Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2762 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2762 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 3765/2024 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME come da procura speciale allegata al controricorso (PEC: EMAIL; EMAIL);
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Puglia n. 2062/03/2023, depositata il 6.07.2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23 ottobre 2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
La CGT di secondo grado della Puglia rigettava l’ appello proposto dall ‘Agenzia delle entrate avverso la sentenza della CTP di Bari che
Oggetto: Tributi – Sospensione del processo – Riassunzione
aveva accolto il ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso la cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione dei redditi relativa al l’anno d’imposta 2011, con la quale era stato recuperato un credito l’IVA derivante dalla dichiarazione relativa all’anno 2010 , rettificata, a sua volta, con un avviso di accertamento emesso in relazione a detto anno d’imposta , impugnato in separata sede;
dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali si evince, per quanto ancora qui rileva, che:
la contribuente aveva chiesto il rimborso del credito IVA, con modello VR, per l’anno d’imposta 2010, ai sensi dell’art. 30, comma 3, lett. c) del d.P.R. n. 633 del 1972, riguardante l’acquisto di un compendio immobiliare da adibire a struttura turistico -alberghiera, previa ristrutturazione;
detto rimborso era stato negato con provvedimento agenziale del 9.11.2012, in quanto, trattandosi di immobile che non poteva qualificarsi ‘in corso di esecuzione’, lo stesso andava considerato fra gli assets patrimoniali previsti dall’art. 30, comma 1, della l. n. 724 del 1994 e la contribuente, a seguito dell’applicazione del test di operatività, era risultata non operativa per oltre quattro anni consecutivi;
con la sentenza n. 2044/03/2023, tuttavia, la stessa CGT di secondo grado della Puglia ha dichiarato la nullità del diniego di rimborso del credito IVA maturato per l’anno d’imposta 2010;
-l’accoglimento nel merito dell’azione di rimborso, con la declaratoria di nullità del provvedimento di diniego di rimborso, che costituiva l’atto presupposto della cartella di pagamento impugnata, determinava la nullità derivata della stessa cartella.
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la società contribuente resisteva con controricorso.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo, l’Agenzia deduce , in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 297 cod. proc. civ. e 39, comma 1bis , del d.P.R. n. 546 del 1992, in quanto i giudici di appello, pur avendo sospeso il giudizio, in attesa della pronuncia nella causa ritenuta pregiudiziale, riguardante gli avvisi di accertamento per gli anni 2008, 2009 e 2010, non hanno poi atteso né la pubblicazione della relativa decisione (sentenza n. 2099/03/2023), avvenuta il 7.07.2023, né la presentazione dell’istanza di parte, espressamente prevista nei casi di sospensione del giudizio, essendosi la sentenza impugnata fondata esclusivamente sulla sentenza n. 2044/03/2023 del 5.05.2023, riguardante il diniego di rimborso del credito IVA; precisa che la sentenza n. 2099/03/2023 e la sentenza n. 2044/03/2023 non sono ancora definitive, in quanto avverso le stesse è stato proposto ricorso per cassazione;
con il secondo motivo di ricorso, deduce la violazione la violazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 36, comma 2, n. 4 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., sostenendo che la sentenza è nulla, in quanto è priva di idonea motivazione, non avendo illustrato i motivi per cui la pronuncia sul diniego di rimborso implicherebbe la nullità derivata della cartella di pagamento impugnata, senza considerare, peraltro, che nel caso in esame non poteva ritenersi pregiudiziale la decisione sul diniego del rimborso, essendo tale, invece, quella riguardante gli avvisi di accertamento e, in particolare, l’avviso di accertamento relativo all’anno 2010, con il quale era stato azzerato il credito IVA riportato nella dichiarazione per l’anno 2011 ed era stata contestata l’operatività della società contribuente;
con il terzo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dei principi in materia di giudicato esterno, con conseguen te violazione e falsa applicazione dell’art. 30, comma 4-bis, della l. n. 724 del 1994, avendo i giudici di appello erroneamente applicato il giudicato esterno, formatosi a seguito dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 2636 del 27.01.2023, riguardante la medesima società contribuente, in relazione all’anno d’imposta 2007 , senza considerare il principio di autonomia dell’obbligazione tributaria con riferimento ad ogni periodo di imposta, per cui lo ‘status’ di società non operativa non può considerarsi permanente, ma va verificato anno per anno, così come andavano accertate, in relazione ad ogni singolo anno d’imposta, la sussistenza e la permanenza delle condizioni oggettive che impedivano alla società di conseguire i ricavi minimi previsti; aggiunge che, in materia di IVA, occorre considerare l’orientamento della giurisprudenza unionale, secondo la quale l’effetto estensivo del giudicato va escluso ogniqualvolta possa portare a riconoscere detrazioni e conseguenti rimborsi di imposta fuori dai rigorosi presupposti ai quali tale diritto è soggetto, posti a garanzia della effettiva neutralità del tributo;
-preliminarmente vanno disattese le eccezioni proposte dalla controricorrente;
-l’eccezione di improcedibilità del ricorso per asserita violazione dell’obbligo di allegazione ex art. 369 cod. proc. civ. è infondata, in quanto, nel giudizio per cassazione, per i ricorsi avverso le sentenze delle commissioni tributarie, la indisponibilità dei fascicoli delle parti (i quali, ex art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992 restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono restituiti solo al termine del processo) comporta la conseguenza che la parte ricorrente non è onerata, a pena di improcedibilità ex art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., della
produzione del proprio fascicolo e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369, comma 3, c.p.c., a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria; neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (Cass. Sez. U. n. 22726 del 3/11/2011);
anche la seconda eccezione, con la quale si deduce, genericamente, l’inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, è infondata, avendo la ricorrente riportato nella ricostruzione dei fatti di causa, sia pure sinteticamente, ma in modo comprensibile, tutte le argomentazioni esposte negli atti processuali richiamati;
ciò posto, il primo motivo è fondato;
-l’art. 43, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede che: ‘Dopo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell’art. 30.’ ;
si tratta di disposizione analoga a quella prevista per il processo civile, dove l ‘art. 297, comma 1, cod. proc. civ. stabilisce che ‘Se con provvedimento di sospensione non è stata fissata l’udienza in cui il processo deve proseguire, le parti debbono chiederne la fissazione entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia civile o amministrativa di cui all’art. 295. ‘;
è chiaro, quindi, che, venuta meno la causa di sospensione, il giudizio può essere riassunto solo su istanza di parte, in quanto sono
le parti che devono procedere alla sua riassunzione richiedendo la fissazione dell’udienza di prosecuzione, non essendo ammesso che a ciò vi provveda il giudice d’ufficio;
-nella specie, il giudice di appello aveva sospeso il processo riconoscendo un rapporto di pregiudizialità con la controversia relativa agli avvisi di accertamento con i quali era stata accertata la natura di società non operativa della contribuente, con conseguente perdita del diritto al rimborso del credito IVA;
la CGT di secondo grado ha poi deciso la causa sulla base della sentenza della stessa CGT n. 2044/03/2023, depositata il 5.07.2023, che ha dichiarato la nullità del diniego di rimborso di detto credito d’imposta, senza attendere, quindi, l’esito del giudizio riguardante l’impugnazione di detti avvisi di accertamento, in relazione al quale la causa era stata sospesa e nel quale non era stata neppure pubblicata la sentenza di appello;
non è contestato, peraltro, che nel caso in esame il processo è ripreso d’ufficio e prima del passaggio in giudicato della sentenza che ha definito la controversia pregiudiziale;
orbene, questa Corte ha avuto modo di affermare che “Durante la sospensione del processo, secondo l’art. 298 cod. proc. civ., non possono essere compiuti atti del procedimento, con la conseguenza che gli atti comunque compiuti in tale periodo, vale a dire fino al venir meno della causa della sospensione, sono radicalmente nulli e non producono alcun effetto, meno che mai quello di determinare uno spostamento del termine per la riassunzione del processo, decorrente ineludibilmente dalla conoscenza della cessazione della causa di sospensione. Pertanto, la dichiarazione di inammissibilità della riassunzione effettuata “ante tempus” comporta la nullità di tutti gli atti compiuti, i quali non potranno spiegare alcuna efficacia nel
processo riassunto tempestivamente dopo la cessazione della causa di sospensione. ‘ (Cass. S.U. n. 23836 del 2004);
si tratta di un orientamento che il Collegio condivide sulla base della considerazione che l’atto di riassunzione del processo posto in essere prima della cessazione della causa di sospensione costituisce un atto del tutto difforme dal modello legale e del tutto inidoneo al raggiungimento dello scopo cui è destinato;
l’art. 297 cod. proc. civ., invero, prevede che il processo possa essere riassunto entro tre mesi dal “passaggio in giudicato della sentenza che definisce la controversia “, individuando nel verificarsi di tale condizione il presupposto indispensabile per la riattivazione del processo, in quanto la riassunzione del processo, effettuata prima del verificarsi di tale condizione, costituisce un atto manifestamente inidoneo a raggiungere lo scopo che l’istituto della sospensione del processo persegue, rappresentato, nel caso previsto dall’art. 295 cod. proc. civ., dalla necessità di rinviare la decisione del giudizio dopo la decisione in via definitiva della causa pregiudiziale;
nel caso in esame, peraltro, la riassunzione è avvenuta d’ufficio, sicchè, essendo funzionalmente inidonea a provocare la riattivazione del processo, costituisce causa di nullità, per derivazione, degli atti compiuti nel processo riassunto (art. 298 cod. proc. civ.), compresa la sentenza emessa nel processo illegittimamente riassunto;
da ciò consegue non soltanto l’inefficacia in sé della riassunzione disposta d’ufficio prima della cessazione della causa di sospensione, ma altresì che tale sanzione non può considerarsi superata in ragione della eventuale sopravvenienza temporale del venir meno della causa di tale cessazione, dal momento che essa comunque non elimina la riscontrata difformità dell’atto dal paradigma normativo (cfr. Cass. n. 3713 del 14.02.2013);
-nell’accoglimento del primo motivo rimane assorbito l’esame delle altre censure;
in conclusione, il primo motivo di ricorso va accolto, assorbiti gli altri, e la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, per nuovo esame e per la liquidazione delle spese, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia anche per la liquidazione delle spese, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Puglia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 23 ottobre 2024