Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19915 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19915 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1130/2019 R.G. proposto da:
COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, presso il quale è elettivamente domiciliato in Roma al INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , ed RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliate in ROMA, INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende ope legis;
-controricorrenti –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania n. 4938/2018 depositata in data 22/05/2018, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/06/2025 dal relatore consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
In controversia avente ad oggetto estratti di ruolo per una cartella di pagamento per Irpef, Iva e Irap dell’anno d’imposta 2004, ove la Commissione tributaria provinciale di Napoli aveva dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente, la Commissione tributaria regionale della Campania, premesso preliminarmente che alla luce della sentenza Cass. Sez. U. n. 19805/2015 l’ estratto di ruolo era impugnabile, ha confermato la decisione di primo grado; ha evidenziato, in merito alla mancanza di conformità all’originale della documentazione prodotta in copia da parte dell’Agenzia delle entrate, che effettivamente, secondo l’art. 26, comma 5, del d.P.R. n. 602 del 1973, il concessionario non è obbligato a conservare oltre 5 anni la matrice e la copia delle cartelle.
Contro tale decisione propone ricorso il contribuente in base ad un motivo al quale resistono con unitario controricorso le Agenzie fiscali.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza camerale del 20/06/2025.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’ unico motivo del ricorso , proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 26, comma 5, d.P.R. n. 602 del 1973 e «di ogni altra norma e principio in materia di legittimo affidamento e tutela del contribuente»; il ricorrente evidenzia infatti che la disposizione citata si limita a prevedere un termine minimo di conservazione della documentazione ma non certo un termine massimo per cui Equitalia sud aveva ancora
l’obbligo di custodire la documentazione originale relativa alla cartella di pagamento, ben potendo accadere che venissero eccepiti i vizi sostanziali o procedimentali dell’atto tale da rendere illegittime la pretesa tributaria.
2. Il ricorso è inammissibile.
In primo luogo, esso è inammissibile ove, nella rubrica, compie un riferimento alla violazione di «ogni altra norma e principio in materia di legittimo affidamento e di tutela del contribuente», per la evidente genericità del plesso normativo che si assume violato.
In secondo luogo, esso è del tutto carente in tema di esposizione dei fatti di causa, prevista dall’art. 366, primo comma, n. 3 c.p.c., in quanto omette del tutto di descrivere i motivi del ricorso originario, il contenuto della sentenza di primo grado, sulla cui condivisione fonda preliminarmente ed espressamente la sentenza di appello, e i motivi di appello.
Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c. il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati causa petendi e petitum , nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla Suprema Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente (Cass. n. 13312/2018).
Ciò è stato di recente ribadito da Cass. n. 1352/2024, secondo cui il disposto dell’art. 366, primo comma, n. 3, c.p.c. – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa – non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto,
senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata.
In tale pronuncia si è anche osservato che la legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali. Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che il requisito di contenuto-forma in questione è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte e segnatamente all’esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti» (Cass. Sez. U. 10/09/2019, n. 22575; Cass. 16/05/2013, n. 11826). Nel citato precedente, la Corte ha segnalato che a tale contesto ermeneutico di riferimento non apporta significative novità la pronuncia della Corte Edu 28/10/2021, Succi c. Italia che ha riscontrato la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione con riferimento ad uno dei
tre casi al suo esame (nel quale venivano in rilievo i diversi requisiti di ammissibilità di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 366 c.p.c .). In tale prospettiva, la Corte EDU con la medesima pronuncia ha invece escluso la violazione della detta norma convenzionale in un altro caso contestualmente esaminato in cui veniva in considerazione proprio il requisito dell’art. 366 n. 3 c.p.c.
Tali omissioni non consentono di calare la doglianza, formulata in termini di violazione di legge, e precisamente dell’art. 26, comma 5, d.P.R. n. 602 del 1973, all’interno della dinamica processuale e valutarne l ‘ effettiva rilevanza nel percorso decisorio, e ciò sia in considerazione del rinvio, operato dai giudici di appello, alla motivazione della CTP, del cui contenuto il ricorso non fornisce alcuna descrizione, limitandosi ad evidenziare che era stata pronunciata l’inammissibilità , sia poiché, per quanto emerge dalla relativa motivazione, la CTR ne esamina la portata in riferimento alla tardività del ricorso introduttivo, questione cui il ricorso non compie alcun accenno.
3. Concludendo, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Alla soccombenza del ricorrente segue condanna al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 5.000,00 per compensi, tenendo conto altresì dell’aumento ex art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014, in presenza di due parti controricorrenti, oltre spese prenotate a debito.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore delle Agenzie costituite, spese che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto. Così deciso in Roma, il 20 giugno 2025.