmente tratteggiato l’iter seguito dal contribuente al fine di ottenere sia un finanziamento pubblico e sia un credito d’imposta in misura superiore a quello effettivamente spettante in quanto, a fronte delle fatture specificamente indicate nel p.v.c., venivano effettuati i pagamenti fittizi i cui importi, poi, quindi, venivano successivamente restituiti e riutilizzati per altre operazioni simili. Ciò risulta dalle dichiarazioni riportate e dai riscontri effettuati.
Propone ricorso per cassazione il contribuente con un motivo, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso.
In data 9 dicembre 2024, il P.M. in persona del Dott. NOME COGNOME deposita requisitoria, mediante la quale conclude per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
In data 23 dicembre 2024, il difensore del contribuente deposita ampia memoria ulteriormente illustrativa delle ragioni di questi, altresì compiegando sentenza penale dibattimentale assolutoria munita di formula di irrevocabilità.
All’odierna pubblica udienza, dopo breve discussione, il predetto P.M. reitera la richiesta di declaratoria d’inammissibilità del ricorso. I difensori delle parti rispettivamente privata e pubblica insistono nelle conclusioni rassegnate nei propri atti, che illustrano.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione degli artt. 54 e 56 d.P.R. n. 633 del 1972, dell’art. 7 l. n. 212 del 2000, dell’art. 111 Cost, dell’art 36 D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art 360, comma 1, n. 3, 4 e 5 cod. proc. civ.: invero, la sentenza impugnata sarebbe affetta da motivazione apparente, omessa pronuncia ed omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.
Inoltre, a fronte di tale motivo, giusta memoria, il difensore del contribuente invoca l’efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 21 -bis
D.Lgs. n. 74 del 2000, in riferimento alla sentenza n. 561 del 2013 con cui il Tribunale penale di Ragusa, in esito a dibattimento, ha assolto COGNOME NOME dal reato ascrittogli al capo A) dell’imputazione, ai sensi dell’art. 530, comma 1, cod. proc. pen., perché il fatto non sussiste.
Segnatamente, a termini del capo A) dell’imputazione, il contribuente, titolare della suddetta azienda agricola, era chiamato a rispondere dei reati p. e p. dagli artt. 81. 110, 483 e 640-bis cod. pen., in concorso con ‘COGNOME NOME, nella sua qualità di socio, nonché ideatore del progetto delittuoso, della ditta RAGIONE_SOCIALE‘ , COGNOME NOME, nella sua qualità di rappresentante legale della RAGIONE_SOCIALE , e COGNOME NOME, nella sua qualità di rappresentante legale della società ‘RAGIONE_SOCIALE , giacché tutti, ‘mediante artifizi e raggiri consistiti nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, di cui ai capi B) e C) ed attestando falsamente costi in realtà non sostenuti, consentivano all’Azienda RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME, inducendo in errore la Regione Sicilia, l’illecita percezione di finanziamenti pubblici ‘.
In particolare, secondo il Giudice penale,
l’ipotesi accusatoria non risulta corroborata da indagini in ordine all’effettivo valore dei beni e dei servizi oggetto delle fatture in contestazione,
talché,
avendo l’istruttoria dibattimentale escluso la contestata sovrafatturazione dei servizi e dei beni acquistati dalla ditta del Tidona RAGIONE_SOCIALE dalla RAGIONE_SOCIALE., dalla RAGIONE_SOCIALE e dall’impresa edilizia del Giurdanella (quest’ultimo sostanzialmente coinvolto nel capo A della rubrica stante il tenore della contestazione) risultano insussistenti i delitti di falso ideologico in atto pubblico (art. 483 cod. pen.) e di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cod. pen.) di cui al capo A) della rubrica, con conseguente assoluzione degli
imputati perché il fatto non sussiste, ai sensi dell’art. 530, comma 1, cod. proc. pen.
La trattazione a seguire, per ragioni di consequenzialità logica e di economia espositiva, esaminerà dapprima l’unico motivo di ricorso dappoi la questione dell’efficacia del giudicato assolutorio.
Detto motivo è inammissibile.
È cumulativo, senza che la pedissequa illustrazione argomentativa, articolata in ‘a Motivazione apparente/omessa motivazione’ e, di nuovo cumulativamente ‘b) Omessa pronuncia e c) omesso esame di fatti decisivi’, consenta di partitamente ragguagliare le singole censure alla rubrica, la quale, viepiù sotto gli indistinti paradigmi di tutti e tre i nn. 3, 4 e 5 del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ., esprime altresì una pretesa violazione di legge (con riguardo, tra l’altro, agli artt. 54 e 56 DPR n. 600 del 1972 e 7 St. contr.) neppure sviluppata.
Fermo quanto precede, in riferimento alla censura di motivazione parvente, tiene in non cale esibire invece la sentenza impugnata una motivazione effettiva, sia dal punto di vista grafico che dal punto di vista contenutistico, con conseguente superamento della soglia del c.d. minimo costituzionale (Cass., Sez. U, n. 8053 del 2014). Essa, infatti, sinteticamente ma precisamente, enuclea gli elementi di prova (‘dichiarazioni degli emittenti le fatture evidenziate’ e ‘riscontri sui movimenti finanziari’) corroboranti la tesi della parte pubblica , in riferimento alla quale la fittizietà dei pagamenti, con conseguente natura indebita delle detrazioni maturate a credito, trova sviluppo nel flusso di ritorno (restituzione) dei relativi importi, onde alimentare altre operazioni illecite, alla stregua di un meccanismo circolare.
Ciò che in realtà esso rimprovera alla sentenza impugnata è di essere ‘affatto ‘sorda’ rispetto alle copiose circostanze e argomentazioni allegate a prova contraria’: premesso che tali ‘copiose circostanze e argomentazioni’ non sono, in difetto di autosufficienza, allegate e comprovate, in tal guisa, esso risolve la
censura nella denuncia di una motivazione, non già insussistente per mera apparenza, ma, eventualmente, solo incompleta, perché non confutante le difese della privata. E tuttavia la deduzione di un tal vizio non è più consentita dalla vigente formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., fermo, oltretutto, che il recriminato onere confutatorio non sussiste, essendo il giudice gravato soltanto dall’onere di indicare le prove a sostegno della decisione assunta (cfr., tra le innumerevoli, Cass. n. 16056 del 2016).
In riferimento alla censura di omessa pronuncia, per avere la CTR pretermesso i motivi 3, 4 e 5 del ricorso introduttivo, è a rilevarsi che il ricorso trascrive una parte del terzo motivo (p. 4) e non trascrive affatto il quarto ed il quinto motivo (p. 8); in aggiunta, il ricorso, rispetto a tutti e tre i motivi di cui si tratta, non offre congrua evidenza testuale della loro riproposizione devolutiva alla CTR, limitandosi, insufficientemente, a riferire che il contribuente di sarebbe riportato alle ‘deduzioni’ ed ‘eccezioni’ di primo grado (p. 9).
Il motivo, pertanto, disattende il costante principio secondo cui, ‘nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del ‘fatto processuale’, intanto
può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (cfr., da ult., Cass. n. 28072 del 2021). Ciò tanto più in quanto ‘la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 c.p.c. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare -a pena di inammissibilità -che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni’ (Cass. n. 41205 del 2021).
Fermo quanto precede, par solo tuzioristicamente il caso di aggiungere, a proposito del terzo motivo del ricorso introduttivo, che la protesta di insussistenza di una valenza probatoria privilegiata del PVC per il fatto di contenere ‘arbitrarie e contraddittorie illazioni dei militari verbalizzanti, addirittura smentite dallo stesso esito dell’attività ispettiva’ (p. 5 ric.), di guisa da esser ‘del tutto inaccettabile che l’Agenzia di Ragusa si sia limitata ad una pedissequa omologazione dei rilievi mossi dalla Guardia di Finanza’ (p. 6 ric.), cade nel vuoto per un duplice ordine di ragioni:
-anzitutto, omette in generale il ricorso di testualmente riprodurre il PVC e l’avviso, impedendone quindi alcun apprezzamento intrinseco e ‘a fortiori’ reciproco;
-secondariamente, omette nello specifico il motivo di considerare, nel muovere alla CTR la censura in disamina, che essa, ben lungi dal riferirsi solo al PVC, ha, come visto, attinto l’informazione probatoria direttamente dalle fonti sottostanti (‘dichiarazioni degli emittenti le fatture evidenziate’ e ‘riscontri sui
movimenti finanziari’), di guisa da trarre da esse la diretta conferma dell’impianto contestativo del PVC, per l’effetto apprezzato nella sua portata ricostruttiva, con conseguente implicito rigetto e non già pretermissione – delle doglianze di cui al suddetto terzo motivo.
Infine, in riferimento alla censura di omesso esame, essa non deduce alcuna effettiva omissione in cui la CTR sarebbe incorsa nella disamina di veri e propri fatti storici oltretutto decisivi. La censura si appunta, anche graficamente, sull’omessa considerazione di argomentazioni difensive già articolate nel ricorso di primo grado, senza richiamare e riprodurre (in reiterata violazione dei principi di precisione ed autosufficienza del ricorso) gli elementi di prova (non localizzati negli atti dei giudizi di merito) su cui esse fondano e senza altresì dimostrarne l’univo conducenza al sovvertimento del giudizio di merito espresso dalla CTR nella sentenza impugnata. Donde, quel che in realtà la censura di cui si tratta, interamente vertita in fatto, pretende è una più favorevole rivisitazione di detto giudizio ad opera di questa Suprema Corte, in violazione di natura e limiti del giudizio di cassazione come momento di controllo della sola legalità (ossia legittimità) delle pronunce ricorse.
Le superiori considerazioni votano integralmente il ricorso alla declaratoria d’inammissibilità.
Ciò comporta come conseguenza la non valutabilità, in favore del contribuente, agli effetti dell’art. 21 -bis D.Lgs. n. 74 del 2000, del giudicato penale assolutorio, sulla base del principio, che deve essere ribadito anche in relazione a tale disposizione, secondo cui nel giudizio di legittimità non è ammessa l’applicazione dello “ius superveniens” ove i motivi di ricorso cui lo stesso attiene debbano essere dichiarati inammissibili, atteso che, in detta ipotesi, la disciplina sopravvenuta non potrebbe comunque
determinare l’accoglimento del ricorso (Cass. n. 23518 del 2018).
Dalla declaratoria d’inammissibilità del ricorso discendono le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 5.500, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della predetta, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 15 gennaio 2025.