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Riconoscimento costi: la Cassazione accoglie il ricorso

Un professionista ha impugnato un avviso di accertamento basato su indagini finanziarie. La Corte di Cassazione, pur respingendo gran parte dei motivi, ha accolto quello cruciale relativo al riconoscimento costi. Sulla scia di una pronuncia della Corte Costituzionale, ha stabilito che a fronte di ricavi presunti da movimentazioni bancarie, al contribuente deve essere concessa la possibilità di dedurre i costi di produzione, anche in via forfettaria, cassando la sentenza e rinviando il caso per una nuova valutazione sul punto.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Riconoscimento Costi in Accertamenti Finanziari: La Cassazione Apre alla Deducibilità Forfettaria

L’ordinanza n. 21188/2024 della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per professionisti e imprese: la possibilità di ottenere il riconoscimento costi a fronte di maggiori ricavi determinati dall’Amministrazione Finanziaria tramite indagini bancarie. La decisione, pur respingendo diverse censure procedurali, accoglie un motivo fondamentale, stabilendo un principio di equità fiscale basato su una recente pronuncia della Corte Costituzionale.

I Fatti del Caso: Un Accertamento Basato su Indagini Finanziarie

Un contribuente, esercente un’attività di lavoro autonomo, riceveva avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2006 e 2007. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di indagini finanziarie sulle movimentazioni bancarie, aveva rideterminato maggiori compensi, con conseguente aumento del reddito imponibile e dell’IVA dovuta, oltre all’applicazione di sanzioni e interessi.

Il professionista impugnava gli atti, ottenendo ragione in primo grado. Tuttavia, la Commissione Tributaria Regionale, in sede di appello, riformava la decisione, accogliendo le tesi dell’Ufficio. In particolare, il giudice d’appello riteneva non applicabile la garanzia del contraddittorio preventivo, trattandosi di un accertamento “a tavolino” su tributi non armonizzati (imposte sui redditi), e confermava la correttezza delle risultanze delle indagini. Di qui, il ricorso del contribuente in Cassazione, affidato a sette distinti motivi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato dettagliatamente ogni motivo di ricorso, operando una distinzione netta tra le questioni procedurali e quelle di merito. Ha rigettato le censure relative alla violazione del contraddittorio preventivo, all’apparenza della motivazione della sentenza d’appello e ad altri vizi formali degli atti.

L’esito del giudizio è stato però ribaltato dall’accoglimento del sesto motivo, incentrato sulla violazione dell’art. 54 del TUIR. Il ricorrente lamentava che il giudice d’appello avesse considerato il reddito da lavoro autonomo come imponibile al lordo, senza tener conto delle spese di produzione che, per definizione, devono essere riconosciute, quantomeno in via forfettaria. La Corte ha ritenuto fondata questa doglianza, cassando la sentenza e rinviando la causa a un’altra sezione della Commissione Tributaria Regionale per una nuova valutazione.

Le Motivazioni sul Riconoscimento Costi

Il punto centrale delle motivazioni risiede nell’interpretazione dell’art. 32 del d.P.R. 600/1973 alla luce della sentenza n. 10 del 2023 della Corte Costituzionale. La Cassazione ha affermato che la presunzione legale secondo cui i prelevamenti bancari non giustificati costituiscono ricavi occulti deve essere bilanciata.

Anche quando l’accertamento si basa sul metodo analitico-induttivo, il contribuente (imprenditore o lavoratore autonomo) ha il diritto di opporre la prova contraria. Questa prova può consistere anche nell’eccepire un’incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che devono essere detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunti.

In sostanza, non è equo presumere che l’intero importo dei prelevamenti non giustificati si traduca in reddito netto. Una parte di quelle somme è stata necessariamente impiegata per sostenere i costi legati all’attività. La Corte ha quindi stabilito che la sentenza impugnata doveva essere annullata nella parte in cui non aveva considerato questa deduzione, demandando al giudice del rinvio il compito di ricalcolare il dovuto tenendo conto dei costi inerenti.

Il Rigetto degli Altri Motivi

Per completezza, è utile analizzare perché gli altri motivi siano stati respinti. La Corte ha ribadito il suo orientamento consolidato sul contraddittorio preventivo: per i tributi “non armonizzati” come le imposte sui redditi, l’obbligo non è generalizzato per gli accertamenti “a tavolino”, ma sussiste solo se previsto da una specifica norma. Per l’IVA (tributo “armonizzato”), pur sussistendo l’obbligo, la sua violazione invalida l’atto solo se il contribuente supera la “prova di resistenza”, dimostrando che avrebbe potuto addurre argomenti capaci di modificare la decisione finale. In questo caso, un dialogo c’era stato e aveva portato a una parziale riduzione, rendendo la censura infondata.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante vittoria per i contribuenti. Essa consolida un principio di ragionevolezza e proporzionalità nell’ambito degli accertamenti basati su presunzioni legali. L’affermazione che ai maggiori ricavi presunti debbano corrispondere i relativi costi (anche se determinati forfettariamente) rafforza le garanzie difensive di professionisti e imprese. In pratica, di fronte a un accertamento basato su indagini finanziarie, non solo è possibile contestare la natura di “ricavo” delle movimentazioni, ma è anche legittimo e doveroso chiedere il riconoscimento costi di produzione, evitando così una tassazione ingiusta sul reddito lordo.

È sempre obbligatorio il contraddittorio prima di un accertamento fiscale “a tavolino”?
No. La Corte di Cassazione distingue: per i tributi “armonizzati” (come l’IVA), il contraddittorio preventivo è una regola generale, ma la sua violazione annulla l’atto solo se il contribuente supera la “prova di resistenza”. Per i tributi “non armonizzati” (come le imposte sui redditi), l’obbligo non sussiste per gli accertamenti “a tavolino”, a meno che non sia specificamente previsto dalla legge.

Se l’Agenzia delle Entrate presume maggiori ricavi da prelevamenti bancari, è possibile dedurre i costi di produzione?
Sì. La Corte ha stabilito che, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023, il contribuente può sempre opporre alla presunzione di maggiori ricavi l’esistenza di costi di produzione. Tali costi, che devono essere detratti dai ricavi presunti, possono essere dimostrati anche eccependo un’incidenza percentuale forfettaria.

Cosa succede se un giudice non si pronuncia espressamente su uno dei motivi del ricorso?
Se il giudice ritiene che la decisione su un motivo principale renda superfluo l’esame degli altri (cosiddetto “assorbimento”), si configura un rigetto implicito. Secondo la Corte, questa non è un’omissione di pronuncia in senso stretto. La parte che vuole contestare questa scelta deve impugnare la correttezza della valutazione di assorbimento fatta dal giudice, non semplicemente denunciare l’omessa pronuncia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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