Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26008 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26008 Anno 2024
AVV_NOTAIO: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 16333/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa per procura speciale allegata al ricorso dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, giusta procura speciale rilasciata su foglio separato ed allegato, i quali chiedono di ricevere le comunicazioni al proprio indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
Regione Campania
– intimata – avverso la sentenza della CTR Campania, n. 5933/2020, depositata in data 7 dicembre 2020;
RILEVATO CHE:
1.Con ricorso depositato il 22/9/2015 la RAGIONE_SOCIALE impugnava il provvedimento del 5/6/2015 con cui la Regione Campania aveva intimato il pagamento della somma di euro 336.514,54, a titolo di contributi estrattivi ex art. 19 della legge regionale Campania n. 1 del 2008, con riferimento agli anni dal 2008 al 2013, oltre alla somma di euro 17.950,18 per i contributi estrattivi di cui all’art. 17 della legge regionale Campania n. 15 del 2005, per gli anni 2012 e 2013, chiedendone l’annullamento.
La società chiedeva anche la riunione del presente procedimento avente n. 5458 del 2016 a quello con n. 13176 del 2015, relativo alla richiesta di pagamento delle stesse somme oggetto dell’atto di messa in mora.
Riuniti i ricorsi, la Commissione Tributaria Provinciale ( CTP) sospendeva il giudizio in pendenza della definizione della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla CTP di Napoli, sezione 17, nella (diversa) causa n. 9225 del 2015.
Con sentenza n. 7401 depositata il 18/6/2019 la CTP di Napoli dichiarava estinto il giudizio per tardiva riassunzione, in quanto l’istanza di fissazione presentata dalla società ricorrente era stata depositata soltanto in data 15/4/2019, mentre la sentenza della Corte costituzionale n. 52 del 2018 dell’8/3/2018 (che ha deciso la suddetta questione pregiudiziale di legittimità costituzionale), era stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 14/3/2018, n. 11, con conseguente decorso del termine perentorio per la riassunzione.
Avverso tale sentenza proponeva appello la società, deducendo che il termine per la riassunzione doveva decorrere dalla conoscenza legale della cessazione dell’evento sospensivo, e non già dalla pubblicazione della decisione della Corte costituzionale sulla Gazzetta Ufficiale.
La Commissione Tributaria Regionale ( CTR) della Campania rigettava l’appello.
In particolare, richiamava l’indirizzo consolidato della Corte di cassazione (si cita Cass., 26/3/2013, n. 7580) per cui, ai fini della tempestiva prosecuzione del processo, sospeso per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di
questione sollevata da altro giudice, il termine per la riassunzione decorre dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta Ufficiale, e non dalla notificazione operata dalla parte interessata alle controparti a fini sollecitatori.
Ciò, sia perché la sospensione anomala, così effettuata, deve essere ricondotta all’art. 296 c.p.c., con la necessità di provvedere agli adempimenti per la prosecuzione del processo nei modi e termini previsti dall’art. 297 c.p.c., sia perché un meccanismo di riassunzione rimesso alla mera volontà delle parti non è compatibile con il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 della Costituzione, in quanto suscettibile di provocare un’acquiescenza sine die del processo.
Pertanto, poiché l’istanza di riassunzione era stata presentata dalla società appellante in data 15/4/2019, la stessa risultava depositata oltre il termine perentorio previsto dalla legge, in quanto la sentenza della Corte costituzionale era stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 14 del 2018.
Tale pubblicazione rappresentava un idoneo strumento di conoscenza legale dal quale doveva farsi decorrere il termine perentorio per la riassunzione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società.
È rimasta intimata la regione Campania.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione la società deduce la «violazione e/o falsa applicazione artt. 43 e 45 d.lgs. 546/1992,297 c.p.c., art. 6 CEDU e 263 TFUE, rilevante ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.».
In particolare, la società evidenzia che il giudizio è stato sospeso dalla CTP in data 30/9/2016, ritenendo opportuno attendere la definizione del giudizio di costituzionalità relativo alle norme regionali rilevanti nel procedimento pendente, sulla questione sollevata in altra causa, cui la ricorrente era rimasta estranea.
Una volta intervenuta la sentenza della Corte costituzionale il 14/3/2018, il presidente della CTP – d’ufficio – aveva fissato l’udienza del 9/10/2018,
tenutasi dunque entro i sei mesi dalla pubblicazione della decisione della Corte costituzionale, dovendosi considerare anche la sospensione feriale.
La società aveva partecipato all’udienza chiedendo di essere autorizzata al deposito di note difensive, «così inequivocabilmente manifestando l’interesse alla trattazione della causa».
È stata poi fissata nuova udienza di trattazione al 5/2/2019 nella quale la CTP ha ritenuto la causa «ancora sospesa» senza fissare una nuova udienza.
Successivamente, è intervenuta istanza di fissazione dell’udienza da parte della società ricorrente, sicché la causa è stata trattata nell’udienza del 4/6/2019, all’esito della quale la CTP ha dichiarato l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale.
Il giudice d’appello, dunque, ha ritenuto tardiva l’istanza di riassunzione che, a suo dire, avrebbe dovuto essere presentata entro il 14/10/2018, cioè entro i sei mesi dalla pronuncia della sentenza della Corte costituzionale.
Tuttavia, la Ctr non avrebbe considerato – richiamando l’orientamento di questa Corte (Cass. n. 7580 del 2013) – che entro il semestre dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, e quindi in data 1/8/2018, era stata fissata d’ufficio l’udienza di trattazione e che in tale data la ricorrente si era regolarmente presentata in udienza «con comportamento processuale leale volto a consentire la definizione del giudizio, indiscutibilmente manifestando il suo interesse alla trattazione della causa».
Non si poteva, dunque, esigere altro adempimento conciliabile con l’effettività della tutela giurisdizionale.
Altrimenti, dovrebbe ritenersi che, una volta fissata d’ufficio l’udienza per la prosecuzione entro il semestre, la ricorrente avrebbe dovuto, «non solo presentarsi in udienza coltivando il contenzioso, ma anche chiedere la fissazione di udienza già fissata dal Giudice adito, pena l’estinzione del giudizio (con la causa in corso di svolgimento) per mancata sollecitazione della sua ripresa da parte ricorrente».
Peraltro, la ricorrente era stata autorizzata, nell’udienza fissata d’ufficio dal giudice, a depositare note difensive.
L’interpretazione proposta dalla CTR confliggerebbe, dunque, irragionevolmente con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, anch’esso di rango costituzionale, come quello di ragionevole durata del processo, imponendone l’ingiustificato sacrificio senza alcuna concreta ragione.
Invero, il rischio di quiescenza a tempo indeterminato del giudizio risultava scongiurato proprio dalla tempestiva fissazione d’ufficio dell’udienza per la prosecuzione della controversia.
La decisione gravata, allora, risultava ispirata ad un incomprensibile formalismo, per cui «la parte avrebbe dovuto chiedere la fissazione dell’udienza già fissata d’ufficio dal giudice», con la compromissione del diritto alla tutela giurisdizionale delle proprie ragioni riconosciuto dall’art. 24 Costituzione e, in ambito sovranazionale, dagli articoli 263 TFUE e 6 CEDU.
Ad avviso della ricorrente, «in nome di una mero formalismo», si sarebbe negato il diritto ad ottenere una decisione nel merito della controversia, dichiarando estinto il giudizio per non avere la ricorrente presentato istanza di riassunzione nei termini di legge, «mentre la causa proseguiva tra le parti per essere stata fissata dal Giudice l’udienza di trattazione della controversia nel termine di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale, udienza alla quale il ricorrente ha preso regolarmente parte chiedendo di essere autorizzato a depositare memorie difensive e conseguendo, a tal fine, un rinvio ad altra udienza».
La sentenza sarebbe, poi, errata anche sotto altro profilo, in quanto la CTR ha considerato la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta Ufficiale quale «idoneo strumento di conoscenza legale», rinviando per relationem alla sentenza n. 7580 del 2013 della Corte di cassazione, ritenuta espressione di un indirizzo consolidato in materia.
In realtà, la CTP di Napoli, nel sospendere il giudizio, non ha pronunciato ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale, non seguendo dunque l’apposito procedimento previsto dall’art. 23 della legge n. 87 del 1953, ma si è limitata a sospendere il processo.
Inoltre, il processo è stato sospeso senza fissazione di un termine di scadenza della sospensione.
La Corte costituzionale non è stata mai investita di una decisione che avesse rilevanza diretta ed immediata nel processo sospeso, sicché non si era verificata la trasmissione al giudice a quo della decisione della Corte ex art. 29 della legge 87 del 1953.
Si è in presenza, dunque, di una sospensione «anomala», distinta dalle ipotesi di cui all’art. 295 c.p.c., in quanto fondata «su un apprezzamento di mera convenienza della sospensione».
Si richiama un precedente di questa Corte per cui «la pubblicazione della sentenza che pronunci relativamente al dubbio di costituzionalità di una o più norme non è idonea a far decorrere il termine nemmeno se quella sentenza è stata pronunciata a seguito di rimessione da parte del giudice della causa in questione, a maggior ragione non è idonea quando è pronunciata in un’altra causa alla quale il giudice della sospensione non ha fatto diretto e preciso riferimento nella sua ordinanza di sospensione» (si cita Cass., n. 3922 del 1994).
Si sottolinea, in relazione alla pronuncia sopra indicata (Cass. n. 3922 del 1994), che «è dunque compito del giudice rimuovere la situazione di stallo che egli ha creato con la sua ordinanza di sospensione È dovere del giudice della sospensione, di quella sospensione meramente di opportunità che egli solo ha deciso per una sua discrezionale valutazione, di controllare lui il succedersi degli eventi, di conoscere lui quando viene pronunciata la decisione da lui attesa; sulla base di tale conoscenza provvedendo poi, con biglietto di cancelleria, a comunicare alle parti la cessazione della causa di sospensione».
Tale era, dunque, anche la valutazione della CTP che, infatti, depositata la sentenza della Corte costituzionale, «ha fissato d’ufficio una nuova udienza».
Il richiamo, poi, a Cass. n. 7580 del 2013, sarebbe non condivisibile per varie ragioni: in primo luogo, non si tratta di un orientamento consolidato; in secondo luogo, il giudice tributario non ha tenuto conto della peculiarità del
caso concreto sottoposto alla sua valutazione, rappresentata dalla asimmetria informativa esistente tra le parti, per essere la regione Campania presente nel giudizio di legittimità costituzionale, a differenza della società.
Non è sufficiente ai fini della individuazione del dies a quo per la riassunzione del giudizio la pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta Ufficiale.
Si fa riferimento anche alla sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 4394 del 1996, con la quale si è ritenuto che la comunicazione della cessione della causa di sospensione «è l’unica che tutela pienamente il diritto di difesa, e cioè la garanzia costituzionale che ha determinato la cennata pronuncia di incostituzionalità».
Così si è statuito: nonostante l’avvenuta modifica normativa in melius della pubblicità legale delle sentenze della Corte così regionale; in ossequio ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 297 c.p.c., come derivante dalla sentenza n. 34 del 1970 della Corte costituzionale.
Il principio della ragionevole durata del processo va contemperato con l’esigenza che la parte estranea al giudizio in Corte costituzionale sia posta in grado, senza dover compiere particolari sforzi, di addivenire ad una pronuncia di merito della pretesa azionata.
Il motivo è fondato nei termini di cui in motivazione.
2.1. Anzitutto, si evidenzia che sulla questione di giurisdizione si è ormai formato il giudicato interno, in assenza di specifica impugnazione delle parti nei gradi di merito.
I dati di fatto rilevanti sono i seguenti.
Si verte nell’ambito di una sospensione «anomala» del processo, in quanto la CTP ha ritenuto di dover sospendere i giudizi riuniti n. 5458 del 2016 e n. 13176 del 2015, essendo stata sollevata da altro giudice questione di legittimità costituzionale delle leggi della regione Campania n. 15 del 2005 e n. 1 del 2008.
L’ordinanza di sospensione è stata emessa il 30/9/2016. La sentenza della Corte costituzionale stata pronunciata il 14/3/2018.
La CTP, d’ufficio, ha fissato, con provvedimento del 1/8/2018, l’udienza del 9/10/2018, quindi nel termine di 6 mesi per provvedere alla riassunzione del giudizio sospeso, ex art. 43 del d.lgs. n. 546 del 1992.
Con provvedimento del 9/10/2018 la CTP ha disposto « rinvi a nuovo ruolo per permettere il deposito di memorie illustrative».
La CTP, con provvedimento del 20/12/2018, ha poi fissato l’udienza del 5/2/2019, precisando che «è già stata presentata richiesta di trattazione in pubblica udienza».
In tale udienza la CTP ha preso atto «del perdurante stato di sospensione del processo».
La società ha presentato formale istanza di trattazione solo in data 15/4/2019, quindi oltre i 6 mesi dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte costituzionale.
All’udienza del 4/6/2019 la società si è riportata ai propri scritti difensivi.
Pertanto, ai fini della tempestività della riassunzione del processo sospeso, in ipotesi di «sospensione anomala», si pone la questione se il decorso del termine per la riassunzione, di 6 mesi, vada individuato nella pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte costituzionale, e quindi nella data del 14/3/2018, oppure se fosse necessaria, a tale fine, la comunicazione da parte della segreteria della CTP alla società ricorrente.
4.1. L’ulteriore questione è relativa alla possibilità per il giudice di disporre d’ufficio la prosecuzione del giudizio sospeso, a prescindere dalla presentazione dell’apposita istanza di prosecuzione da parte della società.
Con riferimento al primo quesito, costituisce ormai orientamento consolidato di legittimità quello per cui, in tema di sospensione del processo a seguito di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, il dies a quo del termine per la riassunzione del giudizio deve essere diversamente individuato nelle ipotesi di sospensione necessaria e di sospensione anomala del giudizio: nel primo caso – relativo al giudizio da cui è promanato l’incidente di costituzionalità -, esso è rappresentato dal giorno in cui avviene la comunicazione alla parte, ad opera della cancelleria del giudice che ha
disposto la sospensione, della pronuncia della Corte costituzionale che ha definito la questione di legittimità costituzionalità ad essa rimessa, mentre, nel secondo caso – di pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di questione sollevata da altro giudice -, esso è rappresentato dal giorno di pubblicazione della predetta pronuncia nella Gazzetta Ufficiale (Cass., sez. 2, 19/1/2024, n. 2028).
Si riprende, quindi, l’insegnamento di questa Corte per cui, ai fini della tempestiva prosecuzione del processo, sospeso per la pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale sulla disciplina applicabile nella causa a seguito di «questione sollevata da altro giudice», il termine per la riassunzione decorre dalla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale sulla Gazzetta ufficiale – che integra un idoneo sistema di pubblicità legale per la conoscenza delle sorti del processo costituzionale – e non dalla notificazione operata dalla parte interessata alle controparti a fini sollecitatori, dovendosi ritenere, da un lato, che la sospensione così effettuata vada ricondotta all’art. 296 cod. proc. civ., con necessità di provvedere agli adempimenti per la prosecuzione del processo nei modi e termini previsti dall’art. 297 cod. proc. civ., e, dall’altro, che un meccanismo di riassunzione rimesso alla mera volontà delle parti non sia compatibile con il principio di ragionevole durata ex art. 111 Cost., in quanto suscettibile di provocare una quiescenza ” sine die” del processo.
5.1. Assume, dunque, carattere dirimente l’art. 29 della legge 11/3/1953, n. 87 (Norme sulla Costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a mente del quale «a sentenza con la quale la Corte si pronunzia sulla questione di illegittimità costituzionale di una legge o di un atto avente forza di legge o l’ordinanza con la quale è dichiarata la manifesta infondatezza dell’eccezione di incostituzionalità, vengono trasmesse, entro due giorni dal loro deposito in cancelleria, unitamente agli atti, all’autorità giurisdizionale che ha promosso il giudizio, a cura del cancelliere della Corte».
Tale norma riflette l’art. 23 della medesima legge, in base al quale, «l’autorità giurisdizionale ordina che a cura della cancelleria l’ordinanza di trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, quando non ne
sia data lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in causa ed al pubblico ministero quando il suo intervento sia obbligatorio, nonché al AVV_NOTAIO del AVV_NOTAIO dei Ministri od al AVV_NOTAIO della giunta regionale a seconda che sia in questione una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o di una regione. L’ordinanza viene comunicata dal cancelliere anche ai Presidenti delle due Camere del parlamento o al AVV_NOTAIO del consiglio regionale interessato».
Ai sensi dell’art. 25 della legge n. 87 del 1953, poi, «l presidente della Corte costituzionale, appena è pervenuta alla Corte l’ordinanza con la quale l’autorità giurisdizionale promuove il giudizio di legittimità costituzionale, ne dispone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e, quando occorra, nel bollettino ufficiale delle regioni interessate».
Ai sensi dell’art. 25, comma 2, della legge n. 87 del 1953, «entro 20 giorni dall’avvenuta notificazione dell’ordinanza, ai sensi dell’art. 23, le parti possono esaminare gli atti depositati nella cancelleria e presentare la loro deduzione».
Si precisa nel comma 4 dell’art. 25 che «entro lo stesso termine, il AVV_NOTAIO e il AVV_NOTAIO della Giunta regionale possono intervenire in giudizio e presentare la loro deduzioni».
5.2. Ciò implica che, in caso di sospensione «propria» e non «anomala», il procedimento prevede costantemente la comunicazione dei vari provvedimenti alle parti del giudizio, ivi compresa la sentenza pronunciata dalla Corte costituzionale che, ai sensi dell’art. 29 della legge n. 87 del 1953, va trasmessa, entro 2 giorni dal deposito in cancelleria, all’autorità giurisdizionale che ha promosso il giudizio (la quale dovrà poi informarne, con comunicazione, le parti), a cura del cancelliere della Corte.
Analoghe modalità di comunicazione della sentenza della Corte costituzionale non sono, invece, previste per l’ipotesi della sospensione «anomala».
Pertanto, come correttamente ritenuto da questa Corte (Cass. n. 7580 del 26/3/2013, richiamata nella recente sentenza Cass. n. 2028 della 19/1/2024) «solo alle parti interessate direttamente nel giudizio a quo è quindi dovuta la
comunicazione ufficiosa del provvedimento del giudice delle leggi, ai fini della riassunzione».
Al contrario, «er le eventuali sospensioni disposte in altri processi in cui la medesima questione appariva pure rilevante, deve ritenersi invece sufficiente la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, dies a quo per la decorrenza del termine di cui all’art. 297 c.p.c.» (Cass. n. 7580 del 2003).
Tale interpretazione si fonda sul «rischio di una quiescenza sine die delle processo sospeso che non trova più spazio nel sistema» (Cass. n. 7580 del 2013; contra Cass., sez. 1, 22/12/1989, n. 5779, ormai superata, per la quale per la quale il processo prosegue o su riassunzione – svincolata da termine perentorio – della parte diligente od anche su iniziativa del giudice).
L’orientamento di questa Corte affonda le sue radici, dunque, sul «principio del termine ragionevole del processo introdotto a livello costituzionale (art. 111, 2º comma, Cost., nel testo emendato dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2), sulla scorta di analoga prescrizione consacrata paragrafo n. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: norma, che per il suo indubbio carattere imperativo ed indisponibile, si impone perfino al legislatore nazionale, costituendo titolo di indennizzo in caso di violazione ».
Ulteriore addentellato della volontà del legislatore di accelerare la definizione dei giudizi è stato rinvenuto da questa Corte, poi, nella «officiosità della dichiarazione di estinzione, preventiva di una possibile causa di ritardo indefinito, imputabile all’inerzia delle parti» (Cass., n. 7580 del 2013), come disposto dall’art. 307, ultimo comma, c.p.c., come modificato dall’art. 46, comma 15, lettera c), della legge 18 giugno 2009, n. 69, per il quale «’estinzione opera di diritto ed è dichiarata, anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio».
Pertanto, questa Corte ha ritenuto che la necessità della comunicazione alle parti, al fine della individuazione del dies a quo per riassunzione del processo, va limitata ai casi di sospensione «tipica», sicché «la questione di incostituzionalità della norma astrattamente applicabile diventa pregiudiziale in senso stretto solo quando sia ritualmente portata all’interno del processo
pendente mediante formale eccezione di parte (o rilievo d’ufficio), all’esito di delibazione di non manifesta infondatezza autonomamente svolta dal giudice che ne investito; non condizionata da precedente valutazione positiva, in ipotesi, espressa in un diverso processo» (Cass., n. 7580 del 2013).
Ed infatti, ha chiarito questa Corte, la «ratio discretiva» della disciplina, che distingue la sospensione «tipica» da quella «anomala», va individuata «nel rilievo che la scelta delle parti di non reiterare autonomamente l’eccezione di costituzionalità la priva dell’affidamento su attività di cancelleria per definizione esclusive dell’ufficio giudiziario remittente; senza peraltro negarle di un livello di diligenza insostenibile nel seguire le sorti del processo costituzionale, alla luce degli strumenti di conoscibilità legale del decisum » (Cass., n. 7580 del 2013; richiamata da Cass., n. 2028 del 2024).
Una volta assodato che, in caso di sospensione «anomala», come quella di specie, in cui il giudice di merito ha scelto discrezionalmente di attendere la decisione della Corte costituzionale in altra controversia, il dies a quo va individuato nella pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale nella Gazzetta Ufficiale, e, quindi, nella specie nella data del 14/3/2018, è necessario affrontare l’ulteriore questione, relativa alla tardività o meno della istanza di riassunzione presentata dalla società il 15/4/2019, quindi oltre il termine semestrale, ma preceduta dalla fissazione d’ufficio dell’udienza da parte della CTP con provvedimento del 1/8/2018, per l’udienza del 9/10/2018.
6.1. Trova qui applicazione, in ragione del giudicato interno maturato sulla giurisdizione tributaria, l’art. 43 del d.lgs. n. 546 del 1992 (Ripresa del processo sospeso o interrotto), il quale stabilisce che «opo che è cessata la causa che ne ha determinato la sospensione il processo continua se entro sei mesi da tale data viene presentata da una delle parti istanza di trattazione al presidente di sezione della commissione, che provvede a norma dell’art. 30».
6.2. Ai fini della riassunzione del processo sospeso, dunque, la parte che ne ha interesse deve presentare istanza di trattazione entro il termine perentorio di 6 mesi, decorrente dal momento nel quale la stessa acquisisce
conoscenza legale della cessazione della causa che ha determinato la sospensione.
Peraltro, in caso di sospensione «anomala», come è quella di specie, il termine di 6 mesi decorre dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della sentenza della Corte costituzionale, che ha deciso l’incidente di costituzionalità in altro processo.
6.3. L’istanza di trattazione, per la quale non è previsto alcun obbligo di notifica alle parti (Cass., sez. 6-5, 11/10/2018, n. 25363; Cass., sez. 5, 27/2/2015, n. 4071), deve contenere: gli estremi del processo sospeso; gli estremi del provvedimento di sospensione; l’indicazione dell’evento che ha causato la sospensione; la prova della cessazione della causa della sospensione; la richiesta della fissazione dell’udienza nella quale verrà trattata e, quindi, decisa la controversia; la sottoscrizione.
6.4. A seguito della proposizione dell’istanza di trattazione, il presidente di sezione provvede a fissare la data di trattazione della controversia ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 546 del 1992, sicché alle parti costituite sarà data notizia della data stabilita per la discussione della controversia, nei termini di cui all’art. 31, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992 («a segreteria dà comunicazione alle parti costituite della data di trattazione almeno 30 giorni liberi prima»).
Si è chiarito, dunque, che nel processo tributario, ai fini della tempestiva prosecuzione del giudizio interrotto, assume rilevanza la data di deposito dell’istanza di fissazione dell’udienza, gravando gli oneri successivi sulla segreteria della commissione tributaria, sicché non può essere dichiarata l’estinzione del processo ove la parte istante non abbia provveduto, entro il termine assegnato, a notificare alla controparte il decreto di fissazione dell’udienza (Cass., sez. 6-5, 11/10/2018, n. 25363).
Si è, quindi, precisato che la specialità del rito tributario rispetto all’ordinario rito civile detta una sequenza procedimentale ben precisa di carattere ufficioso, nella quale il AVV_NOTAIO, esaminata l’istanza, fissa l’udienza di trattazione e nomina il relatore e quindi la segreteria, a norma
dell’art. 43, comma 3, del d.lgs. 546 del 1992, provvede alla comunicazione di cui all’art. 31 del citato decreto (Cass., n. 2537 del 2018).
Ed infatti, l’art. 43, comma 3, del d.lgs. n. 546 del 1992 (Ripresa del processo sospeso o interrotto), stabilisce che «a comunicazione di cui all’art. 31, oltre che alle altre parti costituite nei luoghi indicati dall’art. 17, deve essere fatta alla parte colpita dall’evento o ai suoi successori personalmente»
Alla comunicazione dell’avviso di trattazione non è tenuta la parte, ma provvede d’ufficio la segreteria del giudice tributario avanti al quale l’istanza è stata presentata.
Si è anche sottolineato che questo peculiare carattere di ufficiosità del subprocedimento di riassunzione del processo tributario interrotto (o sospeso) costituisce una netta distinzione rispetto all’analogo procedimento che ha luogo nel giudizio di cognizione civile, dato che in quest’ultimo, in ossequio alla sua più accentuata natura dispositiva, alla parte interessata alla sua riassunzione si richiede uno sforzo di partecipazione più intenso, essa non solo dovrà chiedere al giudice la fissazione di una nuova udienza di comparizione, ma, una volta che questi abbia provveduto, sarà tenuta pure alla notificazione del ricorso e del relativo decreto tutte le altre parti (Cass. n. 4071 del 2015).
6.5. Ciò che peraltro rileva, in modo peculiare, è la necessità o meno dell’istanza di fissazione dell’udienza di trattazione.
Sulla scorta di un remoto precedente potrebbe ritenersi necessario il deposito di una istanza di parte volta alla prosecuzione del giudizio sospeso. Si è, infatti, ritenuto che alla fissazione della nuova udienza non potesse provvedervi d’ufficio il giudice tributario, nonostante il carattere ufficioso del procedimento di ripresa del processo.
Si è affermato, dunque, che il provvedimento che dispone la sospensione del processo, ai sensi dell’art. 295 cod. proc. civ., può essere impugnato esclusivamente con regolamento necessario di competenza ai sensi dell’art. 42 cod. proc. civ., e non anche con conflitto di competenza ex art. 45 stesso codice, atteso che sia l’art. 42 che l’art. 45 citati sono disposizioni di carattere
eccezionale che, a norma dell’art. 14 preleggi, non possono trovare applicazione oltre i casi e i tempi in esse considerati, e che, comunque, dal combinato disposto degli artt. 295 – 298 cod. proc. civ. si ricava che, una volta pronunziata la sospensione necessaria del processo, essendo pregiudiziale a questo altra controversia pendente innanzi allo stesso o ad altro giudice, il giudizio stesso può essere riassunto – anche nella eventualità che il provvedimento di sospensione sia stato assunto in carenza dei presupposti di legge – esclusivamente su istanza di una delle parti, e non certo ” ex officio ” o su istanza di altro giudice (Cass., sez. 3, 29/7/2002, n. 11209).
6.6. Nel processo civile ordinario, peraltro, al fine della valida riassunzione del processo sospeso o interrotto, non è influente che la parte istante vi abbia provveduto, anziché con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell’udienza di prosecuzione, con citazione della parte ad udienza fissa, la quale possiede tutti i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell’art. 297 cod. proc. civ. – consistente nel compimento di un atto di parte prima che sia trascorso il termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio – che può essere perseguito anche attraverso un atto di citazione che sia notificato alla controparte prima della scadenza del termine medesimo (Cass., Sez. U., 10/5/1996, n. 4394).
Tuttavia appare maggiormente convincente la tesi per cui, nel rito tributario, una volta che il giudice, d’ufficio, abbia tempestivamente fissato l’udienza per la prosecuzione del giudizio, nel termine semestrale decorrente dalla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale nella Gazzetta Ufficiale, non può essere dichiarata l’estinzione del processo ex artt. 43 e 45 del d.lgs. n. 546 del 1992, se la parte, intervenuta in udienza, mostra – come nella specie – la propria intenzione di prosecuzione del giudizio, al di là dell’utilizzo di formule sacramentali.
Ed infatti, una volta fissata d’ufficio l’udienza del 9/10/2018 da parte della CTP, quindi prima del decorso del termine semestrale (con scadenza al 14/10/2018), la società ha chiesto di poter depositare note difensive in sede
di udienza, manifestando in tal modo la propria volontà di prosecuzione del giudizio, essendo venuta meno la causa di sospensione del processo.
Di conseguenza la CTP, con provvedimento del 9/10/2018, ha disposto «il rinvio a nuovo ruolo per permettere il deposito di memorie illustrative».
Non v’è dubbio, allora, che il processo sia proseguito, proprio su istanza della società, presentata all’udienza del 9/10/2018, prima della scadenza del termine semestrale del 14/10/2018.
Del resto, tale interpretazione non meramente formalistica, ma rispettosa della effettiva volontà delle parti processuali, trova conforto nella giurisprudenza unionale.
Si è, infatti, ritenuto che la necessità di assicurare il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., e in coerenza con l’art. 6 CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del processo, costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione nel merito, che impone da discostarsi da interpretazione ispirate ad un eccessivo formalismo (Cass., sez. 3, 7/7/2023, n. 19259; Cass., sez. L, 1/8/2013, n. 18410).
8. La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 settembre 2024