Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9607 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9607 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 7099/2023 proposto da:
Il Consorzio per RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE della Provincia di Napoli, con sede legale in Napoli, alla INDIRIZZO (C.F.: P_IVA; Partita IVA: P_IVA), in persona del legale rappresentante e Presidente p.t., Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso, giusta mandato in calce al ricorso, dall’ Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, anche in qualità di Responsabile Area Legale e con esso domiciliato presso la sede legale del Consorzio in Napoli (NA), alla INDIRIZZO (pec: EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO;
-ricorrente –
contro
Comune di Acerra, in persona del Sindaco p.t. Dott. NOME COGNOME, con sede in Acerra, al INDIRIZZO (C.F.: P_IVA; Partita IVA:
Ingiunzione pagamento Ici – Proposta di definizione accelerata
P_IVA), elettivamente domiciliato in Giugliano in Campania, alla INDIRIZZO (INDIRIZZO meridiano), presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende in virtù di procura alle liti allegata in calce al controricorso, nonché determina dirigenziale di conferimento incarico n. 433 del 04/04/2023 e determina di rettifica n. 536 del 27/04/2023 (posta elettronica certificata: EMAIL; fax: NUMERO_TELEFONO;
– controricorrente –
-avverso la sentenza 6286/2022 emessa dalla CTR Campania il 26/09/2022 e non notificata;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Rilevato che
Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Napoli proponeva appello avverso la sentenza n. 4247/2021, emessa dalla CTP di Napoli che aveva rigettato il suo ricorso avverso l’ingiunzione di pagamento n. 20150020, relativa ad I.C.I. 2007, per un importo complessivo di € 542.383,10 emessa dal Comune di Acerra, chiedendone la riforma.
La CTR della Campania rigettava il gravame, evidenziando che correttamente la CTP aveva rilevato che il Comune di Acerra aveva emesso a carico del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Napoli avviso di accertamento n. 3522607 del 21.12.2012, per complessivi € 532.903,16, che tale atto era stato ritualmente notificato a mezzo Raccomandata A/R con avviso di ricevimento n. 76288523474 in data 02.01.2013 e non era stato mai impugnato dalla controparte e che, dunque, in maniera del tutto legittima a detto avviso di accertamento aveva fatto seguito la rituale notifica della ingiunzione di pagamento n. 20150020 con cui il Comune aveva richiesto il pagamento dell’ICI per l’anno di imposta 2007 pe r complessivi € 542.383,10.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Napoli sulla base di due motivi. Il Comune di Acerra ha resistito con controricorso.
Con proposta di definizione accelerata il consigliere delegato ha ritenuto
manifestamente infondato il ricorso. La ricorrente ha richiesto, ciò nonostante, la decisione dello stesso.
In prossimità dell’adunanza camerale il ricorrente ha depositato memoria illustrativae impugnato dal contribuente, unitamente al provvedimento di estinzione>>.
Considerato che
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 36 d.lgs. n. 546/1992, 111 Cost. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per essere la sentenza gravata, a suo dire, nulla per difetto di forma per carenza assoluta di motivazione.
1.1. Il motivo è inammissibile, come evidenziato dal consigliere delegato nella proposta di definizione accelerata.
Invero, con tale motivo la ricorrente denuncia, a ben vedere, non già il vizio di carenza assoluta della motivazione resa dalla CTR, bensì quello di omessa pronuncia sui motivi di gravame, concernenti, a suo dire, vizi propri dell’atto impugnato (vale a di re, dell’ingiunzione di pagamento ICI).
Tuttavia, che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c., con riguardo all’art. 112 c.p.c., purché il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorché sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti, come nel caso di specie, ad argomentare sulla violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 24553 del
31/10/2013 e Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 10862 del 07/05/2018).
Né potrebbe sostenersi che le doglianze mosse avverso l’atto impositivo impugnato sarebbero state implicitamente rigettate dalla CTR, atteso che l’utilizzo dell’avverbio ‘Invero’ nell’ incipit del terzo capoverso della motivazione rende inequivoca la circostanza che la condivisione della sentenza di primo grado sia stata limitata al rilievo dell’avvenuta regolare notifica dell’atto prodromico (l’avviso di accertamento).
Senza tralasciare che, in violazione del principio di autosufficienza, la ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, l’atto di appello, al fine di attestare di aver tempestivamente reiterato le censure aventi ad oggetto vizi propri dell’ordinanza -ingiunzione fiscale (vale a dire, <> – la quale, peraltro, non è dato comprendere in che termini precluderebbe la riscossione , l’assenza nella notifica dell’ordinanza dei requisiti previsti ex art. 2 RD 639/2010, con conseguente nullità o inesistenza della notifi cazione dell’ordinanza del Comune, e la carenza del visto di esecutorietà del funzionario responsabile dell’ente locale creditore ex lett. d) dell’art. 52 d.lgs. 446/1997), a tacer del fatto che la seconda doglianza concernerebbe l’avviso di accertamento e solo di riflesso la successiva ingiunzione. A conferma, peraltro, della genericità della censura, si evidenzia che, sulla base della ricostruzione dei fatti operata dalla stessa contribuente alle pagine 2 e 3 del ricorso, solo il primo dei detti vizi (que llo, cioè, avente ad oggetto l’intervenuta abrogazione delle disposizioni che regolano la riscossione coattiva delle imposte mediante il rinvio al R.D. n. 639/1910 disposto dall’art. 130, comma 2, del dPR n. 43/1988) sarebbe stato formulato in sede di appello. Del resto, avuto riguardo al profilo della riscossione coattiva delle imposte mediante il rinvio al R.D n. 639/1910, il ricorso non è autosufficiente, non essendovi la prova che si sia trattato di una simile attività riscossiva attuata secondo dette formalità.
In ogni caso, la motivazione della sentenza qui impugnata, per quanto succinta, si pone senz’altro al di sopra del minimo costituzionale, atteso che la CTR ha, con argomentazioni corrette sul piano giuridico e congrue dal punto di vista logico, affermato che la CTP aveva <>.
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la motivazione assente, con violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), c.p.c., per non aver la CTR considerato che essa aveva presentato ricorso avverso l’o riginario avviso di accertamento n. 3522607/2013 e che, con la sentenza n. 735/2013, la CTP di Napoli aveva accolto (seppure solo parzialmente) le sue doglianze riducendo la somma ICI a pagare di € 7.434,13 quale imposta, di € 7.434,13 a titolo di sanzioni e di € 866,76 per interessi, il tutto per complessivi € 15.735,02. Nel proporre tale motivo dichiara di ‘produrre ai sensi dell’art. 327 c.p.c.’ la menzionata sentenza della CTP di Napoli.
2.1. Il motivo è infondato per le condivisibili ragioni esposte con la proposta di definizione accelerata.
In primo luogo, il giudicato esterno è rilevabile anche in sede di legittimità, al pari del giudicato interno, purché risulti da atti che siano stati acquisiti nel corso del giudizio di merito e che non siano, invece, prodotti, come nel caso di specie, per la prima volta in cassazione, operando in tale ultimo caso la preclusione di cui all’art. 372 c.p.c., essendo siffatta produzione ammessa solo qualora il giudicato non si sia formato nel corso del giudizio di merito e il documento serva per dimostrare che è venuto meno l’interesse
alla proposizione del ricorso per cassazione (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 19772 del 23/12/2003; conf. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010, Sez. 2, Ordinanza n. 1534 del 22/01/2018). Invero, la produzione di documenti attestanti l’avvenuta formaz ione di un giudicato esterno può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione solo se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione (Cass., Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006), laddove, nella fattispecie in esame l’invocato giudicato si sarebbe formato sin dal 2013 ed il giudizio d’appello è stato instaurato nel 2021.
In secondo luogo, non essendovene cenno nella sentenza impugnata, la ricorrente avrebbe dovuto indicare con precisione in quale fase e con quale atto processuale avesse tempestivamente sollevato la questione. Invero, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007; conf. Cass., Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 17041 del 09/07/2013, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18429 del 01/08/2013, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 25319 del 25/10/2017, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20712 del 13/08/2018).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Considerato che la trattazione del ricorso è stata chiesta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. a seguito di proposta di inammissibilità a firma del Dott. COGNOME la Corte, avendo definito il giudizio in conformità della proposta, deve applicare l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., come previsto dal citato art. 380bis c.p.c. La novità normativa introdotta dall’art. 3, comma 28, lett. g), d.lgs. 149/2022 contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione
finale, una valutazione legale tipica, ad opera del legislatore, della sussistenza dei presupposti per la condanna ad una somma equitativamente determinata a favore della controparte (art. 96, terzo comma, c.p.c.) e di una ulteriore somma di denaro non inferiore ad euro 500,00 e non superiore ad euro 5.000,00 a favore della Cassa delle ammende (art. 96, quarto comma, c.p.c.). In tal modo, risulta codificata una ipotesi di abuso del processo, peraltro da iscrivere nel generale istituto del divieto di lite temeraria nel sistema processuale.
Sulla scorta di quanto esposto, ed in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma, la parte ricorrente va condannata al pagamento della somma equivalente alle spese liquidate in favore del controricorrente ai sensi dell’art. 96, terzo comma , c.p.c. e al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 11.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge;
condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., al pagamento in favore del Comune di Acerra dell’ulteriore somma di euro 11.000,00;
condanna la ricorrente, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, c.p.c., al pagamento della somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 25.3.2025.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME