Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21188 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21188 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 29/07/2024
Oggetto: indagini finanziarie – riconoscimento costi
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22419/2016 R.G. proposto da
COGNOME NOME rappresentato e difeso come da procura speciale in atti dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (PEC: EMAIL) con domicilio eletto in Roma presso l’AVV_NOTAIO NOME COGNOME alla INDIRIZZO (PEC: EMAIL)
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore rappresentata e difesa come per legge dall’RAGIONE_SOCIALE (PEC: EMAIL) presso i cui uffici è domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell ‘ Abruzzo n. 202/05/16 depositata in data 22/02/2016 non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 27/03/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
–COGNOME NOME impugnava gli avvisi di accertamento notificatigli con riferimento ai periodi di imposta 2006 e 2007 con i quali erano accertati maggiori compensi e quindi rideterminato il reddito e l’iva dovuti nonché richiesti gli interessi ed erogate e sanzioni a seguito della esecuzione di indagini finanziarie;
-la CTP, dopo aver disposto una consulenza tecnica d’ufficio, accoglieva i ricorsi;
-appellava l’Ufficio;
-con la sentenza impugnata il giudice dell’appello ha accolto l’impugnazione dell’Amministrazione finanziaria ritenendo non applicabile al caso di specie l’art. 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000 in quanto trattasi di accertamenti c.d. ‘a tavolino’ , che non hanno necessitato di accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente;
-nel merito dei rilievi, la CTR ha ritenuto corrette le risultanze delle indagini finanziarie poste a base dell’accertamento anche alla luce delle osservazioni giustificazioni del contribuente oltre che del consulente tecnico, come evidenziate nella relazione prodotta;
-ricorre a questo accordo il contribuente con atto affidato a sette motivi;
-l’Amministrazione Finanziaria resiste con controricorso;
Considerato che:
-il primo motivo di gravame si incentra sulla violazione dell’art. 12 comma 7 della L. n. 212 del 2000, dei principi europei in materia di contraddittorio preventivo endo procedimentale in particolare dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere erroneamente il giudice del merito riformato la sentenza di primo grado ritenendo non applicabile la disposizione sopraddetta RAGIONE_SOCIALE Statuto dei diritti del contribuente;
-il motivo – nella parte in cui denuncia la violazione di legge con riguardo ai tributi reddituali alla luce della disposizione RAGIONE_SOCIALE Statuto dei diritti del contribuente – è infondato;
-dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia (cfr. sentenze: 3.7.2014, in causa C-129 e C/130/13, RAGIONE_SOCIALE ; 22.10.13, in causa C- 276/12, NOME ; 18.12.08, in causa C-349/07, RAGIONE_SOCIALE ; 12.12.02, causa C- 395/00, RAGIONE_SOCIALE ; 21.9.00, in causa C-462/98 P. Mediocurso c. Commissione ; 4.10.96, in causa C-32/95 c. RAGIONE_SOCIALE ) emerge che il rispetto del contraddittorio nell’ambito del procedimento amministrativo, non escluso quello tributario, costituisce, quale esplicazione del diritto alla difesa, principio fondamentale dell’ordinamento europeo, che trova applicazione ogniqualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, sicché il destinatario di provvedimento teso ad incidere sensibilmente sui suoi interessi deve, pena la caducazione del provvedimento medesimo, essere messo preventivamente in condizione di manifestare utilmente il suo punto di vista in ordine agli elementi sui quali l’COGNOME intende fondare la propria decisione (cfr., in particolare, la decisione 18.12.08, in causa C-349/07, RAGIONE_SOCIALE, punti 36 e 37; Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass., 9 luglio 2020, n. 14628; Cass., 27 maggio 2021, n. 14733). Tale principio, peraltro, è attualmente codificato nell’art. 41, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il quale, nel garantire il diritto ad una buona COGNOME, prevede che, nell’ambito del menzionato diritto, va, tra gli altri, ricompreso «il diritto di ogni persona ad essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio» (Cass., Sez. Un., 9 dicembre 2015, n. 24823; Cass. sez. 5, n. 474 del 2023). 2.3.In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali questa Corte, a sezioni unite, ponendo termine a precedenti oscillazioni interpretative, ha
affermato che solo per i tributi “armonizzati” l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endo procedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. Per quelli “non armonizzati”, quali sono i tributi che colpiscono il reddito, non è invece rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, che pertanto sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito (Cass. Sez. U, 9 dicembre 2015, n. 24823). Si tratta di un principio che non trova efficace smentita nelle considerazioni svolte nella doglianza in esame, anche perché esso è stato affermato proprio all’esito di un’ampia disamina tanto dell’ordinamento tributario nazionale e dei principi costituzionali di riferimento, quanto degli indirizzi applicabili in materia sulla base del diritto UE e delle pronunce della Corte di Giustizia. Dal perimetro dell’obbligo del contraddittorio restano dunque fuori le imposte non armonizzate, salvo una espressa prescrizione legislativa e, quanto all’iva e a quelle armonizzate, le fattispecie in cui il contribuente non superi la prova di resistenza, ossia quando sia evidente che le ragioni che il contribuente lamenta di non aver fatto valere in occasione di un contraddittorio endo procedimentale – qualora attuato – non avrebbero comunque determinato l’annullamento dell’atto adottato al termine del procedimento amministrativo, rivelandosi pertanto meramente dilatorie. Il che, può aggiungersi, non vuol significare che alle parti del procedimento amministrativo (Amministrazione e contribuente) debba richiedersi nella fase endo procedimentale capacità di critica e valutazione delle complessive allegazioni documentali, pari a quelle demandate all’organo giudiziario in sede processuale, ma che la serietà e pertinenza delle allegazioni del contribuente, qualora vagliate dall’Amministrazione finanziaria all’esito della verifica e prima della notificazione dell’atto
impositivo, avrebbero potuto incidere sul se e sul contenuto di questo, se celebrato il contraddittorio. Ciò che infatti rileva è la prova che la celebrazione del contraddittorio “avrebbe potuto comportare un risultato diverso” (cfr. Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, in causa C-129 e C-130/13, RAGIONE_SOCIALE ). Questa Corte ha affermato che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’COGNOME finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino” effettuate nei confronti di terzi, il contraddittorio endo procedimentale ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”, ma la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa» (Cass., 19 luglio 2021, n. 20436);
-alla luce di tali principi, nella sentenza impugnata, la RAGIONE_SOCIALE si è attenuta ai suddetti canoni nell’avere escluso l’applicazione delle garanzie di cui all’art. 12 cit. in relazione ad un accertamento svolto pacificamente ‘a tavolino’;
-quanto poi al recupero della maggiore iva, il motivo è parimenti privo di fondamento;
-va rilevato come ‘l’ufficio ha tenuto ampiamente conto delle osservazioni del contribuente tanto è vero che ha notevolmente ridotto sia prima che durante il giudizio la propria pretesa impositiva anche rispetto agli importi risultanti dalla espletata consulenza tecnica d’ufficio. Il che dimostra – sotto altro profilo come tra l’COGNOME e il contribuente si sia realizzato un effettivo e concreto dialogo che permette di escludere la violazione del principio del contraddittorio’;
-poiché quindi con riguardo all’Iva il contraddittorio ha avuto luogo ed ha portato a risultati in parte positivi per il contribuente, che nella fase procedimentale ha ottenuto dall’Ufficio un parziale riconoscimento delle proprie ragioni, la censura risulta infondata,
dal momento che la CTR ha accertato l’effettivo svolgimento del contraddittorio in parola, ed anche la sua fruttuosità per il contribuente che ha ottenuto un parziale ridimensionamento delle pretese dell’Amministrazione Finanziaria;
-il secondo motivo di gravame si incentra sulla violazione dell’art. 36 del d. Lgs. n. 546 del 1992 e dell’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere la CTR resa motivazione solo apparente in quanto essa rinvia ai risultati della CTU e all’atto di appello dell’RAGIONE_SOCIALE delle entrate, con ciò risultando la decisione non solo acritica e immotivata, ma anche contraddittoria rispetto ai risultati quantitativi della CTU stessa e alle valutazioni della medesima;
-il motivo è infondato;
-nella motivazione della CTR non si evincono le contraddizioni denunciate, avendo il giudice di appello espresso in forma adeguata -e in misura superiore al c.d. ‘minimo costituzionale’ (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014) -le ragioni che l’hanno condotto a condividere le risultanze della CTU a seguito della quale sono stati ridotti gli imponibili accertati, addivenendo a importi che ‘discendono da una analitico esame delle somme movimentate sul conto corrente del contribuente e delle motivazioni offerte, nonché della misura delle sanzioni applicate, e che tengono conto sia delle osservazioni e delle giustificazioni del contribuente stesso, sia delle osservazioni del consulente tecnico contenute nella relazione del 10 dicembre 2013, che evidenziano, per i due anni in discussione, motivazioni assenti, o mancanti di prova, o riferite ad operazioni non inerenti all’attività d’impresa’;
-il terzo motivo si duole della violazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 in relazione all’ art. 390 del d.P.R. n. 600 de 1973 e all’art. 56 del d.P.R. n. 633 del 1972 in relazione all’art. 360 c. n. 3 c.p.c. per avere la pronuncia impugnata mancato di rilevare la lesione del diritto di difesa, non avendo dichiarato illegittimi gli atti impugnati che non
rendevano conoscibile la norma che l’Amministrazione Finanziaria ha ritenuto di applicare al caso di specie. Così operando, la CTR avrebbe, secondo il ricorrente, impedito al contribuente di porre in essere un’adeguata linea difensiva fin dal momento della notificazione dei provvedimenti;
-il motivo è infondato;
-in realtà, il richiamo operato degli avvisi di accertamento all’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 era ed è del tutto idoneo a far comprendere al contribuente si tratta di un accertamento di natura analitica-induttiva fondato sulla sussistenza di presunzioni a favore dell’Ufficio, non rilevanti solo quanto alla determinazione del quantum debeatur ma rilevanti ai fini della individuazione delle operazioni costituenti elementi positivi sottratti a imposizione quanto all’analisi delle risultanze delle indagini finanziarie – che possono essere smentite dal contribuente fornendo prova contraria alle asserzioni indiziarie COGNOME;
-il motivo si duole poi anche della mancata notifica del PVC e della sua mancata allegazione agli avvisi di accertamento; sotto questo profilo la censura risulta inammissibile poiché il profilo di doglianza dedotto non risulta sia stato proposto nei precedenti gradi di giudizio di merito e quindi sottoposto per la prima volta all’esame della Corte: come tale va quindi dichiarato inammissibile;
-ancora, il motivo deduce poi, in via subordinata -in una quarta censura esposta in ricorso per cassazione – l’omessa pronuncia in relazione alle questioni in ordine alle imponibilità e alla quantificazione del reddito, denunciando la violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 35 del d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c.;
-secondo il ricorrente, in sintesi, la sentenza di appello avrebbe omesso di considerare la contestazione circa l’errata qualificazione di reddito attribuita al COGNOME con tutti gli effetti che ne conseguono quanto all’applicazione dell’iva e dell’irap; peraltro,
sul punto gli avvisi di accertamento sarebbero privi di motivazione;
-il motivo, sotto questo ultimo ulteriore profilo, è infondato;
-proprio dallo stralcio dell’avviso d’accertamento riportato a pagina 26 periodo del ricorso per Cassazione si evince in realtà come l’COGNOME finanziaria abbia rideterminato -così qualificandolo chiaramente -il ‘reddito da lavoro autonomo’ del contribuente; la qualificazione quindi operata dall’Ufficio è chiara e inequivoca e consentiva al COGNOME di articolare, come ha valorosamente fatto anche in questa sede di Legittimità, le sue difese;
-ancora, in via ulteriormente subordinata, il motivo si duole poi -costituendo tale mezzo di impugnazione una quinta censura del ricorso per cassazione – anche dell’omessa considerazione di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere la sentenza di appello mancato di considerare tre fatti storici decisivi dai quali sarebbe derivato un esito diverso dal giudizio oggetto di discussione tra le parti è oggetto di analisi anche da parte del CTU; il primo consisterebbe nella vicenda relativa agli assegni intestati alla RAGIONE_SOCIALE versati su conto della stessa società attribuiti al contribuente dall’Ufficio; in secondo luogo si tratterebbe delle operazioni relative alle movimentazioni presso Banca CARIM; infine, l’omissione avrebbe riguardo al mancato esame delle operazioni intercorse sul conto corrente TERCAS 50958, con particolare riferimento a due assegni che il contribuente avrebbe giustificato senza successo come operazione di cambio assegni con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE;
-i motivi sono da rigettare;
-nel concreto essi ripropongono a questa Corte l’esame del merito della causa che non può più essere oggetto di censura in questa sede di legittimità;
-in proposito, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca,
apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (Cass., 4 aprile 2017, n. 8758; Cass. Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987);
-nel caso in esame è evidente che il dedotto vizio di violazione di legge si risolve nella prospettazione in un diverso apprezzamento delle circostanze già esaminate dal consulente tecnico d’ufficio e condivise dai giudici di merito, che esula dal sindacato di legittimità (cfr. Cass., 24 ottobre 2013, n. 24131); ciò nel rispetto del principio affermato da questa Corte secondo cui quando il giudice del merito aderisca al parere del consulente tecnico d’ufficio, non è tenuto ad esporne in modo specifico le ragioni poiché l’accettazione del parere, delineando il percorso logico della decisione, ne costituisce adeguata motivazione, non suscettibile di censure in sede di legittimità, ben potendo il richiamo, anche se ≪ per relationem ≫ dell’elaborato, implicare una compiuta positiva valutazione del percorso argomentativo e dei principi e metodi scientifici seguiti dal consulente; qualora, tuttavia, alle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio siano state avanzate critiche specifiche e circostanziate, sia dai consulenti di parte che dai difensori (il che di fronte a questa Corte comunque non è avvenuto) il giudice del merito, per non incorrere nel vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., è tenuto a spiegare in maniera puntuale e dettagliata le ragioni della propria adesione all’una o all’altra conclusione e ha l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle critiche specifiche sollevate dando conto della propria scelta di adesione alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass. 11 giugno 2018, n. 15147; Cass., 24 dicembre 2013, n. 28647; Cass., 20 maggio 2005, n. 10668);
-in ultimo, il sesto motivo di ricorso censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 54 del TUIR ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3
c.p.c. per avere la pronuncia di appello trattato il reddito di lavoro autonomo del contribuente come se fosse imponibile al lordo, ossia senza considerare le spese di produzioni che invece debbono essere riconosciute quantomeno in via forfettaria;
-il motivo è fondato;
-invero, la questione relativa al riconoscimento delle spese- quali elementi negativi di reddito -correlate ai maggiori compensi accertati, effettivamente risulta esser stata posta nei gradi di merito, come si evince dalla sentenza impugnata e come di desume dalla trascrizione del passo del ricorso introduttivo che la eccepiva, operata diligentemente da parte ricorrente a pag. 24 del ricorso per cassazione;
-ne deriva che gli stessi debbono, alla luce della recente pronuncia della Corte costituzionale sul punto, trovare riconoscimento in sede di accertamento, come questa Corte ha chiarito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 18653 del 03/07/2023) dal momento che in tema di accertamento dei redditi con il metodo analitico-induttivo, a seguito della sentenza della Corte cost. n. 10 del 2023, che ha operato un’interpretazione adeguatrice dell’art. 32, comma 1, n. 2, del d.P.R. 600 del 1973, a fronte della presunzione legale di ricavi non contabilizzati, e quindi occulti, scaturente da prelevamenti bancari non giustificati, il contribuente imprenditore può sempre opporre la prova presuntiva contraria, eccependo una incidenza percentuale forfettaria di costi di produzione, che vanno quindi detratti dall’ammontare dei maggiori ricavi presunto;
-pertanto, in accoglimento del motivo in argomento, la sentenza sul punto va cassata con rinvio;
-il settimo e ultimo motivo di ricorso, proposto in via di ulteriore subordine, lamenta l’omessa pronuncia sui motivi relativi alle sanzioni, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c. per avere la sentenza di appello manca pronunciarsi sulla questione relativa alla violazione dell’art. 12 c. 5 del d. Lgs. n. 472 del 1997. Va preliminarmente osservato che diversamente
da quanto eccepito in controricorso la questione relativa alla legittima determinazione delle sanzioni risulta riproposta nel giudizio di appello come si evince dalla sintetica ricapitolazione delle conclusioni delle parti operate dalla sentenza impugnata nella premessa al fatto; pertanto, il profilo risulta legittimamente introdotto nel giudizio di secondo grado;
-sul punto, la CTR ha ritenuto, nella parte conclusiva della motivazione (pag. 3 ultimo periodo della sentenza) che ‘tutte le rimanenti questioni possono ritenersi assorbite’ : ora, come è noto, la figura dell’assorbimento ricorra non solo quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo più pieno (cd. assorbimento proprio), ma anche quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (c.d. assorbimento improprio – cfr. Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass.9 ottobre 2012, n. 17219; Cass. 16 maggio 2012, n. 7663);
-l’assorbimento, anche se improprio, non comporta un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (di rigetto oppure di accoglimento) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento (così, Cass. n. 28663 del 2013). Pertanto, la mancata espressa pronuncia sulla domanda ritenuta assorbita – nel caso in esame, implicitamente rigettata – può essere censurata contestando la correttezza della valutazione di assorbimento effettuata dal giudice di appello, avendo questa costituito la motivazione della decisione assunta, e, dunque, con il rimedio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.;
-ne deriva allora che il motivo in trattazione, proposto quale censura della sentenza gravata come viziata da omessa pronuncia, va dichiarato inammissibile;
-conclusivamente, va quindi accolto il solo sesto motivo di ricorso;
-la sentenza è pertanto cassata con rinvio limitatamente al profilo oggetto di detto motivo; nel resto il ricorso va rigettato;
p.q.m.
accoglie il sesto motivo di ricorso; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo oggetto di accoglimento e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo dell’Abruzzo in diversa composizione che provvederà anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità; rigetta i restanti motivi.
Così deciso in Roma, il 27 marzo 2024.