Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5460 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5460 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6889/2024 R.G., proposto
DA
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME con studio in Messina, ove elettivamente domiciliato (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche: avvEMAIL), giusta procura in allegato al ricorso introduttivo del presente procedimento;
RICORRENTE
CONTRO
Agenzia delle Entrate, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con sede in Roma, ove per legge domiciliata (indirizzo pec per comunicazioni e notifiche: EMAIL );
CONTRORICORRENTE
E
Agenzia delle Entrate – Riscossione, con sede in Roma, in persona del Direttore pro tempore ;
INTIMATA
CARTELLA DI PAGAMENTO TASSA AUTOMOBILISTICA REGIONALE
avverso la sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia il 26 settembre 2023, n. 7802/19/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29 gennaio 2025 dal Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia il 26 settembre 2023, n. 7802/19/2023, che, in controversia su impugnazione di cartella di pagamento per la tassa automobilistica regionale relativa all’anno 2012, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del medesimo e dell’Agenzia delle Entrate Riscossione avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Messina il 21 ottobre 2014, n. 5776/12/2014, con compensazione delle spese giudiziali.
Il giudice di appello ha riformato la decisione di prime cure -che aveva accolto il ricorso originario del contribuente per prescrizione del credito tributario – sul presupposto che il contribuente aveva presentato istanza di mediazione ex art. 17bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e l’ agente della riscossione aveva accolto l’istanza di reclamo/mediazione con l’annullamento in autotutela della cartella di pagamento, per cui la materia del contendere era cessata.
L ‘Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso, mentre l’Agenzia delle Entrate Riscossione è rimasta intimata.
Il consigliere addetto allo spoglio ha formulato proposta di definizione accelerata per manifesta inammissibilità del ricorso,
rispetto a cui il ricorrente ha chiesto la decisione della controversia.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
CONSIDERATO CHE:
Il ricorso è affidato ad un unico motivo, col quale si denuncia violazione o falsa applicazione dell’ art. 17bis del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per non essere stato rilevato dal giudice di appello che il provvedimento conclusivo della mediazione non gli era stato notificato entro novanta giorni, inducendo il ricorrente all’iscrizione a ruolo della causa.
Il predetto motivo è inammissibile.
2.1 A tale proposito, il collegio ritiene di condividere le argomentazioni poste a fondamento della proposta di definizione accelerata, non essendo convincenti le obiezioni esposte dal ricorrente nella memoria illustrativa.
2.2 Invero, il ricorso è carente di autosufficienza giacché « il motivo dà per scontata l’incompletezza della procedura di comunicazione a mezzo Pec dell’esito della mediazione, senza tuttavia ricostruire e rendere immediatamente intellegibili le modalità di concreta sua attuazione, né specificamente indicare in quale sede processuale esse siano direttamente attingibili ». Per cui, in difetto di tale illustrazione, il sindacato della denunciata irregolarità è inevitabilmente precluso al giudice di legittimità.
Inoltre, la sentenza impugnata ha affrontato questo specifico aspetto ed ha osservato, all’esatto contrario, che tale comunicazione era stata invece regolarmente recapitata « all’indirizzo di posta elettronica indicato (…) prot. 16577 del 19.11.2012 », in modo tale che la norma di cui si lamenta la violazione, all’esito dell’accertamento così compiuto, risulta ,
invece, correttamente applicata, dovendo il ricorrente – se mai – lamentare la violazione o falsa applicazione di norme diverse, segnatamente quelle concernenti la disciplina notificatoria in generale ed a mezzo pec. Per cui, il mezzo è strumentale « all’ottenimento, certamente precluso in questa sede di legittimità, di una nuova e diversa delibazione probatoria (rispetto a quella argomentatamente e precisamente svolta dal giudice di appello) in punto concrete modalità ed esito della comunicazione Pec in questione ».
2.3 In sede di memoria illustrativa, a fronte della puntuale motivazione della proposta di definizione accelerata, il ricorrente ha eccepito:
quanto al difetto di autosufficienza del motivo, che « sia i fatti che i documenti, nelle loro linee essenziali, sono sufficientemente esposti ed indicati così come desumibili dalla esposizione resa in ricorso nella parte riguardante il fatto, così come integrata dalla parte motiva »;
quanto alla pretesa di una diversa delibazione probatoria, che « con tale motivo si è voluto evidenziare l’errore commesso dal giudice di merito sulla ricognizione del contenuto oggettivo del documento dallo stesso indicato come prova dell’avvenuta notifica, con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare da tale atto i contenuti informativi che lo stesso giudice di merito ha ritenuto di poter trarre e, quindi, la decisività del medesimo errore, in quanto la motivazione sarebbe stata certamente diversa se al materiale probatorio (lettera del 19.11.2012) fosse stato dato il corretto valore e che è oggettivamente difforme da quello erroneamente dato dal giudice di merito »;
quanto alla mancata notifica, da parte dell’ agente della riscossione, del provvedimento di sgravio della cartella di
pagamento in esito al procedimento di mediazione, che « quanto dichiarato dal Giudice di secondo grado non risulta veritiero e non è rispondente a quella che è la realtà documentale e sostanziale, poiché agli atti non vi è alcuna pec inviata al ricorrente da parte dell’Agenzia delle Entrate e con l’unico motivo di impugnazione si è voluto proprio riferire dell’errore di percezione in cui è incorso il Giudice di II° grado » e che « il Giudice ha posto a base della propria decisione un documento che agli atti del processo non esiste ovvero la pec, poiché, se il documento a cui fa riferimento il Giudice di II grado è la lettera del 19.11.2012, questa non è altro che un mero scritto e non vi è alcun invio dello stesso tramite pec o raccomandata ».
2.4 Tuttavia, si può sinteticamente osservare:
quanto al rilievo sub a), che le difese del ricorrente non valgono a superare la lacunosa descrizione delle vicende processuali che hanno condotto all’esito della mediazione;
quanto al rilievo sub b), che le difese del ricorrente finiscono col prospettare ex novo un travisamento del contenuto oggettivo della prova, che, ricorrendo in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4), cod. proc. civ., mentre, se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4) o n. 5), cod. proc. civ., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale (Cass.,
Sez. Un., 5 marzo 2024, n. 5792); per cui, in relazione al fatto sostanziale, il travisamento della prova postula: a) che l’errore del giudice di merito cada non sulla valutazione della prova ( demonstrandum ), ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima ( demonstratum ), con conseguente, assoluta impossibilità logica di ricavare, dagli elementi acquisiti al giudizio, i contenuti informativi che da essi il giudice di merito ha ritenuto di poter trarre; b) che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio; c) che l’errore sia decisivo, in quanto la motivazione sarebbe stata necessariamente diversa se fosse stata correttamente fondata sui contenuti informativi che risultano oggettivamente dal materiale probatorio e che sono inequivocabilmente difformi da quelli erroneamente desunti dal giudice di merito; d) che il giudizio sulla diversità della decisione sia espresso non già in termini di possibilità, ma di assoluta certezza (Cass., Sez. 3^, 21 dicembre 2022, n 37382; Cass., Sez. 1^, 6 aprile 2023, n. 9507);
-quanto al rilievo sub c), che le difese del ricorrente confermano la contestazione d ell’accertamento in fatto del giudice di appello, il cui scrutinio è precluso al giudice di legittimità.
Alla stregua delle suesposte argomentazioni, dunque, non resta che dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
Con riguardo alla regolamentazione delle spese giudiziali:
nei rapporti tra ricorrente e controricorrente, esse seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo;
nei rapporti tra ricorrente ed intimata, nulla deve essere disposto per la mancata costituzione in giudizio della parte vittoriosa.
5 . Ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (quale introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69), in virtù del richiamo fattone dall’art. 380 -bis , terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo novellato dall’art. 3, comma 28, n. 3), lett. g), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la manifesta inammissibilità del ricorso giustifica l’ulteriore condanna d’ufficio del la parte soccombente al pagamento in favore della parte vittoriosa di una somma equitativamente determinata nell’importo corrispondente alla liquidazione delle spese giudiziali. Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità processuale aggravata, l’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ., nel disporre che il soccombente può essere condannato a pagare alla controparte una « somma equitativamente determinata », non fissa alcun limite quantitativo per la condanna alle spese della parte soccombente, sicché il giudice, nel rispetto del criterio equitativo e del principio di ragionevolezza, può quantificare detta somma sulla base dell’importo delle spese processuali (di una loro frazione o di un loro multiplo) o anche del valore della controversia (tra le tante: Cass., Sez. 3^, 4 luglio 2019, n. 17902; Cass., Sez. 3^, 20 novembre 2020, n. 26435; Cass., Sez. 5^, 5 novembre 2021, n. 31870; Cass., Sez. 3^, 26 gennaio 2022, n. 2347; Cass., Sez. 6^-3, 15 febbraio 2023, n. 4725; Cass., Sez. Trib., 12 aprile 2023, n. 9802; Cass., Sez. Trib., 15 giugno 2023, n. 17100; Cass., Sez. Trib., 19 giugno 2024, n. 16934).
6. In applicazione del combinato disposto degli artt. 380bis , terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ., si deve, altresì, condannare il r icorrente a pagare una sanzione di € 1.500,00 a favore della Cassa delle Ammende. Peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di
procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380bis , terzo comma, cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. – codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. Un., 27 settembre 2023, n. 27433; Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540), per quanto sia stato precisato che la predetta norma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, la quale resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2023, n. 36069), avendosi particolare riguardo, nella specie, alla omogeneità delle ragioni decisorie rispetto alla formulazione della proposta; che, inoltre, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende – nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380bis cod. proc. civ.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta – deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa
una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195 -nello stesso senso: Cass., Sez. 3^, 4 ottobre 2023, n. 27947). 7 . Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, liquidandole nella misura di € 500,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito; condanna il ricorrente al pagamento della ulteriore somma di € 500,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ.; condanna il ricorrente al pagamento di una sanzione di € 1. 500,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 29 gennaio