Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33116 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33116 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 53/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, domiciliati ‘ex lege’ in ROMA INDIRIZZO presso la Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentati e difesi da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA-NAPOLI n. 4947/2022 depositata il 23/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Dalla sentenza in epigrafe, in punto di fatto, si evince quanto segue:
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello avverso la sentenza, emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli n. 7878/22/2020, che ha rigettato il ricorso dalla stessa società presentato avverso avviso di accertamento IVA aliquote 2015 e IRAP 2015 ricavi non fatturati nel 2015 per 100.000,00 euro – IVA al 22% – e il corrispondente maggior reddito di impresa ai fini dell’IRES oltre sanzioni e interessi .
La resistente Agenzia delle entrate si è costituita in giudizio con proprie controdeduzioni contesta alla ricorrente di aver presentato dichiarazioni modello unico IVA ed IRAP esponendo dati contabili non corrispondenti all’esito dell’accertamento eseguito dalla Guardia di Finanza di Aversa su delega della Procura della Repubblica di Napoli Nord di cui alla segnalazione Prot. 129234 del 13.03.2017.
Premesso che la società RAGIONE_SOCIALE esercita l’attività di compravendita di beni immobili effettuata su beni propri, a fronte dei seguenti dati contabili (dichiarazioni modello unico IVA e IRAP) presentati dalla società ricorrente per l’anno 2015 “reddito d’impresa euro 35.097,00 da ricavi di euro 300.000,00, volume d’affari di euro 300.000,00 valore della produzione netta di euro 33.364,00 da componenti positivi di euro 300.000,00” la Guardia di Finanza ha accertato che il prezzo effettivo della compravendita di un opificio industriale in Casoria eseguita il19.02.2015 tra la venditrice RAGIONE_SOCIALE e l’acquirente RAGIONE_SOCIALE ammontava ad euro 400.000,00 tale somma era stata corrisposta per 300.000,00 euro con pagamento tracciabile e per 100.000,00 euro in contanti.
Quindi la ricorrente, sempre in primo grado, deduce la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione ai sensi dell’art. 42
DPR600/72 dell’art. 7 co. 1 legge 212/2000, inoltre contesta l’omessa allegazione del modello unico IVA e IRAP per l’anno 2015 che costituisce il presupposto dell’avviso di accertamento e l’omessa allegazione della segnalazione della Guardia di Finanza di Aversa. Infine, deduce il difetto di motivazione anche riferito ai criteri e gli elementi di calcolo applicati per le sanzioni e gli interessi.
L’Agenzia delle Entrate ha contro dedotto rappresentando che l’avviso di accertamento si fonda sull’esito delle indagini della Guardia di Finanza dalle quali sono emersi ricavi “In nero” per euro 100.000,00 proprio in relazione alla vendita di un opificio industriale alla RAGIONE_SOCIALE Quanto accertato è stato confermato dal legale rappresentante della ricorrente – NOME COGNOME – in una testimonianza spontaneamente resa.
La CTP ha anche evidenziato che l’avviso di accertamento risulta ampiamente motivato anche nell’indicazione dei calcoli per le sanzioni e gli interessi.
Quanto all’omessa allegazione di atti indicati nell’avviso di accertamento, premesso che la segnalazione della Guardia di finanza è stata allegata all’avviso di accertamento, va ribadito in questa sede l’orientamento secondo il quale l’obbligo di allegazione di cui agli artt. 7 co. 1 legge 212/2000 e 3 legge 7.08.1990 n. 241 è escluso quando il riferimento è ad atti e documenti di cui il contribuente ha già integrale e legale conoscenza. (Cass. ordinanza n.4176 del13.02.2019).
Anche le ulteriori considerazioni esposte nella memoria illustrativa depositata dalla ricorrente non incidono sulla legittima pretesa della Agenzia delle entrate.
I nvero si sostiene che il ricavo accertato per l’anno 2015 a seguito dell’accertamento della Guardia di Finanza non può essere considerato corrispondente all’utile, tale presunzione sarebbe superata dalla dimostrazione che gli utili non coincidono con i ricavi né che sono stati distribuiti. A sostegno di tale tesi la ricorrente adduce che il bilancio 2014 esponeva una perdita di 754.545,45 e che tale perdita era stata riportata agli esercizi successivi. In definitiva la società non avrebbe conseguito alcun utile negli anni 2015 e 2016 perché interamente destinati a ricoprire le perdite degli esercizi precedenti.
Ad ulteriore motivazione del rigetto della istanza del contribuente la CTP evidenzia che le osservazioni svolte dalla ricorrente sono prive di qualsivoglia elemento idoneo a confutare la certezza del ricavo “in nero” di 100.000,00 euro peraltro riconosciuto anche dallo stesso amministratore della RAGIONE_SOCIALE
2. Proponeva appello la contribuente, rigettato dalla CTR con la sentenza in epigrafe sulla base della seguente motivazione:
Dalla ricostruzione dell’intera vicenda appare che nel caso di specie l’Amministrazione Finanziaria contesta alla società medesima, in qualità di soggetto autonomo, di aver percepito dei ricavi che non sono stati né contabilizzati, né indicati nella dichiarazione dei redditi. Le imposte così accertate sono dovute dalla società, in quanto produttrice di un maggior reddito di impresa non dichiarato. Non si tratta, quindi, di un utile prodotto dalla società e poi conferito al socio, il quale deve quindi dichiararlo.
E soprattutto l’accertamento muove dalle dichiarazioni spontanee rese dallo stesso rappresentante legale della società accertata, Sig. COGNOME COGNOME che, quindi, in quanto tali risultano essere più che attendibili, soprattutto in riferimento al quantum.
Come correttamente riportato dai giudici della sentenza appellata, la testimonianza del sig. NOME COGNOME è stata spontanea e non appare rilevante la considerazione che detti importi non coincidano con i ricavi e che non siano stati distribuiti, perché la società non avrebbe conseguito alcun utile negli anni 2015 e 2016, perché i ricavi in nero, emersi a seguito della vendita dell’opificio industriale, sono stati destinati a ricoprire le perdite degli esercizi precedenti.
Proponevano ricorso per cassazione la contribuente ed il suo legale rappresentante con un motivo. Il Consigliere delegato dall’Ill.mo Sig. Presidente formulava proposta di definizione anticipata, revocata con decreto presidenziale perché anteriore alla scadenza del termine di costituzione in favore dell’Agenzia delle entrate. Quest’ultima si costituiva con controricorso.
Considerato che:
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia: ‘Violazione ed errata applicazione della legge’.
1.1. ‘L’ A genzia delle entrate ha presupposto che per l’anno 2015 il ricavo accertato coincidesse perfettamente con l’utile. Tale presunzione è ampiamente contestabile in quanto appare altamente improbabile che un’azienda non sostenga costi nel produrre un ricavo. Tale presunzione può essere superata dalla società dimostrando che gli utili sono ben diversi dai ricavi accertati. La circostanza dedotta da parte ricorrente non è stata contestata da parte resistente né tanto meno è stata contestata la documentazione’. ‘L’ Ufficio avrebbe potuto dare la prova della distribuzione degli utili extracontabili al socio, come redditometro, accertamenti bancari ed altro, onere probatorio al quale non ha assolto in alcun modo. Circostanza questa non valutata dall’Adita Commissione’. ‘ Nel caso specifico che qui ci occupa, come da documentazione depositata, la società RAGIONE_SOCIALE presenta un bilancio per l’anno 2014 che espone una perdita pari a € 754.545,45; nel verbale di determina del socio unico tale perdita viene riportata all’esercizio successivo. Il bilancio per l’anno 2015 della società RAGIONE_SOCIALE presenta un utile di esercizio pari a € 84.344,26, che viene destinato dal socio alla copertura della perdita dell’esercizio precedente che era pari a € 754.545,45. Pertanto, alla luce di quanto suesposto, non esiste alcun utile che la società ha conseguito nel 2015, in quanto sono stati destinati interamente e ricoprire le perdite degli esercizi precedenti. La Commissione adita si è limitata a scrivere che le osservazioni svolte dalla ricorrente sono prive di qualsivoglia elemento idoneo a confutare la certezza del ricavo ‘in nero’ di 100.000,00 € …, ma non ha valutato che, seppur vero che ci sono dei ricavi, i costi superano di gran lunga gli stessi e tale perdita è
stata riportata agli esercizi successivi, pertanto nessun utile è stato conseguito dalla ricorrente nell’anno 2015. In ogni caso ciò è dimostrato dalla documentazione in atti e vieppiù, tal evidenze contabili possono essere suffragate dalla realtà dei fatti, se si considera che i ricavi sono stati conseguiti dalla vendita a prezzi irrisori di una fabbricato che la società stessa ha provveduto a costruire a proprie spese’. ‘Altresì, la Commissione tributaria adita omette di pronunciarsi sugli altri punti del ricorso introduttivo del giudizio in merito alla presunzione dell’Agenzia delle entrate che il ricavo accertato per il 2016 coincidesse perfettamente con l’utile ed in merito alla documentazione depositata da parte ricorrente circa la mancanza di utili conseguiti per essere gli stessi destinati interamente e ricoprire le perdite degli esercizi precedenti’.
1.2. Il motivo è inammissibile.
Esso non deduce in rubrica né articola nello sviluppo argomentativo alcuna violazione di legge, oltretutto non identificata né sussunta sotto alcuno dei paradigmi di cui all’art. 360 cod. proc. civ.: in tal guisa, non rappresenta neppure un motivo di ricorso per cassazione.
Sotto altro profilo, fa riferimento a circostanze di fatto, senza indicare, in difetto di precisione ed autosufficienza, donde emergano nei fascicoli di merito.
Infine, si produce in una non consentita critica al percorso giustificativo della sentenza impugnata, in violazione dei canoni del sindacato motivazionale ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., volti a dar rilievo unicamente ad omissione, apparenza o grave contraddittorietà della motivazione: ipotesi, tutte, patentemente, ad una semplice lettura della sentenza impugnata, non ricorrenti nella fattispecie.
In aggiunta a quanto precede, il motivo è, altresì e comunque, manifestamente infondato.
Esso, invero, oltreché confondere i concetti di utile e di costo, del tutto ambiguamente evocati nello sviluppo argomentativo, non si confronta con la precisa, netta e perentoria affermazione della sentenza impugnata secondo cui quel che l’A.F. contesta alla contribuente, in quanto ‘autonomo’ soggetto di diritto, nei cui confronti soltanto è diretto l’accertamento, è l’omessa contabilizzazione e dichiarazione di ricavi.
All’uopo, la sentenza impugnata soggiunge, con logica ineccepibile, che:
. ‘le imposte così accertate sono dovute dalla società, in quanto produttrice di un maggior reddito di impresa non dichiarato. Non si tratta, quindi, di un utile prodotto dalla società e poi conferito al socio, il quale deve quindi dichiararlo’;
-‘l’accertamento’ in riferimento, come detto, ai maggiori ricavi omessi -‘muove dalle dichiarazioni spontanee rese dallo stesso rappresentante legale della società accertata, Sig. COGNOME COGNOME.
Talché, poiché di ricavi omessi sia in contabilità che in dichiarazione esclusivamente si verte, a prescindere dall’impiego che la società ne abbia fatto, totalmente inconferente è il ‘thema’ difensivo della mancata distribuzione di utili a fronte di superiori perdite traslate dai precedenti esercizi. Invero -come opinato dalla sentenza impugnata -l’elemento decisivo è la maturazione in sé di ricavi ‘in nero’ riconosciuta dallo stesso legale rappresentante della società, che costituisce, per quest’ultima, indiscutibile fonte di un maggior reddito.
In definitiva, il ricorso va rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente a rifondere all’Agenzia delle entrate le spese di lite, liquidate in euro 5.800,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 8 ottobre 2024.