Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 115 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 115 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 04/01/2025
Oggetto:
Ici- Revocazione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 871/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME
-ricorrenti –
Contro
Comune di Candela, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di Cassazione n. 13790/2019 depositata il 22 maggio 2019
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024
FATTI DI CAUSA
La controversia ha ad oggetto la revocazione della sentenza in epigrafe indicata con la quale il Giudice di legittimità ha rigettato il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi ricorrente), accolto quello incidentale proposto dal comune di Candela -Ufficio tributi (d’ora in poi controricorrente) sulla debenza delle sanzioni e cassato la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni dovute.
Il giudizio trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento (n. I0003) emesso dall’odierno controricorrente nei confronti del l’odierna ricorrente per il pagamento dell’Ici per l’anno 2011, riguardante un impianto fotovoltaico ultimato nel dicembre 2010. Nella specie l’ufficio , odierno controricorrente, aveva quantificato l’imposta per i primi sei mesi sui valori di bilancio e per i successivi sei mesi sul valore catastale.
Nelle more del giudizio di primo grado interveniva una pronuncia con cui veniva rettificato il classamento dell’impianto e la rendita catastale veniva ridotta e quantificata in € 17.834,00 (sentenza CTP Foggia 167/04/13).
La CTP, sulla questione oggetto del presente giudizio, ha accolto parzialmente il ricorso ritenendo:
-di calcolare l’Ici, per i primi sei mesi, sul valore di bilancio, mentre per i successivi sei mesi, sul la rendita attribuita dall’odierna ricorrente con la procedura Docfa; tale rendita era stata confermata dalla CTP di Foggia, sopra indicata, adita separatamente per l’accertamento del valore catastale;
dovute le sanzioni.
Nelle more del giudizio di secondo grado, veniva definito l’appello sulla sentenza riguardante il giudizio sul classamento (CTR Bari -Sez.
staccata Foggia n. 620/25/15) con determinazione della rendita dell’impianto in € 37. 862,82.
In pendenza dei termini per l’impugnazione del giudizio sul classamento, la CTR, sulla questione oggetto del presente giudizio, ha accolto parzialmente l’appello proposto dall’odierna ricorrente sulla base delle seguenti ragioni:
-è dovuta l’Ici per l’intero anno 2011, da calcolare, per i primi sei mesi antecedenti all’accertamento, sulla base del valore di bilancio, mentre per il residuo periodo secondo il valore catastale fatto proprio dalla CTP di Foggia nel giudizio relativo al classamento;
-non vi sono i presupposti per la sospensione del processo, in attesa della definizione di quello sul classamento, in quanto il calcolo dell’Ici per il 2011 , oggetto del presente giudizio, è stato effettuato sulla base della rendita catastale proposta dalla stessa società e, pertanto, il giudizio relativo al classamento e alla rendita catastale è irrilevante nel presente giudizio;
-la domanda di sospensione è, inoltre, inammissibile, in quanto, allo stato, non pende alcun giudizio con riferimento alla rendita catastale;
-non sono dovute le sanzioni, stanti le difficoltà interpretative della normativa e la non univocità degli orientamenti giurisprudenziali sull’obbligo di accatastamento degli impianti fotovoltaici.
La sentenza di questa Corte, oggi impugnata, ha deciso rigettando il ricorso dell’odierna ricorrente e fondando la propria decisione sulle ragioni che verranno esplicitate nella parte motiva della presente decisione.
La ricorrente propone ricorso, fondato su un unico motivo e deposita memoria, il controricorrente si è costituito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di impugnazione la ricorrente, in relazione all’art. 391 bis , c.p.c., chiede la revocazione della sentenza, in quanto, a suo avviso, effetto di due errori di fatto risultanti dagli atti o documenti che non hanno costituito un punto controverso su cui la sentenza si è pronunciata.
1.1. Lamenta, come primo errore, che la sentenza impugnata avrebbe affermato che non è stato oggetto di uno specifico motivo di ricorso l’esistenza di un nesso di pregiudizialità tra il presente giudizio e quello in tema di classamento e accertamento della rendita catastale dell’impianto fotovoltaico.
1.2. La censura è inammissibile per difetto di interesse sopravvenuto.
La ricorrente ha rappresentato, infatti, nella memoria che tale doglianza non ha più motivo di esistere, stante l’intervenuta definizione del giudizio pregiudicante (R.G. n. 24617/2015) a seguito di emanazione della sentenza della Corte di Cassazione n. 23228/2020.
1.3. Il motivo è inammissibile anche sotto l’ulteriore profilo della non decisività.
Nel caso in esame la CTR impugnata ha rigettato la domanda di sospensione del giudizio per due motivi: 1) perché il calcolo dell’Ici, oggetto del contendere, era stato effettuato sulla base di una rendita catastale proposta dalla stessa società ricorrente e, quindi, nel presente giudizio era irrilevante l’altro contenzioso sul classamento e l’accertamento della rendita catastale; 2) la domanda di sospensione era inammissibile non risultando la pendenza di alcun giudizio con riferimento alla rendita catastale. La sentenza impugnata ha fondato la propria decisione, per quello che oggi rileva, sulle seguenti ragioni:
-con il primo motivo di ricorso la società ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., lamentando che il giudice d’appello non avrebbe considerato che al momento della celebrazione dell’udienza di merito erano ancora pendenti i termini per l’impugnazione della sentenza pregiudiziale relativa al classamento e alla rendita catastale;
-tale motivo è inammissibile, in quanto la sentenza della CTR in proposito ha fondato la propria decisione su due ordini di motivi; il primo fondato sull’assenza di un rapporto di pregiudizialità (in quanto nel giudizio sull’ Ici la rendita è quantificata sulla base della docfa proposta dalla stessa ricorrente) e il secondo sulla mancanza di una pendenza del giudizio presupposto;
la prima ratio decisoria non è stata oggetto di uno specifico motivo di ricorso, con la conseguenza che il motivo è inammissibile, non avendo attinto una delle ragioni poste a base della decisione.
Con la censura revocatoria si continua ad insistere sulla circostanza che, fin dal ricorso introduttivo, è stata eccepita la pregiudizialità del giudizio in materia di classamento e, quindi, richiesta la sospensione, non cogliendo che il primo motivo di ricorso per cassazione è stato dichiarato inammissibile per due ragioni.
In particolare, con il ricorso per cassazione la ricorrente non ha in alcun modo censurato l’affermazione del giudice di secondo grado sull’irrilevanza della pregiudizialità eccepita, legata al l’esistenza di un giudizio relativo al classamento e alla rendita catastale, sul presupposto che quello riguardante l’Ici si era concluso sulla base della rendita proposta dalla stessa società.
Correttamente la sentenza oggi impugnata ha effettuato tale valutazione e ha fatto applicazione del consolidato principio di
diritto per il quale, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. Sez. 1, n. 18119/2020, Rv. 658607 -02; Sez. 6 – 5, n. 9752/2017, Rv. 643802 -01, Sez. 3, n. 2108/2012, Rv. 621882 – 01).
Nel caso di specie, dunque, il vizio dedotto con la domanda di revocazione non consisterebbe in un errore di percezione, ma in una valutazione giuridica.
Si ricorda in proposito che il combinato disposto dell’art. 391 bis e dell’art. 395, n. 4, c.p.c. non prevede come causa di revocazione della sentenza di cassazione l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione, che nel caso di specie neanche ricorrono.
Occorre ribadire che, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali. Ne consegue che è del tutto razionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass., Sez. U, n. 8984/2018, Rv. 648127 – 02).
Sotto il profilo dell’effettività della tutela giurisdizionale, peraltro, si è chiarito che la giurisprudenza europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia.
Va poi considerato che, indipendentemente dall’effettiva esistenza o meno dell’errore nella ricostruzione del motivo di ricorso in punto pregiudizialità, la decisione di cassazione si basa anche su una ratio ulteriore (sospensione facoltativa del processo ex art.337 e non obbligatoria ex art. 295 cpc) certamente avulsa da revocazione in fatto.
Analogamente inammissibile è il secondo profilo di censura, concernente l’ errore posto in essere per non aver preso in considerazione il ‘fatto’ che l’odierna società ricorrente, in ordine alla richiesta di disapplicazione delle sanzioni per obiettive condizioni di incertezza normativa in argomento, aveva puntualmente e ritualmente dimostrato la sussistenza di quegli indici di incertezza, quali l’esistenza di specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali.
Occorre premettere che l’istanza di revocazione implica, ai fini della sua ammissibilità, un errore di fatto riconducibile all’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., il quale consiste in un errore di percezione, o in una mera svista materiale, che abbia indotto il giudice a supporre l’esistenza (o l’inesistenza) di un fatto decisivo, che risulti, invece, in modo incontestabile escluso (o accertato) in base agli atti e ai documenti di causa, sempre che tale fatto non abbia costituito oggetto di un punto controverso su cui il giudice si sia pronunciato.
L’errore in questione presuppone, quindi, il contrasto fra due diverse rappresentazioni dello stesso fatto, delle quali una emerge dalla sentenza, l’altra dagli atti e documenti processuali, sempreché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di giudizio (tra le tante: Cass., Sez. 5, n. 9802/2023; Sez. 6 – 1, n. 2236/2022, Rv. 663756 -01; Sez. 65, n. 5387/2022; Sez. 5, n. 22994/2021; Sez. 5, n. 29042/2021; Sez. 5, n. 27131/2020, Rv. 659719 – 01; Sez. 5, n. 26890/2019, Rv. 655451 – 01; ma già Sez. 3, n. 13915/2005, Rv. 582707 -01; Sez. U, n. 9882/2001, Rv. 548338 -01).
E’ , quindi, esperibile, ai sensi degli artt. 391bis e 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui sia incorso il giudice di legittimità per omessa pronuncia su uno o più motivi di ricorso e, ai fini della valutazione di sussistenza o meno di tale vizio, deve aversi riguardo al “capo” della domanda riproposta all’esame del giudice dell’impugnazione, escludendosi il vizio suddetto quante volte la pronunzia su di esso vi sia effettivamente stata, sia pure con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva immediatamente percepibile), bensì un’errata considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio (tra le tante: Cass., Sez. 6 – 3, n. 3760/2018, Rv. 647695 – 01; Cass. Sez. U., n. 31032/2019, Rv. 656234 – 01; Sez. 5, n. 13989/2021; Sez. 5, n. 22193/2023).
2.1. Nel caso in esame la sentenza impugnata ha accolto la censura proposta con il ricorso incidentale dall’odierno controricorrente, relativa alla debenza delle sanzioni sul presupposto che la condizione di incertezza deve essere oggettiva e ricorre «quando
la disciplina normativa contenga una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia difficoltoso per equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente …Nel caso in esame, non è ravvisabile una simile incertezza normativa oggettiva, avuto riguardo alla possibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica in oggetto e, al tempo stesso, alla mancata allegazione da parte della ricorrente di indici quali, ad esempio, l’esistenza di specifici e rilevanti contrasti giurisprudenziali -sintomatici della ricorrenza di un siffatto stato».
Si osserva, in primo luogo, che la seconda affermazione circa la mancata allegazione degli indici da parte della società è svolta ad abundantiam.
Deve, poi, essere evidenziato che la prima ratio decisoria, concernente l’affermazione della possibilità nel caso di specie di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica in oggetto, non è stata oggetto di una specifica censura con la conseguenza che il motivo è inammissibile, perché non ha attinto anche tale ragione posta a base della decisione.
Con il ricorso per revocazione la ricorrente si duole solamente del fatto che il giudice di legittimità non abbia considerato il documentato palese contrasto giurisprudenziale in tema di tassazione ai fini Ici/Imu degli impianti per la produzione di energia elettrica.
Sotto questo profilo si osserva che il vizio dedotto con il secondo motivo di revocazione non è un errore di percezione, concernendo eventualmente esso una valutazione giuridica e, in tal senso, si richiamano le valutazioni espresse nel punto 1.3 della presente ordinanza.
Da quanto esposto consegue l’inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo. Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a pagare in favore del controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 7000,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi , rimborso forfettario nella misura del 15%, e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso il 3 dicembre 2024