Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20345 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20345 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
Estinzione della lite per definizione agevolataDecreto-Incontestato riferimento a specifici avvisi accertamenti-Rilevanza
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17950/2016 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE nonché RAGIONE_SOCIALE anche quale sopravvenuta incorporante della prima, con l’avv. NOME COGNOME con studio in Roma alla INDIRIZZO
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è domiciliata in Roma alla INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 268/2016, depositata in data 19/01/2016 e non notificata;
udita la relazione tenuta nell’adunanza camerale del 17 giugno 2025 dal consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La controversia in esame trae origine nella notificazione di un avviso di accertamento (finale 472), attinente a riprese Ires per l’anno di imposta 2005, effettuata sia nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.p.a., società consolidata, che della RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE società consolidante (cosiddetto avviso di accertamento di primo livello), nonché in un avviso di accertamento (finale 473) notificato esclusivamente alla RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE e relativo all’Irap per il medesimo anno di imposta 2005.
La CTR della Lombardia, riuniti gli appelli proposti dalle società contro le tre sentenze emesse all’esito dei giudizi di primo grado, li rigettava.
In particolare, dopo aver esposto i principi del consolidato, in tema di Ires, e descritto i vari avvisi di accertamento impugnati, i giudici del gravame rigettavano l’eccezione di giudicato esterno, formulata con riferimento agli esiti del giudizio contro l’avviso di accertamento di secondo livello conclusosi favorevolmente alla RAGIONE_SOCIALE s.p.a., evidenziando che il giudizio non era definitivo; in relazione ai costi evidenziavano di non condividere il personalizzato principio di rilevazione dei costi di competenza elaborato dalla società, non potendo darsi rilevanza neanche alla revisione e alle certificazioni legali; quanto al compenso del signor COGNOME evidenziavano che la certezza della spesa era già acquisita nell’annualità 2004 per cui esso non poteva essere imputato all’annualità 2005; quanto alla ripresa relativa ai cosiddetti certificati verdi evidenziavano che la determinazione effettuata dall’Agenzia era legittima perché la stessa società aveva dichiarato di gestirli con la contabilità del magazzino per cui l’ammontare delle rimanenze finali si sarebbe dovuta determinare
sulla base della somma algebrica tra acquisti, ricavi e rimanenze finali e iniziali.
Contro tale sentenza le società hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi, a cui ha resistito l’Agenzia delle entrate con controricorso.
In corso di giudizio, a seguito del deposito di documentazione da parte delle società e di nota dell ‘A vvocatura dello Stato, il Presidente della Sezione tributaria ha dichiarato estinto il processo con decreto n. 35240 del 30/11/2022.
Costituitosi nuovo difensore per le società ricorrenti e richiesta la trattazione in relazione all’avviso di accertamento finale n. 473 relativo all’Irap, la causa è stata fissata per l ‘ adunanza camerale del 17 giugno 2025, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza impugnata per evidente contrasto con gli accertamenti e le statuizioni delle precedenti pronunce della Commissione tributaria regionale concernenti la medesima vicenda per cui è causa.
Evidenziato, infatti, che la medesima CTR aveva annullato l’avviso di accertamento di secondo livello emesso nei confronti della consolidante RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE nonché l’atto relativo alle sanzioni per le medesime riprese fiscali, censurano la statuizione dei giudici di appello laddove hanno evidenziato l’irrilevanza di tali sentenze in quanto non passate in cosa giudicata, con ciò non tenendo conto del fatto che la medesima CTR aveva già trattato delle stesse questioni in relazione all’avviso di accertamento di secondo livello, che è l’unico avviso normativamente deputato alla quantificazione della pretesa nei confronti della consolidante.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., viene dedotta la nullità della sentenza in relazione all’aperto malgoverno della normativa sulla sospensione necessaria del processo.
Con il terzo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., prospettano la nullità della sentenza per aver omesso l’esame di una pluralità di fatti tutti rilevanti per il giudizio, anche in violazione, in alcuni passaggi, del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., il che rileva ai fini dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c.
Pongono in risalto che la valutazione circa la competenza dei costi avrebbe dovuto essere effettuata tenendo conto del particolare modus operandi di RAGIONE_SOCIALE che, non essendo la proprietaria degli impianti produttivi, opera sulla base di un contratto denominato di tolling, in forza del quale, dopo aver conferito il materiale combustibile di sua proprietà alla RAGIONE_SOCIALEp.RAGIONE_SOCIALE (società tollee ) e dopo aver corrisposto la relativa fee , diviene proprietaria dell’energia prodotta, analogamente ad altre società operanti nel settore.
Rileva che, per quanto attiene al rilievo sugli interessi passivi, la motivazione è del tutto assente mentre per quanto attiene agli altri 10 recuperi la motivazione è sostanzialmente inesistente perché tale non può essere considerata la generica affermazione secondo cui il principio di rilevazione dei costi di competenza della RAGIONE_SOCIALE è personalizzato né l’affermazione secondo la quale la revisione e la certificazione dei bilanci non «costituiscono l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo», in riferimento alle risultanze della relazione del revisore; neppure può ritenersi che la motivazione sussista sul presupposto che due specifici rilievi siano stati esaminati, in particolare il compenso del signor COGNOME e quello relativo alla gestione dei certificati verdi: per quanto riguarda il primo la motivazione è oscura e
comunque contraddittoria; con riferimento al secondo la motivazione è del tutto incomprensibile.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., le ricorrenti invocano la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 1, t.u.i.r. e per il connesso malgoverno delle regole con le quali il fondamentale principio della competenza economica deve essere concretamente declinato.
Occorre premettere che RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE hanno depositato domande di definizione agevolata ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 119 del 2018 convertito nella legge n. 136 del 2018, in relazione all’avviso di accertamento n. TMB0085B00472/2010, e copia della loro presentazione presso l’Agenzia delle entrate, chiedendo pronunciarsi in parte qua l’estinzione del giudizio.
Con istanza in data 06/06/2022 l’Agenzia delle entrate ha chiesto dichiararsi l’estinzione del giudizio, allegando nota della Direzione regionale della Lombardia attestante la regolarità delle domande di definizione.
Il Presidente della Sezione, con decreto n. 35240/2022 depositato il 30/11/2022, ha dichiarato estinto il processo.
Le società, nel depositare memoria di costituzione di nuovo difensore, hanno chiesto fissarsi udienza di trattazione della causa, da ritenersi non definita in relazione all’avviso di accertamento Irap (finale 473), come del resto segnalato nella stessa nota di produzione delle domande di definizione agevolata, ed evidenziando che il decreto sia da intendersi come pronuncia di estinzione parziale.
L’Agenzia delle entrate, in memoria, pur dando atto che la controversia con la società riguardava due avvisi di accertamento di cui solo il primo (finale 472 , relativo all’Ires ) è stato oggetto di definizione agevolata, ha evidenziato che il decreto reso dalla Corte si riferisce
all’intero giudizio e ciò preclude un ulteriore esame dei motivi relativi all’altro avviso di accertamento.
2.1. Sul punto questa Corte ha espresso il principio per cui in caso di declaratoria di estinzione di un giudizio di legittimità oggettivamente complesso, disposta con decreto ex art. 391 c.p.c. per condono fiscale, va indagata l’effettiva portata del provvedimento, alla luce del dispositivo e della motivazione: qualora esso richiami espressamente una pratica di condono riferita ad una frazione soltanto del thema disputatum , deve ritenersi che, per la natura scindibile della controversia, l’estinzione sia limitata solo a detta frazione e non produca effetti estintivi dell’ulteriore (o delle ulteriori) questione (o questioni) estranea (o estranee) alla sanatoria; in tal caso, l’istanza di trattazione nel termine ex art. 391, terzo comma, c.p.c. non risulta necessaria, poiché, per la limitazione oggettiva dell’estinzione, il giudizio di legittimità va comunque ripreso, d’ufficio o su richiesta degli interessati, per il prosieguo e la definizione della frazione non sanata (v. Cass. n. 4829/2025, estendendo al caso di giudizio oggettivamente complesso il principio espresso già da Cass. n. 29794/2023 per il caso di giudizio soggettivamente complesso).
Tale orientamento si fonda sulla considerazione che il contenuto decisorio di un provvedimento giurisdizionale è rappresentato non solo dal dispositivo, ma anche dalle affermazioni e dagli accertamenti contenuti nella motivazione, nei limiti in cui essi costituiscano una parte della decisione, in quanto integrano una necessaria premessa od un presupposto logico indefettibile della pronuncia (così, fra le altre, Cass. n. 26802/2022; Cass. n. 14547/2019; Cass. n. 19252/2018; Cass. n. 23751/2015; Cass. n. 14499/2014).
Nel caso in esame il decreto di estinzione, dopo aver individuato l’oggetto della sentenza impugnata nei due avvisi di accertamento nn. finali 473 e 472, si riferisce alla «richiesta di estinzione del giudizio per
cessazione della materia del contendere con la quale l’Agenzia delle entrate dà atto che la parte contribuente ha presentato domanda di definizione agevolata della controversia, corredata della documentazione prescritta ai sensi deli commi 8, 9 e 10 dell’a rt. 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, convertito con modificazioni alla legge 17 dicembre 2018, n. 136 e ha provveduto al versamento di quanto dovuto ai fini della suddetta definizione».
Ebbene, la circostanza che la domanda di definizione agevolata sia stata proposta solo in riferimento all’avviso n. finale 472 risulta oggi pacifica tra le parti, avendolo evidenziato non solo le società ricorrenti ma anche la stessa difesa erariale in memoria, ove, pur contestando l’altrui istanza, conferma il dato che solo detto avviso di accertamento è stato oggetto di definizione agevolata.
Da ciò consegue che l’estinzione si riferisc e solo al predetto avviso, relativo all’Ires , e che il ricorso debba, perciò, essere esaminato in relazione all’altro avviso di accertamento , il n. TMB035B00473/2010, relativo all’Irap .
Il primo motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile per una duplice ragione.
3.1. In primo luogo, la doglianza è relativa alla statuizione con cui la CTR ha escluso l’efficacia di giudicato della sentenza resa sull’avviso di secondo livello (finale n. 332) ma l’interesse alla medesima deve ormai ritenersi insussistente alla luce della pacifica intervenuta definizione agevolata della lite relativa al medesimo (con decreto n. 26027 del 27/09/2021).
Né può accedersi alla tesi della natura di giudicato di tale decreto, avanzata in memoria.
Come già evidenziato da questa Corte (Cass., Sez. U., n. 1518/2016, richiamando diversi arresti della Corte costituzionale), l’effetto normale del condono (cd. impuro) è infatti quello di elidere la
res litigiosa mediante un pagamento in misura predefinita e di elidere le conseguenze sanzionatorie amministrative e penali.
Il condono fiscale, secondo Corte Cost. n. 172 del 1986, ha natura meramente procedurale e più esattamente, alla stregua di Corte Cost. n. 321 del 1995, costituisce una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata, nella prospettiva di recuperare risorse finanziarie e ridurre il contenzioso, e che esula dalla funzione dell’accertamento dell’imponibile. L’istituto -ad avviso di Corte Cost. n. 109 del 2009 – è essenzialmente diretto a soddisfare l’interesse costituzionale all’acquisizione delle disponibilità finanziarie necessarie a sostenere le pubbliche spese, incentivando la definizione semplificata e spedita delle pendenze mediante il parziale pagamento del debito tributario.
Alla luce di tale impostazione è stato, quindi, evidenziato che la conseguenza processuale del condono è la cessazione della materia del contendere. Nel giudizio di legittimità l’effetto definitorio è normalmente ricondotto alla previsione dell’art. 391 c.p.c. e all’estinzione del processo disposta per legge (Cass., Sez. U., n. 19980/2014; Cass. n. 24083/2018, anche per il caso in cui il legislatore non abbia testualmente previsto l’estinzione quale formula di definizione).
Di conseguenza si è affermato che nel processo tributario, l’estinzione del giudizio di legittimità per cessata materia del contendere comporta conseguenze di ordine sostanziale sul contenuto delle domande, determinando, in virtù della cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, la caducazione di tutte le pronunce emanate nei precedenti gradi di giudizio e non passate in giudicato, in quanto non più attuali in ragione del venire meno del contrasto tra le parti (Cass. n. 14258/2016). Viene, cioè, meno la regolazione della
fattispecie operata dalle precedenti decisioni ma non opera alcuna estensione ad altri anni di imposta o a rilievi contenuti in avvisi di accertamento connessi.
3.2. Comunque, il motivo è anche evidentemente inammissibile in quanto la mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4, c.p.c. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero… essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum . Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (Cass., Sez. U. n. 8053/2014; successivamente tra le tante Cass. n. 22598/2018; Cass. n. 6626/2022).
In particolare si è in presenza di una motivazione apparente allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo
sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture.
Nel caso di specie in realtà la stessa censura, relativa alla statuizione con cui la CTR ha escluso l’efficacia di giudicato della sentenza resa sull’avviso di secondo livello, esula evidentemente da tale paradigma poiché le società, evidenziando che la CTR avrebbe omesso di tener conto dell’esecutività della sentenza, formulano una questione in diritto, senza però indicare alcuna specifica disposizione di legge violata.
Il secondo motivo, relativo alla mancata sospensione del processo che sarebbe stata obbligatoria, è anch’esso inammissibile, per carenza di interesse, in ragione della definizione agevolata dei giudizi assunti come pregiudiziali, e comunque infondato.
Questa Corte, in plurime occasioni, ha già affermato che tale disposizione è applicabile solo nel caso di giudizi pendenti in primo grado e non ove sia stata già emessa una sentenza.
Diversamente, come accade nel caso di specie, ove la stessa risulti già definita in secondo grado, non vi è spazio per la sospensione necessaria del giudizio pregiudicato, ma semmai per l’applicazione della sospensione facoltativa prevista dall’art. 337, s econdo comma, c.p.c., che appunto regola l’ipotesi in cui il suddetto rapporto riguardi una causa ormai pendente in sede d’impugnazione.
Ed infatti Qualora tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, la sospensione ex art. 295 c.p.c. della causa dipendente permane fintanto che la causa pregiudicante penda in primo grado, mentre, una volta che questa sia definita con sentenza non passata in giudicato, spetta al giudice della causa dipendente scegliere se conformarsi alla predetta decisione, sciogliendo il vincolo necessario della sospensione, ove una parte del giudizio pregiudicato si attivi per
riassumerlo, ovvero attendere la sua stabilizzazione con il passaggio in giudicato, mantenendo lo stato di sospensione (ovvero di quiescenza) attraverso però il ricorso all’esercizio del potere facoltativo di sospensione previsto dall’art. 337, comma 2, c.p.c., ovvero decidere in senso difforme quando, sulla base di una ragionevole valutazione prognostica, ritenga che tale sentenza possa essere riformata o cassata (Cass. n. 9470/2022; Cass. n. 17323/2024; Cass. n. 8885/2023).
Tale affermazione deriva dal principio per cui il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originario della lite, giustificando sia l’esecuzione provvisoria, sia l’autorità della sentenza di primo grado (così Cass., Sez. U., n. 10027/2012 confermata da Cass., Sez. U., n. 21763/2021, la quale ha, altresì, precisato che nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati opera il disposto dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.; in tali sensi anche Cass. n. 80/2019).
Trovando poi applicazione, come detto, il disposto di cui all’art. 337 c.p.c., si configura un’ipotesi di sospensione facoltativa, che poggia non sull’autorità di giudicato ma sulla mera autorità della pronuncia, la quale, ancor prima e indipendentemente dal suo passaggio in giudicato, esplica una funzione di accertamento al di fuori del processo. Si deve in proposito chiarire che il mancato esercizio del potere discrezionale in questione non può essere in alcun modo equiparato alla violazione dell’obbligo di sospensione, invocato nel motivo in esame, di talché il motivo che deduce la violazione di quest’ultimo non può essere interpretato come ricomprendente anche la mancata sospensione facoltativa, che – come detto – ha ad oggetto una valutazione ben differente, basata sulla considerazione prognostica positiva negativa circa la fondatezza dell’impugnazione della pronuncia
della cui autorità si tratta, come ricordato dalla giurisprudenza riportata (in tal senso di recente Cass. n. 7952/2024; Cass. n. 30919/2024).
Il terzo motivo incorre in plurime ragioni di inammissibilità.
5.1. In primo luogo, la deduzione del vizio ex n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., è impedita dalla circostanza di essere in presenza di una cd. doppia conforme di merito (art. 348ter , ultimo comma, c.p.c., applicabile ratione temporis ) e dalla mancata indicazione da parte del ricorrente di elementi di diversità delle ragioni di rigetto del ricorso in primo grado e in appello (Cass. n. 26934/2023; Cass. n. 26860/2014; Cass. n. 26774/2016; Cass. n. 20994/2019; Cass. n. 5947/2023).
Inoltre, la deduzione del vizio motivazionale di cui al n. 5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. deve avere ad oggetto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, inteso nel senso di circostanza fattuale o un preciso accadimento in senso storico naturalistico (Cass. n. 22397/2019; Cass. n. 24035/2018; Cass. n. 17761/2016; Cass., Sez. U., n. 5745/2015; Cass. n. 21152/2014; Cass. n. 7983/2014; Cass. n. 5133/2014), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia e postula la sua concreta e specifica indicazione, anche in relazione alla sede processuale ove sia stata dedotta.
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività», fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di
omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U., n. 8053/2014).
Nel motivo manca invece ogni indicazione di quale sarebbe il fatto storico omesso, tranne per quanto riguarda quello che viene indicato come modus operandi delle società, privo però di alcuna indicazione della specifica rilevanza che avrebbe avuto nell’esame dei vari rilievi, anche in considerazione della totale omissione di descrizione dei medesimi.
Peraltro, la CTR ha espressamente evidenziato che il sistema di contabilizzazione dei costi era da considerare contrario al principio di competenza e, quindi, non può ritenersi che si tratti di un fatto storico del tutto omesso.
5.2. L ‘ assoluta aspecificità del ricorso nella descrizione di quali fossero le riprese erariali e quali le contestazioni delle parti, non supplita dalla considerazione di carattere generale che esse attenessero al profilo di competenza dei costi, non consente neanche di dare rilievo alla eventuale riformulazione del motivo in termini di nullità per motivazione inesistente o apparente, doglianza adombrata nel corpo del motivo, secondo i canoni della già citata Cass. Sez. U. n. 8053/2014.
Nello svolgimento del motivo è, infatti, citata unicamente la ripresa di «interessi passivi», senza precisare però la rilevanza in relazione all’unico accertamento rimasto oggetto di causa (attinente all’Irap).
Con lo stesso motivo si deduce, poi, che la CTR abbia esplicitamente esaminato la ripresa del compenso del sig. COGNOME e quella relativa alla gestione dei certificati verdi, per cui sul punto deve evidentemente escludersi che ricorra una motivazione apparente.
Infine, quanto all’art. 112 c.p.c., richiamato invero solo nella rubrica del motivo, occorre appena evidenziare che in tema di ricorso per cassazione, è contraddittoria la denuncia, in un unico motivo, dei due distinti vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia. Il primo, infatti, implica la completa omissione del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce in una violazione dell’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360, n. 4, c.p.c. e non con la denuncia della violazione di norme di diritto sostanziale, ovvero del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5, c.p.c., mentre il secondo presuppone l’esame della questione oggetto di doglianza da parte del giudice di merito, seppure se ne lamenti la soluzione in modo giuridicamente non corretto ovvero senza adeguata giustificazione, e va denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. n. 6150/2021).
L’ultim o motivo attiene alla violazione dell’art. 109 t.u.i.r. e la parte espone tre censure.
Occorre premettere che le considerazioni svolte in memoria, attinenti alla corretta individuazione della base imponibile Irap appaiono del tutto nuove rispetto al motivo di ricorso e, quindi, inammissibili avendo la memoria solo la funzione di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi già debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrare quelli originariamente generici e, quindi, inammissibili (Cass. n. 7237/2006; Cass. n. 3780/2015; Cass. n. 5355/2018).
6.1. Con la prima censura si deduce che laddove si è ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe rispettato il principio della competenza ospitando nel bilancio d ell’esercizio 2005 alcuni componenti negativi riferibili per lo più al 2004, la data delle fatture non sarebbe rilevante ai fini della corretta imputazione all’anno di competenza e non si
sarebbe dato rilievo alla circostanza che i componenti possono essere iscritti anche in base alla loro determinabilità.
Tale censura è inammissibile per la sua assoluta astrattezza in quanto è formulata in maniera generica senza alcun concreto riferimento a rilievi formulati dall’Agenzia e alle statuizioni della CTR.
6.2. La seconda censura è riferita alle prestazioni del sig. COGNOME deducendosi che la competenza delle prestazioni da questi svolte non poteva essere argomentata dalla data delle fatture ma dalla data di ultimazione giuridica della prestazione di servizi, che presuppone l’accettazione dell’in carico; inoltre, tre delle quattro fatture portano una data successiva a quella di approvazione del bilancio 2004.
Anche tale censura è inammissibile, in primo luogo perché non si confronta propriamente con la ratio decidendi della sentenza impugnata, in quanto quest’ultima afferma che la tesi della contribuente, secondo cui solo nel 2005 si erano resi riconoscibili gli elementi, era smentita dalla presenza a fine esercizio di elementi (citati espressamente: i prot. NUMERO_DOCUMENTO e NUMERO_DOCUMENTO)) che rendevano noti le spese e i servizi; inoltre, ancora una volta l’omessa descrizione compiuta di quale fosse il rilievo rende di difficile comprensione la censura, che, in effetti, attiene, piuttosto, considerazioni di merito della CTR.
6.3. La terza censura investe l’ annualità di imputazione dei costi per i cd. certificati verdi; si rappresenta che «la vendita dei certificati verdi deve essere rilevata in bilancio non appena essi sono inter partes trasferiti e non si comprende perché occorra attendere che i trasferimenti siano iscritti nel registro del GSE»; inoltre, essi devono essere abbinati alle vendite di energia, come sarebbe stato spiegato nel ricorso introduttivo.
La censura è inammissibile per la totale assenza di descrizione dei motivi della ripresa dei costi ed anche dei motivi di ricorso originari sul
punto (v’è solo un generico richiamo alla pag. 25 del ricorso introduttiv o ove sarebbe stato descritto l’impianto normativo dei cd. certificati verdi, richiamo che però appare evidentemente inidoneo a confrontarsi con le affermazioni della CTR). L’affermazione che il principio di competenza è violato «poiché le vendite di certificati verdi devono essere rilevate non appena i beni sono inter partes trasferiti» è del tutto astratta in mancanza di descrizione di quale fosse, in relazione alla data del trasferimento, la tesi dell’ufficio e quale quella del contribuente e parimenti astratto è l’assunto che sarebbe «irrilevante» la data di iscrizione nel registro del GSE.
Tutti i motivi risultano, in definitiva, inammissibili.
Occorre, infine, evidenziare che nella memoria la società RAGIONE_SOCIALE evidenzia che in merito alle sanzioni occorre dare applicazione al decreto legislativo n. 158 del 2015 con le relative modifiche in termini di minimo edittale, per cui -per l’eventualità di mancato accoglimento dei motivi di ricorso – invoca il principio del favor rei .
Nel caso di specie la censura è, però, inammissibile poiché del tutto nuova, in quanto le norme invocate erano già in vigore alla data di introduzione del giudizio di cassazione (ricorso notificato in data 15 luglio 2016) e finanche alla decisione della causa (udienza di discussione del 13 gennaio 2016) e le società non hanno proposto un tempestivo motivo di ricorso né hanno formulato alcun motivo di ricorso in relazione alle sanzioni.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile in relazione all’avviso di accertamento n. TMB035B00473/2010.
Le spese relative alla parte della controversia dichiarata estinta (del cui provvedimento e dei cui effetti è stato preso atto in questa sede) restano a carico delle parti che le hanno anticipate, ex lege ; mentre la peculiarità della vicenda processuale esaminata e delle questioni esaminate giustifica la compensazione delle residue spese di lite.
Alla inammissibilità della residua parte del ricorso segue il relativo raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso in relazione all’avviso di accertamento n. TMB035B00473/2010; compensa le spese di lite.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 , della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17 giugno 2025.