Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32106 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 32106 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/12/2024
Contratti di appalto per opere pluriennalipagamenti a s.a.l.- art. 109 co. 2 tuir-natura ricavi-sussistenza acconti – esclusione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27253/2016 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME in forza di procura in calce al ricorso, p.e.c. EMAIL
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura generale dello Stato;
-controricorrente – avverso la sentenza della COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 3835/2016, depositata in data 26/04/2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/10/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME
Rilevato che:
Con avviso di accertamento l’Agenzia delle Entrate recuperava a imposizione a fini Irpef e Irap per l’anno di imposta 2008, nei confronti di NOME COGNOME titolare di impresa individuale, maggiori ricavi per euro 135.000,00, pari all’importo d i alcune fatture in acconto. In particolare, evidenziava che dalle fatture attive era emersa la presenza di cinque cantieri, che però in contabilità non erano state indicate rimanenze di opere al 31/12/2008 mentre il valore di vendita non era indicato tra i corrispettivi; i contratti di subappalto prevedevano che i pagamenti avvenissero in base a stati di avanzamento, con liquidazione mensile del corrispettivo maturato, da imputarsi quindi, dato il carattere di certezza, quali ricavi del 2008 e non anticipi; in mancanza di documentazione probatoria circa lo stato effettivo dei cantieri, non avendo l’impresa esibito i s.a.l., l’ufficio c onsiderava quindi come ricavi dell’anno 2008 l’ammontare complessi vo delle fatture in acconto.
La Commissione tributaria provinciale di Caserta accoglieva il ricorso del contribuente evidenziando che l’ufficio non aveva provato che quanto ricevuto dal pagamento delle fatture in acconto rientrasse nei ricavi già contabilizzati.
La Commissione tributaria regionale della Campania, nella contumacia del contribuente, accoglieva l’appello erariale, confermando la ripresa; riteneva che l’ufficio aveva correttamente imputato a ricavi le somme delle fatture atteso che a fronte dell’emissione e della previsione contrattuale che il pagamento doveva avvenire in base agli stati di avanzamento mensile dei lavori, che non erano stati prodotti, sarebbe stato onere della parte dare la prova che le somme erano state versate quale anticipo e non come corrispettivo. La circostanza che le fatture fossero emesse in acconto escludeva poi
che i relativi importi fossero stati conteggiati nei ricavi dichiarati nell’anno , come invece ritenuto dai primi giudici, anche perché in base all’ art. 109, comma 2, t.u.i.r. trattandosi di acconti dovevano essere imputati all’esercizio di competenza , per cui non potevano essere contabilizzati nel 2008. L’ufficio aveva quindi ben provveduto al recupero di tali somme da considerarsi quali corrispettivi periodici derivanti da contratto che, ai sensi dell’art. 109, comma 2, lett. b t.u.i.r., si considerano conseguiti alla data di maturazione del diritto.
Avverso la sentenza della CTR il contribuente propone ricorso affidato a quattro motivi.
L ‘Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
La causa è stata trattata nella camera di consiglio del 18 ottobre 2024.
Considerato che:
Occorre premettere che la rinuncia al mandato del difensore del ricorrente non determina cessazione dello jus postulandi in assenza di avvenuta sostituzione (Cass. 29/09/2022, n. 28365; Cass. 8/11/2017, n. 26429; Cass. 9/07/2009, n. 16121).
Con il primo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., il ricorrente deduce nullità -motivazione carente e parziale -violazione e falsa applicazione art.116 c.p.c. e artt. 36 e 58 d.lgs. n. 546/92 , dolendosi che la CTR non abbia valutato le posizioni di entrambe le parti coinvolte
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. deduce nullità -errore nel procedimento -violazione e falsa applicazione artt. 112 e 116 cpc, 22, 36 e 58 d. lgs. n. 546/92 , dolendosi della mancata considerazione della produzione documentale presente in atti dal primo grado.
2.1. I primi due motivi vanno esaminati congiuntamente e sono infondati.
In entrambi i motivi la parte si duole, in primo luogo, di una motivazione assente in merito alle proprie eccezioni e alle prove, rispettivamente proposte e prodotte in primo grado a sostegno del ricorso.
2.2. Occorre premettere che il contribuente è stato totalmente vittorioso in primo grado, ove la CTR ha accolto il ricorso affermando che l’ufficio non avesse provato che i maggiori ricavi accertati fossero in realtà già compresi tra i ricavi dichiarati, e poi è rimasto contumace in appello, come evidenziato dalla CTR con statuizione non fatta oggetto di alcuna censura ed anzi esplicitamente evidenziata nell’odierno ricorso .
Com’è noto, in tema di processo tributario, la parte appellata vittoriosa in primo grado non ha un onere di specifica contestazione dei motivi d’appello, ai sensi degli artt. 57 e 58 del d.lgs. n. 546 del 1992, essendo l’oggetto del giudizio già fissato in primo grado, ma ha comunque l’onere di riproporre le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, intendendosi altrimenti rinunciate, ex art. 56 del citato decreto, disposizione che ricalca l’art. 346 cod. proc. civ. (Cass. 30/11/2023, n. 33347; Cass. 9/10/2020, n. 21808), intendendosi per non accolte quelle non esaminate, perché per esempio ritenute assorbite dall’accoglimento di una questione pregiudiziale o preliminare.
Tali principi valgono anche per il caso di appellato rimasto contumace in quanto la mancata costituzione dell’appellato nel giudizio di appello comporta una presunzione di rinuncia alle domande ed eccezioni avanzate in primo grado e non riproposte in fase di gravame.
Tale principio si basa sulla parità delle parti nel processo e sull’effetto devolutivo dell’appello, che precludono la possibilità di attribuire all’appellato contumace una posizione di maggior favore rispetto all’appellante (Cass. 6/02/2014, n. 2730; Cass. 19/12/2013, n. 28454;
Cass. 12/11/2007, n. 23479; Cass. 12/11/2007, n. 23489; Cass. 13/09/2006, n. 19555), con principi pacificamente applicabili al processo tributario, in relazione alla analoga previsione dell’art. 56 d.lgs. n. 546 del 1992 (Cass. 26/02/2024, n. 5104; Cass. 10/06/2024, n. 16096; Cass. 18/09/2023, n. 26686; Cass. 27/12/2022, n. 37776; Cass. 24/09/2014, n. 20062; Cass. 9/01/2009, n. 238; Cass. 18/04/2007, n. 9217; Cass. 13/05/2003, n. 7316).
Premesso che il ricorrente non indica, neanche per sintesi, quali fossero le ulteriori eccezioni proposte in primo grado, in assenza di costituzione in appello dello stesso, totalmente vittorioso in primo grado, la CTR non doveva decidere su questioni ed eccezioni non riproposte.
2.3. Occorre poi evidenziare, in secondo luogo, che:
-la violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. U., 30/09/2020, n. 20867), il che nel caso di specie non è neanche prospettato;
– l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, introduce
nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (da ultima Cass. 20/06/2024, n. 17005); e nel caso in esame tali indicazioni non sono rispettate;
la nullità per mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132 n. 4 cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, secondo comma, n. 4, d.lgs. 546/1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione -ovvero essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente astratto o contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum , e quindi sia al di sotto del cd. minimo costituzionale (Cass. Sez. U. 7/04/2014, n. 8053), il che evidentemente nel caso di specie non è, alla luce della motivazione della CTR sopra riportata.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., si deduce nullità -violazione norma di legge -violazione e falsa applicazione art. 99, 112 e 342 cpc e 53 d.lgs. 546/92 , dolendosi che la CTR non abbia ritenuto
inammissibile l’appello laddove l’ufficio si era limitato a riprodurre le ragioni poste a base dell’avviso di accertamento .
3.1. Il motivo non è fondato.
Per costante orientamento di questa Corte, nel processo tributario la sanzione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi, prevista dall’art. 53, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, nella formulazione vigente ratione temporis , deve essere interpretata restrittivamente, in conformità all’art. 14 disp. prel. cod. civ., trattandosi di disposizione eccezionale che limita l’accesso alla giustizia, dovendosi consentire, ogni qual volta nell’atto sia comunque espressa la volontà di contestare la decisione di primo grado, l’effettività del sindacato sul merito dell’impugnazione (tra le tante: Cass. 24/08/2017, n. 20379; Cass. 15/01/2019, n. 707; Cass. 21/07/2020, n. 15519; Cass. 2/12/2020, n. 27496; Cass. 11/02/2021, n. 3443; Cass. 10/03/2021, n. 6596; Cass. 11/03/2021, nn. 6850 e 6852; Cass. 26/05/2021, nn. 14562 e 14582).
Non è, quindi, necessaria ai fini dell’ammissibilità dell’appello l’indicazione di specifici motivi in relazione a specifiche censure della sentenza impugnata, essendo sufficiente che l’appellante si riporti alle argomentazioni già sostenute nel grado di merito precedente, insistendo per la legittimità dell’avviso impugnato (Cass. 26/05/2021, n. 14582). Nel processo tributario vige, quindi, il principio del carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. 29/02/2012, n. 3064; Cass. 22/01/2016, n. 1200; Cass. 22/03/2017, n. 7369; Cass. 28/09/2018, n. 23532).
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., deduce nullità violazione norme di legge -violazione e falsa applicazione art. 39, 41 bis d.P.R. 600/73,
17 d.P.R. n.633/72, 109 t.u.i.r. , dolendosi che la CTR non abbia fatto corretta applicazione delle regole di imputazione per competenza dei ricavi derivanti da opere pluriennali, evidenziando che le somme ricevute a titolo di acconto erano state correttamente contabilizzate all’interno del conto economico nel conto anticipi da cliente , che i predetti corrispettivi, per l’unico cantiere ultimato, nel 2008, erano stati stornati da tale conto per essere poi contabilizzati al conto ricavi da prestazioni di servizi e che anche per le rimanenze l’ufficio aveva errato laddove aveva valutato le stesse quali rimanenze di materiale edile e non di rimanenze di servizi; infine deduce che la presenza di un contratto di subappalto che prevedeva la corresponsione di compensi in base allo stato di avanzamento non rende automatica l’applica zione dell’art. 109, comma 2, lett. b, t.u.i.r., dovendosi guardare concretamente all’oggetto del contratto nel la sua integrità.
4.1. Il motivo è infondato.
La decisione impugnata si conforma, infatti, ad incontrastato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, in caso di appalti di lunga durata, come quello di specie, in cui le parti abbiano convenuto il diritto dell’appaltatore di ricevere corrispettivi in corso d’opera, in relazione ai successivi stati di avanzamento dell’opera stessa, si deve al detto fine aver riguardo «alla data di ultimazione della singola partita in cui l’appalto è suddiviso, e, quindi, al momento dell’approvazione del relativo stato di avanzamento, che determina l’insorgere di un credito, immediatamente esigibile, dell’appaltatore per la relativa parte di compenso» (Cass. 05/05/2010, n. 10818; Cass. 18/12/2009, n.26665; Cass. 29/03/1996, n. 2928).
In caso di appalto di opere di durata pluriennale che preveda l’effettuazione di pagamenti sulla base dello stato di avanzamento dei lavori, essendo pacifico l’inquadramento dell’appalto tra le prestazioni di servizi, trova pertanto applicazione l’art. 109, comma 2, lett. b), del
t.u.i.r., secondo cui «i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate»; con la conseguenza che, dovendo il momento della ultimazione delle opere essere di regola individuato in quello dell’accettazione senza riserve, da parte del committente, dell’opera compiuta dall’appaltatore, nell’ipotesi di opera eseguita «per partite» (art. 1666 cod. civ.), l’accettazione senza riserva della singola partita coincide con l’accettazione del sRAGIONE_SOCIALE ad essa relativo (Cass. 18/11/2021, n. 35196).
Ciò comporta, ai fini delle imposte dirette, che i costi si considerano sostenuti dal committente ed i ricavi si considerano conseguiti dall’appaltatore alla data di accettazione definitiva degli stati di avanzamento dei lavori.
Il carattere provvisorio o definitivo della liquidazione del corrispettivo secondo gli stati di avanzamento dei lavori incide, quindi, sulla classificazione del relativo componente positivo di reddito – in termini di «ricavo» o di «rimanenza» – rilevato dall’appaltatore.
Infatti, l’inclusione del corrispettivo della parte di opera compiuta tra le rimanenze ovvero tra i ricavi è condizionata dalla definitività della relativa liquidazione, correlata all’avvenuta produzione degli effetti giuridici dell’accettazione relativi al passaggio della proprietà o del rischio (Cass. 23/06/2021, n. 18035).
Le rimanenze, pertanto, sono solo quelle riferite alla parte di corrispettivi maturata, ma non ancora liquidata in via definitiva.
I corrispettivi liquidati provvisoriamente, in quanto relativi a stati di avanzamento lavori non ancora accettati in via definitiva, vanno considerati acconti e confluiscono pertanto nel reddito d’esercizio nella fase di valutazione delle rimanenze.
I corrispettivi liquidati a titolo definitivo, relativi a stati di avanzamento lavori accettati dal committente, costituiscono corrispettivi maturati e, dunque, ricavi, e non rimanenze.
Di tali regole ha fatto corretta applicazione la CTR laddove il motivo in realtà mira ad una revisione del materiale probatorio prodotto, mentre il vizio di violazione di legge (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per erronea sussunzione si distingue dalla carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, sottratta al sindacato di legittimità, perché postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso e la censura attenga all’erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa, senza contestare la valutazione delle risultanze di causa (tra tante, da ultimo, Cass. 16/07/2024, n. 19651).
5. Di conseguenza il ricorso va respinto.
Alla soccombenza segue condanna al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME a pagare le spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, spese che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
A i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18 ottobre 2024.