Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2590 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5   Num. 2590  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 29/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 9339/2020 proposto da:
NOME, rappresentat a e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  nella  persona  del  Direttore pro  tempore , rappresentata e difesa dall’RAGIONE_SOCIALE, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO.
– intimata –
avverso  la  sentenza  della  Commissione  tributaria  regionale  della SICILIA,  n.  5137/2/19,  depositata  in  data  3  settembre  2019,  non notificata;
udita  la  relazione  della  causa  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  5 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO CHE
NOME,  esercente l’ attività  di  commercio  di  carni,  aveva presentato  ricorso  avverso  l’avviso  di  accertamento relativo  ad  IVA, IRPEF ed IRAP per l’anno di imposta  2005,  con  il  quale  erano  stati accertati  i  ricavi  e  il  relativo  reddito  di  impresa  pari  ad  euro 69.562,00, a seguito di omessa dichiarazione per detto anno di imposta  e  sulla  base  RAGIONE_SOCIALE  risultanze  del  processo  verbale  di constatazione notificato il 14 aprile 2009.
La Commissione tributaria provinciale di Messina, con sentenza n. 6877 dell’1 dicembre  2014,  aveva  accolto  parzialmente  il  ricorso, determinando  il  volume  d’affari  in  euro  109.126,00  e  il  reddito imponibile in euro 21.125,00.
La Commissione tributaria regionale, con sentenza n. 4584/27/15 del 19  ottobre  2015,  adita  da  entrambe  le  parti,  aveva  rigettato  l’appello principale  della  contribuente  e,  in  accoglimento  dell’appello  incidentale proposto dall’RAGIONE_SOCIALE, aveva confermato integralmente l’avviso di accertamento.
La Corte di Cassazione, adita dalla contribuente, con sentenza n. 19658 del 5 aprile 2018, aveva accolto il primo motivo (inammissibile il secondo e infondato il terzo) ed aveva cassato la sentenza in relazione al motivo accolto, affermando che l’assunto della Commissione tributaria regionale era inficiato da gravi errori che non consentivano di verificare se fosse stata fatta corretta applicazione del principio in tema di riparto dell’onere della prova e che, pur essendo incontroverso che l’accertamento in oggetto di natura induttiva poteva essere
legittimamente  basato  su  presunzioni  prive  dei  caratteri  di  gravità, precisione e concordanza, in quanto relativo a  mancata presentazione dei redditi, la sentenza impugnata non aveva dato conto di quali fossero detti elementi presuntivi,  « trincerandosi dietro l’affermazione totalmente errata, secondo cui le risultanze del verbale della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE non erano superabili se non con querela di falso ».
La Commissione tributaria regionale, in sede di rinvio, in parziale accoglimento del ricorso e in parziale riforma della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Messina n. 6877 dell’1 dicembre 2014, ha determinato, annullando in parte l’avviso di accertamento in oggetto per l’anno di imposta 2005, il reddito imponibile di impresa in euro 51.199,00 ai fini Irpef ed Irap, con le conseguenti rideterminazioni da parte dell’RAGIONE_SOCIALE anche ai fini dell’IVA dovuta e RAGIONE_SOCIALE sanzioni amministrative.
I giudici di secondo grado, in particolare, dopo avere precisato che, in caso di omessa  dichiarazione, l’Amministrazione finanziaria  poteva accertare i ricavi anche con presunzioni cd. supersemplici, pur prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, con inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, hanno affermato che:
-) i verificatori avevano provveduto a quantificare i corrispettivi realizzati e a determinare i ricavi sulla base della documentazione acquisita relativa alle macellazioni di animali, alle fatture di acquisto di carni macellate e altri prodotti (alimentari e non) e dei prezzi di vendita come rilevati;
-)  erano  stati  effettuati,  inoltre,  riscontri  sulla  deducibilità  dei  costi  ed utilizzati tutti gli elementi desunti dalle scritture contabili e i dati indicati dallo stesso contribuente nella comunicazione annuale dati IVA (dati in possesso dell’Anagrafe t ributaria;
-)  la  ricorrente  non  aveva  contestato  i  dati  utilizzati,  che  erano  stati, quindi, correttamente utilizzati dall’RAGIONE_SOCIALE (come nel caso RAGIONE_SOCIALE fatture per determinare il quantum su cui basare le predette presunzioni);
-) la stessa si era limitata a contestare il risultato relativo al calcolo della resa  del  taglio  in  macelleria  (per  carcasse  di  carne  ottenute  dalla macellazione di animali appartenenti alla specie bovina producendo perizia di parte);
-) era corretta la formulazione dei quantitativi ottenuti dalla macellazione della carne bovina come accertati dalla perizia di parte prodotta e la stessa ben poteva essere utilizzata, in quanto teneva conto del particolare tipo di prodotti e RAGIONE_SOCIALE qualità del mercato, e non risultavano prodotte le tabelle dell’ufficio  IVA  di  Messina  sulle  percentuali  di  resa,  cui  aveva  fatto riferimento la RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE nel verbale di contestazione;
-) doveva ritenersi, di conseguenza, pari ad euro 75.697,00 (e non ad euro 94.695,08), il totale dei corrispettivi proveniente dalla carne bovina come risultante, a pag. 15, da detta perizia di parte;
-) a tale calcolo bisognava aggiungere, essendo la perizia di parte relativa solo alla carne bovina, il totale dei corrispettivi per la vendita di carne ovina, suina e pollo, pari ad euro 44.429,21, come risultanti dall’accertamento a seguito dell’attività dei verificatori, sul punto non smentita, per un ammontare complessivo dei corrispettivi derivanti dalla vendita di carni pari ad euro 120.126,00, cui corrispondeva un imponibile pari a complessivi euro 108.114,00 ed un Iva ad aliquota del 10% pari ad euro 12.012,00;
-) tenuto conto anche dei ricavi RAGIONE_SOCIALE vendite di altri prodotti contabilizzati pari ad euro 2.766,00 e RAGIONE_SOCIALE rimanenze finali (come da rimanenze iniziali contabilizzate al 31 dicembre 2005) pari ad euro 28.400,00, come risultanti dall’attività dei verificatori, il totale dei componenti positivi di reddito non dichiarati ed accertati era pari ad euro 139.280,00 (e non euro 157.643,00) con un reddito di impresa imponibile di euro 51.199,00 e non di euro 69.562,00 (euro 139.280,00 – euro 88.081,00 componenti negativi deducibili incontestati).
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 41 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.. Il Giudice di rinvio aveva proceduto a rideterminare il reddito imponibile recependo, giustamente, quanto accertato dalla consulenza di parte, ma ciò solo per quanto riguarda i quantitativi di carne relativi ai bovini e non anche ai quantitativi di carne relativi agli ovini e ai suini (dando valenza, erroneamente, all’accertamento fondato sugli studi effettuati dall’ufficio Iva di Messina), che pure risultavano accertati, nella consulenza effettuata dal laboratorio di analisi RAGIONE_SOCIALE, e indicati nel prospetto di pag. 14. Infatti, per l’anno 2005 venivano indicate le seguenti quantità: Suini Kg 3.932 – 20% Kg 3.145,6; Ovini Kg 480,6 – 10% Kg 432,54. Pertanto, il Giudice avrebbe dovuto disporre l’accertamento anche secondo i suddetti quantitativi per una corretta applicazione di quanto deciso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 19658/2018, cosa che non aveva fatto incorrendo in un palese errore di fatto censurabile in questa sede.
1.1 Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili.
1.2 E’, in primo luogo, inammissibile perché formulato mediante la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass.,
23 ottobre 2018, n. 26874) e ciò anche a volere accogliere l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza (Cass., 13 dicembre 2019, n. 32952; Cass., 4 ottobre 2019, n. 24901; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26874), alla condizione che lo stesso comunque evidenzi specificamente la trattazione RAGIONE_SOCIALE doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto.
1.3 Il  motivo  è  inammissibile,  in  secondo  luogo,  perché  sotto l’apparente  deduzione  del  vizio  di  violazione  o  falsa  applicazione  di legge, mira, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
1.4 Ed infatti, il ricorrente che intende censurare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto deve indicare e trascrivere nel ricorso, a pena di inammissibilità, anche i riferimenti di carattere fattuale in concreto condizionanti gli ambiti di operatività della violazione denunciata (Cass. 13 maggio 2016, n. 9888; Cass., 24 luglio 2014, n. 16872; Cass., 4 aprile 2006, n. 7846), onere che, nel caso in esame, non è stato assolto.
1.5 Il motivo è pure inammissibile, dovendosi ribadire che con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare
le  prove,  controllarne  attendibilità  e  concludenza  e  scegliere,  tra  le risultanze  probatorie,  quelle  ritenute  idonee  a  dimostrare  i  fatti  in discussione (cfr. anche  Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404).
1.6 Ed  invero, quel che  rileva nella  vicenda  in  esame,  è  un accertamento del giudice di merito, insindacabile in questa sede, stante che la valutazione RAGIONE_SOCIALE prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce  un’attività  riservata  in  via  esclusiva  all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass., 19 luglio 2021, n. 20553).
1.7 Peraltro, come affermato da questa Corte, nell ‘ordinanza pronunciata in sede di rinvio, la n. 19568 del 2018, il terzo motivo, col quale la società ricorrente aveva lamentato che la sentenza impugnata aveva omesso di dar conto alcuno della perizia di parte prodotta nel giudizio, era infondato « atteso che alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. unite 3 giugno 2013, n. 13902), non è censurabile in cassazione l’omesso esame di perizia stragiudiziale di parte, che, avendo natura di mero atto difensivo, è priva di autonomo valore probatorio, essendo sufficiente, sul piano motivazionale, che il giudice di appello enunci considerazioni con essa incompatibili, senza necessità di specifica confutazione (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, ord. 9 febbraio 2018, n. 3207; Cass. sez. 5, 18 gennaio 2017, n. 1121; Cass. sez. 5, 29 luglio 2011, n. 16650; Cass. sez. 5, 11 febbraio 2002, n. 1902), la qual cosa si riscontra nella decisione sottoposta al sindacato della Corte ».
Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 563 ( rectius : 212) del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Nel caso in esame era pacifico che l’accertamento a carico della ricorrente traeva spunto da un PVC della RAGIONE_SOCIALE, che richiamava gli studi effettuati, a suo tempo, dall’RAGIONE_SOCIALE Iva di Messina, per la quantificazione RAGIONE_SOCIALE carni macellate fresche, che però non venivano allegati, né indicati né nel PVC della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, né nell’avviso di accertamento impugnato e quindi
non conoscibili dalla ricorrente. Il 9 settembre 2010 aveva avuto luogo il contraddittorio durante il quale la ricorrente aveva presentato tutta la documentazione in suo possesso per dimostrare l’erroneità dell’avviso. L’RAGIONE_SOCIALE nel verbale di contraddittorio, preso atto di quanto prodotto ed eccepito dalla parte, aveva affermato che, comunque, non sussistevano i presupposti per addivenire a quanto richiesto, solo perché si sarebbe dovuto procedere all’integrale revisione del PVC e quindi ripetere le stesse operazioni. L’RAGIONE_SOCIALE, dunque, pur riconoscendo la validità RAGIONE_SOCIALE prove presentate per ritenere errato quanto rilevato dalla RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, non aveva voluto modificare l’accertamento per non procedere all’integrale revisione RAGIONE_SOCIALE stesso. Tale comportamento aveva violato tutti i criteri di giustizia tributaria, violando le norme RAGIONE_SOCIALE Statuto del Contribuente laddove imponeva agli Uffici Finanziari un rapporto con il contribuente corretto, leale e trasparente improntato al principio della collaborazione e della buona fede.
2.1 La censura è inammissibile, perché coperta da giudicato, in quanto ripropone il motivo già formulato dinanzi a questa Corte con il secondo motivo di ricorso per cassazione avente ad oggetto la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 4584/27/15, depositata in data 3 novembre 2015 (cfr. pag. 3 dell’ordinanza n. 19568 del 2018, dove si legge: « Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546/1992 e dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 e 56 del d.P.R. n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per non avere la sentenza impugnata rilevato la nullità dell’atto impositivo per carenza di motivazione dell’avviso di accertamento »), dichiarato inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto nel ricorso per cassazione non era stato riportato il contenuto dell’atto impositivo, così non consentendo alla Corte di essere posta in condizione di esercitare il sindacato richiesto (cfr. pagine 3 e 4 dell’ordinanza già richiamata n. 19568 del 2018), con
conseguente  passaggio  in  giudicato  della  legittimità  dell’avviso  di accertamento sotto lo specifico profilo del difetto di motivazione.
2.2 Ed invero, la sentenza rescindente va equiparata al giudicato, partecipando della qualità dei comandi giuridici, con la conseguenza che la sua interpretazione deve essere assimilata, per l’intrinseca natura e per gli effetti che produce, all’interpretazione RAGIONE_SOCIALE norme giuridiche» (Cass. 30 settembre 2005, n. 19212; Cass., 19 febbraio 2018, n. 3955), con la conseguenza che « il giudice di legittimità accerta l’esistenza e la portata del giudicato interno rappresentato dalla sentenza rescindente, con cognizione piena, che si estende al diretto riesame degli atti del processo ed alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, a cominciare dalla sentenza rescindente, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto » (Cass., 5 marzo 2019, n. 6344).
2.3 Ed ancora, nel giudizio di rinvio, il quale è un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata non solo è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, ma operano anche le preclusioni derivanti dal giudicato implicito (ed esplicito) formatosi con la sentenza rescindente, onde neppure le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte Suprema possono essere dedotte o comunque esaminate, giacché, diversamente, si finirebbe per porre nel nulla o limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità (Cass., 10 agosto 2023, n. 24357).
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso va rigettato.
3.1 Nessuna  statuizione  va  assunta  sulle  spese  processuali,  non avendo l’Amministrazione intimata svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai  sensi  dell’art.  13,  comma  1 quater, del  d.P.R.  n.  115  del  2002, inserito dall’art.  1,  comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , RAGIONE_SOCIALE stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 5 dicembre 2023.